Socialismo, perchè no?
L’interrogativo di questo titolo è lo stesso di un breve saggio di Gerald A. Cohen (pubblicato da Ponte alle Grazie nel 2010) e, come voleva il filosofo canadese morto nel 2009, non ha alcuna connotazione retorica. Oggi forse come non mai, dopo due o tre crisi mondiali determinate dalla finanza e dal mercato, ha senso interrogarsi sull’attualità del socialismo, sulla sua desiderabilità e sua attuabilità. Nella sua argomentazione Cohen prende spunto da un esempio concreto di socialismo attuato oggi in Occidente, un esempio apparentemente assurdo come il campeggio libero: in effetti in un campeggio, dove la finalità comune è il divertimento e il relax, sarebbe impossibile una convivenza mediata dal denaro e dall’utilizzo di oggetti e tempi mercantizzati. In un campeggio esiste, infatti, un accordo non scritto tra i campeggiatori sull’uso collettivo e gratuito degli oggetti, sulla divisione di compiti e sull’organizzazione razionale senza la finalità del guadagno.
La teoria sul campeggio di Cohen è stata ispiratrice, come altri libri e riflessioni, di un numero speciale, dal titolo Semi di socialismo, della rivista “Gli asini”, un bimestrale che si occupa di educazione e intervento sociale diretto da Goffredo Fofi e Luigi Monti di cui sono redattore. Quando si nomina il socialismo viene in mente un passato molto lontano, addirittura ottocentesco, o uno recente ben peggiore legato al craxismo (incubatore del consumismo e del berlusconismo), ma per semi di socialismo abbiamo intesotutte quelle teorie e azioni che reagiscono e sperimentano contro l’economia, senza passatismi nostalgici o illusioni d’alternativa di sistema.
Nella parte delle teorie abbiamo provato a immaginare “stati dell’arte” e alternative possibili dall’educazione all’intervento sociale, dal lavoro alla politica passando per il welfare, fidandoci di quegli opinionisti che non appartengono al mondo accademico, ma venendo dalle esperienze potrebbero essere definiti “irregolari”: tra questi lo storico Pino Ferraris da poco scomparso e che ha studiato per anni le esperienze dimenticate del sindacalismo ottocentesco.
Confezionando questo numero monografico è stato naturale chiedersi se questi “semi” possano fare scuola, essere d’esempio per altri campi come quello autoreferenziale della cultura - per noi delle Edizioni dell’Asino, una piccola casa editrice indipendente - e per tutti coloro che resistono in questo stesso. Molte delle suggestioni e delle proposte possono venire dalle riflessioni di un esperto e decano dell’editoria degli Stati Uniti come André Schiffrin, il quale nel suo illuminante Il denaro e le parole (Voland 2010) analizza la crisi delle case editrici, delle librerie, della carta stampata proponendo delle alternative reali e ravvisando la causa di questa crisi in un’idea di mercato, il capitale, sostanzialmente sbagliata. Pensando al sistema dell’editoria in Italia, uno tra i tanti punti deboli è rappresentato proprio dalla distribuzione, insufficiente e ingiusta, che non riesce a garantire una reale penetrazione delle opere neanche nelle città maggiori e nelle sue biblioteche.
Un’idea potrebbe essere quella di creare un sistema di gruppi di lettura sul modello dei gruppi d’acquisto - che sono tra l’altro una specificità italiana e sempre più diffusi a Roma - per scavalcare la dittatura dei megastore e per riuscire a reperire quei testi spesso introvabili, anche se presenti nel catalogo delle piccole case editrici. Certo non sarebbe una soluzione e costituirebbe anche un sistema contraddittorio, sempre dipendente dai trasporti e dal prezzo dei carburanti che inciderebbe sui costi ad esempio, ma non è difficile immaginare un sistema di scambi interregionali tra le piccole librerie per ammortizzare le spese e ridurre i chilometri di distanza.
La domanda comunque resta ed è aperta: è possibile immaginare un’indipendenza culturale nelle nostre città, o più semplicemente per tornare a Cohen, un sistema di sviluppo non basato sulla paura e l’egoismo come quello attuale?