Skyislands, il lato inesplorato del mondo

30 Ottobre 2013

Inseguo affannosamente Michele Menegon attraverso i corridoi del MuSe. A pochi giorni dalla partenza avere un minuto per stare seduti sembra impossibile e i preparativi sembrano non finire mai. Ci sono mille cose da fare: accordarsi con i colleghi in Sudafrica, Svizzera e Brasile, preparare gli strumenti per laboratorio mobile, trovare, mappe, gps, torce, attrezzatura da campo, definire gli accordi con gli sponsor, e poi interviste, radio, TV.

 

L’aria è densa di emozione, Michele Menegon ricercatore dall’aria vispa e inquieta della sezione “biodiversità tropicale” del Muse di Trento, sta infatti per partire a capo di una delle ultime spedizioni di esplorazione biologica sul nostro pianeta: Skyislands.

 

 

Una spedizione firmata MuSe e National Geographic. Direzione: Mozambico, per indagare il cuore, ancora inviolato (dove per un ricercatore “inviolato” ha il ghiotto significato di “non ancora documentato”) delle foreste montane dell’Eastern Afromontane, la colonna vertebrale d’Africa, uno dei più ricchi serbatoi di biodiversità al mondo. Affretto il passo, voglio portare a casa anch’io il mio piccolo angolo di foresta.

 

“Perchè Skyislands?” riesco a chiedere a Michele affannandomi sui suoi passi. “Le foreste montane” spiega il ricercatore “sono molto simili a isole, a livello biologico ... isole nel cielo. Le particolari condizioni ambientali che caratterizzano ognuna di queste montagne le ha rese, nel corso di milioni di anni, gli habitat preferenziali di specie che si sono adattate a vivere in condizioni precise, scendendo di pochi metri, cambiando i parametri di temperatura e umidità alcune di queste non riuscirebbero a sopravvivere. Sono confinate sulle montagne, proprio come se fossero su un’isola circondata dal mare. Ci sono specie che si trovano unicamente su una determinata montagna e in nessun altro luogo al mondo”.

 

 

Le sue parole mi chiariscono il motivo di tanta eccitazione: tre nuove montagne da esplorare, mai ancora documentate, questo per un erpetologo come Michele significa qualcosa di estremamente intrigante: specie nuove! E Michele, che lavora in Africa Orientale dal 1997, di specie nuove al suo attivo ne ha parecchie: “circa una sessantina”, mi dice sorridendo orgoglioso. Ma non sono solo quelle nuove ad essere importanti per Skyislands: “l’analisi genetica delle specie che troveremo ci permetterà di ricostruire le dinamiche evolutive di colonizzazione di queste foreste, in altre parole di scavare in un passato, quello della vita, profondo milioni di anni”.

 

Mi viene difficile immaginare cosa significhi andare a caccia di serpenti, per lo più velenosissimi, nella foresta pluviale. Mi rivolgo quindi a Fabio Pupin, biologo, che insieme a Michele farà parte del team scientifico della spedizione: “ma qual è la giornata tipo di un erpetologo in missione?”. Più calmo e rilassato di Michele, Fabio si siede e mi regala un po’ foresta con il suo racconto ... “La giornata comincia presto, all’alba, quando i serpenti escono a scaldarsi con il primo sole. Si cerca nelle radure, negli spazi aperti, basta un tronco caduto, che abbia aperto una finestra nella volta. In certi casi gli esemplari vengono raccolti e fotografati; in altri vengono raccolti campioni di tessuto o di sangue per le analisi genetiche. Poi al campo c’è un sacco da fare, preparare campioni, registrare i dati raccolti, definire i percorsi. La foresta è ricca di microhabitat differenti ma sono molto difficili da trovare, spesso sono distanti fra loro. Per questo bisogna attivarsi di giorno, individuando gli ambienti migliori per ogni tipo di animali. Pozze, torrenti, paludi nel caso degli anfibi. Ci si apre la via con il machete, si registrano i percorsi sul gps. Tutto dev’essere pronto ...”

 

Per cosa, mi chiedo. “Per la notte”, riprende Fabio con lo sguardo avido di chi stia pregustando il dessert. “E’ quello il momento clou per cercare gli animali. Si inizia al tramonto del sole, quando gli anfibi sono al massimo della loro attività.” Quella in cui partirà Skyislands è la stagione delle piogge, che per gli anfibi corrisponde alla stagione riproduttiva, mi spiega Fabio: questo vuol dire che la notte la foresta è un coro di gracidii e il canto dei maschi è spesso un’ottima traccia per identificarli e individuarli.

 

Anche per cercare i camaleonti la notte è il momento migliore, di giorno “beh sanno far bene il loro lavoro” sottolinea Fabio, “mentre con il buio diventano chiari, più facili da individuare con la luce della torcia, e lo stesso per i serpenti, traditi dalla pancia pallida mentre si ciondolano sonnacchiosi sui rami. Ma una volta individuati ...” Fabio smette improvvisamente di parlare. “...una volta individuati?” gli chiedo infastidita dall’interruzione. “Non posso raccontarti tutto, devi aspettare il film per il resto!”

 

 

Ebbene sì, parte dell’emozione per questa partenza è data dal fatto che la spedizione scientifica Skyislands diventerà un film, grazie a una troupe di filmakers che seguirà passo passo i ricercatori attraverso le foreste, per raccontarci quello che finora per noi è sempre rimasto confinato nel mondo dell’immaginazione: cosa significa esattamente fare ricerca in mezzo alla foresta, come si comportano e quali sono le bizzarre creature la popolano, cosa ci raccontano le specie e perché sono così preziose le informazioni che custodiscono, com’è fatto il nostro mondo, com’è la notte, nel cuore della foresta. Unire cinema e ricerca sul campo, mi pare un esperimento estremamente interessante, forse il primo nel suo genere, qui in Italia. Abituati a delegare la natura allo sguardo BBC, mi chiedo quale sarà l’interpretazione nostrana di scienza e ricerca.

 

Mi viene in aiuto Samuele Pellecchia, uno dei registi del film. Aria allegra e sguardo intenso di chi ne ha viste tante, grande sorriso e risata sonora, acquisita nei numerosi angoli di mondo e di storia che Samuele ha documentato nella sua carriera: “l'idea sulla quale lavoreremo filmicamente” mi racconta, “sarà un tentativo di amalgamare una visione scientifica ad una più umanistica. Proprio per questo seguiremo passo passo la vita sul campo degli scienziati, il loro lavoro di esplorazione, ricerca e catalogazione, ma cercheremo anche di cogliere le relazioni che si stabiliranno nel gruppo e le domande che ognuno di loro si porrà e lo spirito che in una condizione così particolare si instaurerà”.

 

Non c’è dubbio, il progetto e affascinante e innovativo, ma c’è di più. Scopro infatti che i fondi necessari alla produzione del film verranno raccolti attraverso un’azione di crowd-funding, che in altre parole, mi spiega Fabio, “è, letteralmente, la forma più diretta di finanziamento pubblico possibile e si basa sulla disponibilità di una qualunque persona interessata a sostenere, tramite un contributo di entità variabile, un’idea in cui crede”: ovvero, il progetto viene presentato al pubblico e il pubblico stesso, senza intermediari, può sostenere lo sviluppo di un determinato progetto. “Una sorta di mecenatismo non interessato”, aggiunge Fabio. Realizzo quindi che la possibilità di sentire la fine del racconto di Fabio dipende anche dal mio contributo. Non ho dubbi, mi sento un po’ come i grandi sovrani del passato che finanziavano epiche spedizioni geografiche, voglio però assorbire ancora un po’ del loro entusiasmo e determinazione. “Datemi tre ottime ragioni per finanziare Skyislands” chiedo a Fabio, Samuele e Michele.

 

“Il film Skyislands è il nostro strumento per raccontare il nostro lavoro di ricercatori”, dice Fabio. “La ricerca è un bene della collettività e alla collettività chiediamo aiuto per sostenerla”. “Questa missione sarà una delle ultime possibilità per gli scienziati di indagare zone del pianeta inesplorate, e per noi di osservarli” dice Samuele, “ e il nostro compito, attraverso il film, sarà quello di far vivere a tutti quest'avventura”. E, conclude Michele, “si tratta di diventare parte del processo di conoscenza che ha avuto inizio con la storia dell’uomo”.



Siamo gli unici animali ad avere la fortuna di poter contemplare il nostro mondo in maniera consapevole, e il poter essere trasportati attraverso le immagini in angoli del pianeta ancora sconosciuti a guardare un universo così straordinariamente ricco e diverso dal nostro, è un privilegio unico e ormai raro. Non ho dubbi sul valore della spedizione e spero che il mio contributo, per quanto piccolo, diventi un’immagine indimenticabile.

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