Alfabeto finanziario 5. L’insostenibile leggerezza della sostenibilità 

Senza misure le società non possono funzionare.

In tutte le società, le misure delle attività dell’uomo hanno assunto un valore sacro.  

Nei libri di Mosè della Bibbia si legge: “Non commetterete ingiustizie nei tribunali, né con le misure di lunghezza, né coi pesi, né con le misure di capacità. Avrete stadere giuste, pesi giusti … Non avrai nella tua sacchetta due pesi, uno grande e uno piccolo. Non avrai in casa due misure, una grande e una piccola. 

E poi nella sura 83 del Corano: Nel nome di Dio, clemente e misericordioso. 1 Guai ai frodatori sul peso, 2 i quali quando richiedono dagli altri la misura, la pretendono piena! 3. E quando pesano o misurano agli altri danno di meno! 

Alla fine del mondo, il “giorno grande” o “il giorno terribile”, secondo Maometto, il Giudizio Universale secondo i cristiani, le azioni degli uomini saranno pesate. Negli antichi Egizi il compito della pesatura era assegnato al sacerdote Amon; nel cristianesimo, all’arcangelo Michele, che vediamo raffigurato in migliaia di affreschi e quadri, nelle cattedrali romaniche o gotiche. Il giorno del giudizio Universale, San Michele peserà le azioni degli uomini con una bilancia giusta; restituirà in cambio una giusta misura.  

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Dopo le religioni, sono stati gli stati e i governi a impegnarsi nella fissazione di misure condivise. “Un re, una legge, un peso e una misura!” gridavano i contadini alla vigilia della Rivoluzione francese. Fino alla fine del Settecento in tutto il mondo prevaleva una frammentazione delle misure, anche all’interno di uno stesso paese o città. Unificando le misure e le istituzioni, i contadini francesi pensavano di raggiungere anche la giustizia, l’uguaglianza e la libertà. (Le citazioni precedenti sono tratte dal libro di Witold Kula, Le misure e gli uomini dall’antichità a oggi. di cui caldeggiamo una nuova pubblicazione, essendo introvabile l’edizione pubblicata da Laterza nel 1987).

L’introduzione del sistema metrico decimale è stato uno dei grandi lasciti della Rivoluzione francese. La Commissione che nel 1791 lanciò il sistema metrico decimale – tranne che nei paesi anglosassoni – era presieduta dal matematico Joseph-Louis Lagrange. Da allora la metrologia, la scienza delle misure, ha conseguito grandi progressi, culminati nella Conferenza generale dei pesi e delle misure del 1960. Dopo decenni di discussioni per standardizzare i pesi e le misure del mondo, nel 1960 fu raggiunto un accordo per introdurre sei unità di base per misurare ogni aspetto della realtà fisica (Felix Martin, Denaro, Utet, 2014): il metro per l’estensione lineare; il chilo per la massa; il secondo per il tempo; il grado Kelvin per la temperatura; la candela per la luminosità; l’ampere per la colonna elettrica. La collaborazione internazionale in campo commerciale, medico, scientifico sarebbe impossibile senza unità di misure universalmente accettate.  

Le misure dell’economia

Quando passiamo a parlare di misure di fenomeni economici, e delle relative statistiche, l’approccio alla misurazione è simile a quello della metrologia. Il concetto di statistiche ci riporta a un’idea di numeri, ma le statistiche sono costruite, prima che sui numeri, sulle parole necessarie a definire le informazioni sui fenomeni che vogliamo misurare. Le parole descrivono i criteri da seguire nella raccolta delle informazioni e la metodologia da adottare nella elaborazione delle metriche che quantificano i fenomeni osservati.

Ciò avviene sulla base di regole concordate a livello internazionale. Le regole condivise permettono che un dato fenomeno – sia esso il Prodotto interno lordo (PIL) o il rendimento di un titolo azionario o il rapporto tra debito pubblico e PIL – sia misurato in maniera standardizzata, consentendo di disporre di indicatori attendibili e confrontabili nel tempo e nello spazio. Dopo la seconda guerra mondiale, le statistiche economiche hanno segnato grandi progressi. Quando parliamo di esportazioni e importazioni, di consumi e investimenti, di ricchezza e debiti delle famiglie, di depositi e prestiti delle banche, i confronti tra i paesi sono molto più attendibili che 70 o 30 anni fa. 

Le regole per costruire le statistiche sono cambiate nel tempo, perché la realtà economica che si cerca di misurare è in continua evoluzione (questa è una differenza con la metrologia, nella quale i concetti di metro o di chilo non cambiano nel tempo): sorge l’esigenza di un aggiornamento delle metodologie da seguire nella definizione, classificazione e raccolta delle informazioni. L’esempio classico è quello dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, comunemente definito tasso d’inflazione. Il fenomeno dell’aumento dei prezzi è sempre lo stesso ma la definizione dei beni su cui viene calcolato muta nel tempo, legandosi ai cambiamenti della tipologia dei beni e servizi che consumiamo. La chiavetta USB, la bicicletta elettrica o lo smartphone, per fare alcuni esempi, non erano presenti nell’indice 30 anni fa.

Le statistiche della sostenibilità

Quando emerge l’esigenza di avere statistiche su fenomeni del tutto nuovi, è necessario stabilire delle regole condivise che consentano la loro corretta misurazione. Consideriamo il concetto di sostenibilità e, in particolare, la sua applicazione all’economia e alla finanza. È possibile misurare la sostenibilità in campo finanziario? Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è scriveva Galileo Galilei. Quindi per misurare la “sostenibilità”, a prima vista un concetto non quantificabile, dobbiamo partire dalla sua definizione. Di nuovo ci servono delle parole per farlo. 

Nel rapporto finale della Commissione ONU sull’ambiente e lo sviluppo, conosciuto come rapporto Brundtland (1987), lo “sviluppo” viene definito come sostenibile quando soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri. Lo sviluppo è sostenibile se consente alla generazione presente di vivere bene senza ipotecare le possibilità di chi verrà dopo di noi di stare altrettanto bene (o meglio). Non vogliamo correre il rischio di finire nel mondo preconizzato nei film della serie Mad Max e Terminator (peraltro belli e che speriamo continuino a essere girati). Lo sviluppo sostenibile richiede però di essere realizzato attraverso investimenti, pubblici o privati, che devono raccogliere le risorse necessarie sui mercati finanziari. È questa una delle idee su cui poggia la “finanza sostenibile”, una finanza che indirizza i capitali verso attività e progetti che consentano di conseguire uno sviluppo sostenibile anche nel lungo termine. 

L’insostenibile leggerezza delle statistiche sulla sostenibilità

Come facciamo a valutare la sostenibilità di un prodotto finanziario e a confrontarla con quella di altri prodotti? Da oltre un quindicennio i mercati finanziari utilizzano l'acronimo inglese ESG (Environmental, Social and Governance) come etichetta per valutare se un investimento sia sostenibile, ovvero se questo investimento, oltre al rendimento, realizzi qualcosa di utile per la collettività. La sostenibilità dei titoli o dei prodotti finanziari è valutata attraverso i punteggi ESG, valutazioni di agenzie specializzate che esprimono un giudizio quantitativo sintetico sulla sostenibilità ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance) delle imprese o degli stati. 

Al momento i punteggi ESG sono elaborati sulla base delle informazioni fornite dalle imprese o stimate dagli analisti delle società specializzate. Esempi sono le emissioni carboniche (profilo ambientale), il rispetto delle regole sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro (profilo sociale), le politiche retributive degli amministratori (profilo di governo societario). Tuttavia, le metodologie utilizzate per pervenire a questi punteggi non seguono standard formalizzati e condivisi; sono eterogenee per quanto riguarda la tipologia e il numero di informazioni considerati e la rilevanza assegnata ai diversi aspetti della sostenibilità. Di conseguenza, i punteggi ESG di una certa impresa calcolati da agenzie diverse possono risultare molto differenti tra loro. 

Possiamo considerare gli indicatori ESG abbastanza “solidi” per permettere a un investitore di distinguere tra imprese e tra opportunità di investimento? Fino a che punto questi indicatori possono offrire una valutazione quantitativa del rispetto dell’ambiente o della tutela dei diritti dei lavoratori? (che non vorremmo far lavorare nelle condizioni della famosa foto scattata sul grattacielo americano).

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Dobbiamo ammettere che gli indicatori ESG non sono ancora solidi. Gli antichi Egizi, le religioni monoteistiche del Medio Oriente e i contadini francesi del 1789 non sarebbero stati contenti delle attuali misure ESG. E, venendo all’oggi, molti analisti denunciano da anni il rischio di greenwashing o di socialwashing: ci sono imprese che dichiarano di essere in linea con i criteri ambientali o di rispetto dei diritti dei lavoratori, senza esserlo affatto. 

I margini di miglioramento della capacità degli indicatori ESG di segnalare l’effettivo allineamento delle imprese ai principi di sostenibilità sono dunque ampi. L’evoluzione regolamentare in corso a livello internazionale mira a rafforzarne l’affidabilità, stabilendo classificazioni concordate per le informazioni pubblicate dalle imprese affinché possano qualificarsi come sostenibili. 

È con questo fine che la Commissione Europea ha pubblicato una tassonomia che stabilisce i parametri per definire le attività economiche sostenibili da un punto di vista ambientale e, in prima battuta, per stabilire se esse contribuiscano alla mitigazione dei rischi climatici e all’adattamento climatico. Il compito è stato complesso ma è giunto a conclusione: si sono stabilite quali attività sono sostenibili e quali no, partendo da una loro classificazione basata su di una serie di criteri tecnici (come ad esempio le emissioni specifiche di gas serra o di consumi idrici). 

Siamo invece più indietro nella definizione dei criteri per la sostenibilità sociale. Sono buoni indicatori la “quota di donne tra i dipendenti” o il “rispetto del diritto di associazione tra i lavoratori”? L’individuazione di criteri condivisi è in questi casi un compito ancora più arduo. Solo quando si sarà raggiunto una condivisione sui criteri in base ai quali  le imprese possono essere considerate coerenti con gli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite relativi, per esempio, a standard lavorativi, inclusione e diritti umani, potremo avere una valutazione quantitativa meno “leggera” della sostenibilità dei nostri investimenti finanziari (per saperne di più).

Un esempio chiarisce i termini della discussione. Tesla è la famosa multinazionale fondata da Elon Musk, specializzata nella produzione di auto elettriche. Il suo obiettivo dichiarato è l'accelerazione verso "la transizione del mondo all'utilizzo di fonti di energia rinnovabili", riducendo la dipendenza dai combustibili fossili. A dispetto di questo obiettivo di contrasto al cambiamento climatico, lo scorso maggio Tesla è stata esclusa da uno dei principali indici di mercato ESG, lo S&P 500 ESG Index, un paniere di azioni delle principali aziende americane che hanno elevati punteggi di sostenibilità. Il punteggio ESG di Tesla è stato penalizzato per gli aspetti relativi all'ambiente di lavoro, alla discriminazione e alla sicurezza del sistema di guida autonoma. Il caso Tesla conferma che la sigla ESG non deve essere confusa con la sola attenzione verso l'ambiente. È invece una valutazione dell'impegno di una azienda su più fronti, rafforzando l’indispensabilità di costruire statistiche affidabili.

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