Adrian Paci. Vite in transito
Un regista, che di mestiere voleva fare film, si trova invece costretto per sopravvivere e ovviare alle scarse possibilità di sbarcare il lunario, a procurarsi video cassette porno da mostrare segretamente e a pagamento, a uomini in cerca di qualche emozione sessuale. Ben presto però, accorgendosi del business poco redditizio e divorato dai sensi di colpa nei confronti della famiglia, decide di abbandonare l’impresa e di cancellare i nastri, registrandoli nuovamente con immagini televisive tratte dalla cronaca di guerra. La guerra è quella che ha coinvolto i Balcani negli anni ‘90, e il Paese in cui si ambienta questa storia è l’Albania.
La geografia non è un dettaglio, considerata in coppia con la dimensione umana. Electric Blue è un film che riflette, attraverso la vicenda personale di un uomo, la realtà politica e sociale di un Paese al collasso e al tempo stesso le contraddizioni generate dalle incertezze, dalle insofferenze del vivere quotidiano. Bastano quindici minuti ad assorbire per intero l’abilità con cui Adrian Paci ci raffigura un pezzo di mondo, fatto non solo di considerazioni politiche e sociali, ma anche di VHS, di anni ‘90, di pornografia ed effetti economici.
Minuti che sommati a quelli dell’intera filmografia di Paci, trasformano la percezione del tempo in un lungo racconto che viaggia dall’Est Europa fino all’Italia, includendo nella riflessione tutto quello che si addensa in mezzo: emigrazione, lavoro, conflitto, dignità. Spostarsi fra le opere in mostra al PAC di Milano, è un modo per sentire fisicamente vibrare alcune corde che si associano alla coscienza umana.
Quella che suona più forte, si lega a doppio filo con la questione dell’identità. Fragile, contraddittoria, suscettibile ai processi di trasformazione, appare in primo piano nei protagonisti di opere cinematografiche come Turn On (2004) o Centro di permanenza temporanea (2007), ricompare trasfigurata nei lavori più pittorici e citazionisti come Secondo Pasolini (2007) o I Racconti di Canterbury (2010). Ma la storia non si ferma solo al passato, storico e autobiografico, che l’artista ripercorre per tappe, consegnando immagini reali a visioni filmiche e pittoriche.
Lancia sguardi a temi centrali del dibattito attuale, come il problema del lavoro a basso costo, le conseguenze socio economiche prodotte dalla de-localizzazione che mescola usanze e tradizioni. Un blocco di marmo estratto da una cava cinese, viaggia in mezzo al mare su una nave-officina, sotto mazze e scalpelli di un gruppo di operai cinesi in azione per realizzare una colonna in stile classico.
The Column, che per la prima volta compare in Italia, dopo l’esperienza al Jeu de Paume di Parigi in occasione della personale di Paci, è un film che da un lato conserva l’enigma di una vicenda senza tempo e senza luogo, dall’altro la lucida considerazione sugli effetti che questo cambio di strategie di lavoro ha provocato. Urgenze che si mischiano all’enfasi delle riprese, creatrici di immagini sbiadite dalle polveri bianche della pietra, immacolate, immortali. Il mutismo rassegnato dei lavoratori, non trapela nessun indizio di meta. La nave viaggia, lenta e inesorabile, come ad assecondare il tempo degli operai e la trasformazione della pietra, che da blocco informe si fa opera.
La colonna si è materializzata qui, dentro al Museo, atterrata come un meteorite o riemersa dalle acque di una bassa marea. Da immagine filmica si è fatta reale, riattivando ancora una volta il passaggio osmotico fra realtà e rappresentazione con cui Adrian Paci ci tiene costantemente vigili e svegli.
Adrian Paci – PAC Milano
a cura di Paola Nicolin e Alessandro Rabottini