Vintage

12 Ottobre 2015

“Mi sveglio, accendo la traballante lampada ad arco trovata in un bric-à-brac e sistemata alla meno peggio sul comodino Ikea. Mi alzo e preparo il caffè con l’ultimo modello di macchinetta Nespresso, rigorosamente modellato sul design da bar anni ’60, mentre scelgo dall’armadio tra gonne a ruota acquistate su Asos, blazer anni ’90 scovato in un second-hand e un bracciale di sapore hippy trafugato dal portagioie di mia madre.”

 

Non è la confusione dovuta alla nostalgia del passato, ma un comportamento ormai quasi standard che rispecchia la dilagante, generalizzata passione per il passato che pare costellare questo scorcio di inizio millennio. La differenza con la nostalgia, fondamentale, risiede soprattutto nella natura del rapporto tra passato e presente, non più di netta opposizione, ma di complessa convergenza e che affonda le radici nella natura mediatizzata della nostra cultura, che grazie ai sistemi di riproduzione, archiviazione, reperimento ha reso il passato – o meglio le sue rappresentazioni più o meno emblematiche – qualcosa di continuamente riattualizzabile e riutilizzabile; ma soprattutto, qualcosa di esperibile.

 

È proprio l’aspetto sensibile a fare di questa tendenza al passato, prima di tutto, un fenomeno di gusto, un catalizzatore di stili di vita: un’estetica del quotidiano. Chiamiamolo stile d’antan, passione retrò, gusto demodé, ma il termine che più si adatta a descriverlo è proprio “vintage”. Ed è ovunque: nella colonna destra dei principali giornali online, presenza fissa tra gossip e video virali, come nelle scenografie di film di successo ai banchi dei supermercati, dove rispuntano packaging finto-d’epoca e prodotti dimenticati.

 

Molto più che descrizione di un fenomeno di moda o dello sfruttamento sistematico e sapientemente manovrato delle risorse del passato a fini di puro consumo, “vintage” è un concetto-chiave per la comprensione dei nostri tempi e del nostro modo di vivere, che Daniela  Panosetti, servendosi di strumenti semiotici e sociologici, sviluppa in modo approfondito e originale con una scrittura tersa e, cosa che non guasta, gradevolissima.

 

 

 

Daniela Panosetti semiologa e giornalista, ha conseguito il dottorato in Semiotica presso la Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna e insegnato presso le Università di Bologna e Sapienza di Roma. È direttore responsabile della rivista di comunicazione ICS Magzine e senior analyst presso l’agenzia di comunicazione Pomilio Blumm. Ha pubblicato Semiotica del testo letterario (Carocci 2015), Passione Vintage (con Maria Pia Pozzato, Carocci 2013) e Comunicare la trasparenza (con Franco Pomilio, Logo Fausto Lupetti Editore, 2013).

 

 

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