C'era una volta la Banca d'Italia
Gianni: lavoro e rigore. Con Gianni Toniolo, scomparso il 13 novembre 2022, ci si incontrava a pranzo in piccoli ristoranti dalle parti di via Nazionale a Roma. Non appena seduti, Gianni iniziava con i rimbrotti: “Non avete finito le stime del PIL, dei consumi e degli investimenti dal 1861 a oggi. Non mi avete dato i dati della moneta, né i bilanci bancari. E dove sono gli indicatori sulla concorrenza bancaria dagli anni Trenta del Novecento che avevate promesso? E dove è l’analisi della corrispondenza dei Governatori? Noi, quasi tutti dipendenti della Banca d’Italia coinvolti in lavori di storia economica, cercavamo di ribattere, ma Gianni rimaneva un fiume in piena.
Le prime fatiche. Gianni, già dalla gioventù, era stato un attivissimo organizzatore culturale. Nel 1973 aveva curato per Laterza una antologia sullo sviluppo economico italiano dal 1861 al 1940. Nel 1977 Federico Caffè, contrarissimo ai viaggi, aveva preso il treno per andare a Ca’ Foscari “perché lo aveva incuriosito un giovane e promettente giovane storico veneziano, Gianni Toniolo” (citato da Daniele Archibugi, “Maestro delle mie brame. Alla ricerca di Federico Caffè”, Fazi editore, 2022). Gli atti della conferenza sarebbero stati pubblicati nel 1978 da Etas Libri, con saggi, tra gli altri, di Valerio Castronovo, Giovanni Malagodi e Pasquale Saraceno: è un libro ancora utile per capire i tratti essenziali della Grande Depressione degli anni Trenta e, soprattutto, i perversi rapporti instauratasi tra banche e industria, il catoblepismo, secondo l’espressione coniata da Raffaele Mattioli.
Gianni e la Banca d’Italia. La consuetudine di lavoro tra Gianni e la Banca d’Italia era nata negli anni Ottanta del Novecento. Carlo Azeglio Ciampi, Governatore dal 1979 al 1993, aveva voluto lanciare una grande ricerca storica, per celebrare i 100 anni di creazione della Banca, nata nel 1893. La ricerca è proseguita dopo il 1993, articolandosi in una cinquantina di volumi, pubblicati da Laterza, Marsilio e Il Mulino, ora disponibili online. Hanno contribuito alla ricerca alcuni tra i maggiori economisti, storici e giuristi italiani, da Carlo Maria Cipolla a Luigi Spaventa, da Marcello De Cecco a Giuseppe Guarino, da Franco Cotula a Guido Rey. Gianni era tra i più giovani del gruppo; scrisse e curò saggi sulla politica monetaria e sulla storia bancaria.
Nel corso degli anni il rapporto tra Gianni e la Banca d’Italia si sarebbe rafforzato. In occasione dei lavori di ricerca per festeggiare i 150 anni dell’unificazione italiana, Gianni era diventato il coordinatore di tutti i lavori, il nocchiero della ricerca storica della Banca d’Italia. A conclusione della ricerca, nel 2013 era uscito un volume per Marsilio, con una sintesi magistrale di Gianni delle vicende della crescita economica italiana dal 1861 al 2011.
Con un po’ di leggerezza si può azzardare l’ipotesi che il Gino Bartali della foto della copertina sia lo stesso Gianni. Nella foto si intravede, in piccolo e staccato, Fausto Coppi, che potrebbe identificarsi con Stefano Fenoaltea, altro grande storico economico italiano, scomparso nel 2020. E in effetti anche Gianni e Stefano – lontani caratterialmente – sono stati, nel confronto scientifico, amici e avversari in maniera simile alla coppia Bartali – Coppi, confrontandosi su tanti temi centrali della storia economica italiana. E anche noi, piccoli epigoni, siamo stati (e continuiamo a essere), alternativamente, dalla parte di Gianni o di Stefano.
Nel 2017 Gianni curò, insieme a Alfredo Gigliobianco, un volume sui nessi tra concorrenza, mercato e crescita nel lungo periodo. La produzione scientifica di Gianni è stata torrenziale; Guido Pescosolido ne ha sottolineato il valore “imponente”, inquadrandola nella storiografia economica italiana del secondo dopoguerra. Tra le innumerevoli iniziative di Gianni va ricordata la rinascita, promossa insieme a Pierluigi Ciocca, della Rivista di Storia Economica nel 1984. Fondata nel 1936 da Luigi Einaudi, che ne era direttore, la Rivista è una delle più antiche del settore a livello mondiale (ma aveva interrotto le pubblicazioni nel 1943).
La storia della Banca d’Italia. Ma concentriamoci ora sull’ultima fatica di Gianni, la “Storia della Banca d’Italia. Tomo I. Formazione ed evoluzione di una banca centrale, 1893-1943” (la sorte non gli ha concesso di portare avanti il secondo tomo). È un libro di 736 pagine, più altre 70 di riferimenti bibliografici e indici. Gianni ha ripreso parte dei suoi contributi precedenti – scherzando sul considerare l’autoplagio” un peccato piuttosto veniale – ma arricchendoli e fondendoli con studi più recenti, nuove ricerche quantitative e documenti originali, compiendo nuovi scandagli nell’oceano rappresentato dall’Archivio storico della Banca d’Italia.
La storia della banca centrale è in parte la storia dell’Italia. C’è il primo trentennio, dal 1861 al 1893, di bassa crescita, e di crisi bancarie, risolte, con una costruzione imperfetta, con la creazione della Banca d’Italia. Segue un periodo di accelerazione della crescita (sul punto Stefano Fenoaltea non è stato mai d’accordo), coincidente in buona misura con l’età giolittiana, fino all’inizio della guerra nel 1914.
La Banca d’Italia partecipò alle vicende del finanziamento della I guerra mondiale. Poté fare poco contro l’inflazione del 1919-1920, in anni di drammatica contrapposizione sociale. L’economia italiana si riprese dal 1922 al 1925, ma negli anni seguenti l’instabilità tornò a manifestarsi; nello stesso arco temporale, il consolidamento del regime fascista comportò il venir meno dell’autonomia della banca centrale. Nel 1926 la lira si svalutò; nello stesso anno il Governo impose un consolidamento dei titoli del debito pubblico, un mancato rimborso (un default) usando il lessico di oggi. Nel 1927 Mussolini annunciò la rivalutazione della lira, la famosa “Quota 90” (la fissazione del cambio a 90 lire per una sterlina). Sugli effetti di Quota 90 sull’economia italiana gli studiosi si sono sempre divisi. Secondo Toniolo nel breve periodo le conseguenze sull’economia non furono pesanti, ma un cambio più favorevole – ad esempio 120 lire per sterlina – avrebbe aiutato a combattere meglio l’instabilità che stava per abbattersi sull’economia italiana.
Nella seconda metà degli anni Venti le crisi bancarie ripresero: coinvolsero banche cattoliche, istituti di credito operanti a Firenze e Napoli, la banca Italo-Britannica (mettendo a rischio le relazioni tra la finanza inglese e la Banca d’Italia), la Banca Agricola Italiana, molto importante (torneremo sulla vicenda più avanti). Dopo la caduta della Borsa di Wall Street dell’ottobre del 1929, l’Italia fu colpita dalla Grande Depressione, con forti contrazioni del PIL, dei consumi, degli investimenti. Le grandi banche – Banca Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma – crollarono e furono salvate con la costituzione nel 1933 dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). I salvataggi furono concepiti da Alberto Beneduce, coadiuvato da Donato Menichella, con un ruolo marginale della Banca d’Italia. Del resto, l’IRI servì anche a salvare la Banca d’Italia dal dissesto: negli anni precedenti la banca centrale si era esposta con le grandi banche, nel vano tentativo di salvarle, accumulando crediti inesigibili. La riforma bancaria fu completata dalla legge bancaria del 1936: Gianni ricorda una passeggiata degli anni Ottanta a Roma, a villa Borghese, con Pasquale Saraceno che gli disse “Su quella panchina Menichella e io abbiamo fatto la legge bancaria” (Menichella sarebbe poi stato Governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960). Con la legge bancaria si completò la riforma imperfetta delle funzioni di una banca centrale che era iniziata nel 1893 (del resto noi italiani siamo sempre lenti nell’attuare le riforme), dando alla Banca d’Italia l’assetto istituzionale di una moderna banca centrale.
Gianni conclude il volume analizzando gli anni peggiori del Novecento per l’Italia: l’autarchia, le leggi razziali, l’entrata in guerra e la disfatta. Nel periodo la Banca d’Italia fu guidata da Vincenzo Azzolini, diventato Governatore nel 1931.
Come abbiamo detto il libro è storia della Banca d’Italia e dell’economia italiana, ma contiene anche ritratti di un gran numero di personaggi, che offrono una sorta di sintesi del carattere degli italiani. Ricordiamo due protagonisti, come ce li restituisce Gianni.
Bonaldo Stringher. Bonaldo Stringher (1854-1930) fu Direttore Generale della Banca d’Italia dal 1900 al 1928 e Governatore da quando la carica fu istituita, sempre nel 1928, fino alla morte. Nel 1900 Stringher osservò che fra Banca d’Italia e Stato “non può essere dissidio”. Nella realtà, per affermare l’indipendenza della banca centrale – in un quadro istituzionale molto diverso da quello odierno – Stringher ebbe scontri con molti ministri del Tesoro. I rapporti furono complicati con Ernesto Di Broglio, ministro nel 1902, a proposito di un’operazione riguardante il debito pubblico italiano. Ma le relazioni non furono facili con Francesco Saverio Nitti, nel 1916-1917, in particolare sulla questione del controllo dei cambi con l’estero. I rapporti furono pessimi con Alberto De Stefani, nominato nel 1922, dopo la marcia su Roma, Ministro del tesoro e delle finanze; i litigi riguardarono questioni riguardanti i prestiti internazionali ottenuti dall’Italia e l’orientamento della politica monetaria; De Stefani arrivò alla proposta di sostituire Stringher, nominando al suo posto Guido Jung come Direttore generale della Banca d’Italia (Jung sarebbe diventato ministro nel 1932). Ma Stringher si scontrò nel 1922 anche con il Ministro del tesoro Giuseppe De Nava sui rapporti tra Banca d’Italia e Tesoro; e nel 1925 con il Ministro Giuseppe Volpi, esplicito nel negare l’indipendenza della Banca d’Italia. In estrema sintesi, le istituzioni collaborano ma si scontrano, come è naturale che sia.
Abbiamo ricordato il caso della Banca Agricola Italiana, che crollò nonostante un sostegno fornito nel 1929 dalla Banca d’Italia. L’Agricola Italiana era di proprietà dell’imprenditore Riccardo Gualino che, in barba a ogni conflitto di interesse, l’aveva comprata per finanziare le sue imprese, in particolare la Snia Viscosa. La Banca Agricola fallì nel 1931, nel mezzo di una congiuntura economica drammaticamente peggiorata a causa dell’esplosione della Grande Depressione. Gianni solleva l’interrogativo di perché Stringher all’inizio si fosse fidato di Riccardo Gualino. È un interrogativo senza risposta. Forse pesarono le cattive condizioni di salute di Stringher, che sarebbe morto nel 1930. Forse Stringher subì il fascino di un personaggio che mischiò un grande ascendente personale e uno spirito imprenditoriale straordinario a comportamenti da avventuriero (un po’ come il Vittorio Gassmann del film “Il mattatore”): Gualino, soggetto di un’attenzione critica crescente, è stato sia signor Hyde sia dottor Jekyll (consigliamo a Netflix di proporre le sue vicende in una serie televisiva).
Giuseppe Nathan. Giuseppe Nathan (1887-1952) – figlio di Ernesto, sindaco di Roma dal 1907 al 1913 – è stato il delegato della Banca d’Italia a Londra dal 1916 al 1938. La sua corrispondenza è una miniera, ancora poco esplorata, di storie riguardanti l’economia e la finanza italiana. C’è la collaborazione tra le banche centrali, gloriosa negli anni Venti, drammaticamente fallita negli anni Trenta, quando le relazioni internazionali tra le nazioni peggiorarono, aprendo la strada all’autarchia e alla guerra; ci sono i problemi della gestione del debito pubblico e della raccolta di finanziamenti esteri per l’Italia; c’è la registrazione di valutazioni, non sempre lusinghiere, dei mercati finanziari inglesi sul nostro Paese. Nathan partecipava a conferenze; incontrò più volte il più grande economista del Novecento, John Maynard Keynes, manifestando idee diverse sulla tenuta del sistema aureo (in questo caso Nathan aveva torto). Da Londra scambiava lettere e inviava relazioni a Stringher, Azzolini, Beneduce, accompagnandoli nelle sedi istituzionali dove si svolgevano le trattative internazionali; i tre, come gran parte della classe dirigente dell’epoca, conoscevano il francese; per l’inglese talvolta si ha l’impressione che rispetto alla padronanza della lingua da parte di Nathan, Stringher, Azzolini e Beneduce fossero simili a Peppino De Filippo e Totò nell’arrivo a Milano. Alcuni dei rapporti di Nathan finivano nelle mani di Mussolini, che si fidava più delle sue analisi che dei rapporti dei servizi segreti. Gianni definisce Nathan “instancabile e pervicace”; per difendere le posizioni italiane non esitava a incontrare Montagu Norman, il leggendario Governatore della Bank of England dal 1920 al 1944.
Quasi il 5 per cento dei dipendenti della Banca d’Italia avevano cognomi che indicavano una “razza ebraica”. Un sottoinsieme di loro fu licenziato a seguito delle leggi razziali del 1938. Giuseppe Nathan fu il dirigente licenziato con il grado più alto. Malgrado l’accaduto, nel 1944 Nathan fu generoso: testimoniò a favore dell’ex Governatore Azzolini nel processo intentatogli per il trafugamento delle riserve in oro dell’Italia da parte dei tedeschi nel 1943.
Diffondere le idee di Gianni. Non era sempre facile discutere con Gianni. Non si arrendeva a riconoscere le ragioni dell’interlocutore. E così iniziavano lunghi dibattiti. Sul debito pubblico italiano. Sulla Germania. Sulla politica monetaria. Sui comportamenti delle banche. Su cosa citare e cosa non citare. Su storici e studiosi da lui non amati o, all’opposto, idolatrati. E così gli scappava, in dialetto veneziano, “siete dei mona!” (Luca Paolazzi ha raccontato di simili interazioni).
Noi eravamo un po’ provocatori; ci divertivamo a punzecchiare Gianni su un tema di studio a lui caro. È un argomento delicato, come chiacchierare in un bar dello sport italiano della superiorità delle squadre di calcio milanesi, torinesi, romane o del Napoli (si corre il rischio di uscire malconci dalla discussione). Il tema era: chi ha inventato l’attività bancaria in Italia? Secondo alcuni sono stati i Bardi, i Peruzzi e i Medici, dunque banchieri toscani del Trecento, talvolta creditori, falliti, del re d’Inghilterra. Ma secondo altri sono stati i banchieri di Genova; la Casa di San Giorgio, nata nel 1404, è stata la prima banca moderna, che nelle Istorie fiorentine Machiavelli definì “uno Stato nello Stato”. Altri studiosi sottolineano il ruolo dei banchi pubblici napoletani, che a partire dal XVI secolo misero in circolazione strumenti finanziari simili alle banconote, cento anni prima degli analoghi esperimenti inglesi. Qui Gianni non ammetteva ragioni ed esplodeva “Non capite nulla, i primi banchieri sono stati i veneziani, che hanno inventato la moneta scritturale e il giroconto!”. Noi protestavamo. Gianni, naturalmente, non ci stava a sentire.
Va riconosciuto che la sua trattazione delle origini delle banche nel volume del 2022 è stata esemplare, più tollerante rispetto al clima delle nostre discussioni prandiali. Bandito il campanilismo veneto, Gianni ha dedicato uguale spazio ai banchieri toscani, genovesi, napoletani e veneziani. Ha poi approfondito alcuni elementi di central banking dell’attività delle prime banche italiane. Insomma, gli italiani avrebbero non solo inventato l’attività bancaria moderna, ma anche dato vita a banche che svolgevano il prototipo di alcune funzioni tipiche delle banche centrali. È una sorta di retrodatazione della nascita delle banche centrali, tradizionalmente fatta risalire alla nascita della Banca centrale svedese (1668) e della Bank of England (1694). Gianni riassume le funzioni originarie delle banche centrali, in gran parte svolte ancora oggi: mettere ordine nell’emissione delle banconote; gestire la tesoreria dello Stato, vale a dire gli incassi e i pagamenti pubblici; soprattutto, contrastare l’instabilità bancaria attraverso l’offerta di finanziamenti agli intermediari in difficoltà. Politica monetaria discrezionale e vigilanza sulle banche sarebbero apparse solo nel corso del Novecento.
Gianni aveva una grande passione civile. La sua bussola rimaneva l’Europa. Era molto preoccupato per la stagnazione venticinquennale dell’economia italiana. Lo angosciava il futuro dei giovani. Ci aveva proposto una lezione, rivolta agli studenti, su come fare educazione finanziaria usando la storia economica. Non abbiamo fatto in tempo a organizzarla. Diffondere il suo ultimo libro e le sue idee sarà il modo migliore per ricordare Gianni.