La cura dello sguardo / Ansie e rimedi
Con grande sorpresa sono arrivato al sessantesimo anno. Sono nato a Bisaccia, Irpinia d’Oriente, il 19 febbraio del 1960. Mio padre Luigi e mia madre Flora tenevano l’osteria, allora la chiamavano cantina. Era appartenuta a mio nonno Vito, morto a trentasette anni, e al mio bisnonno.
Quando avevo tre mesi fui ricoverato al Cotugno di Napoli. Avevo la difterite, malattia per cui mia madre mi raccontava che morivano tanti bambini che erano in quell’ospedale. Lei divenne cardiopatica, e mi diceva sempre che era per colpa della mia malattia.
Mio padre aveva un malumore di fondo, mischiato a una straordinaria capacità, anche comica, di intrattenere i clienti. Niente sembrava che gli andasse bene: neppure io, ovviamente. Non aver goduto della sua stima forse mi ha creato quella voragine di incredulità intorno a cui ruota tutta la mia vita. Anzi, le voragini sono due. L’altra viene da mia madre, dal suo perenne sentirsi malata. Per anni ho temuto la sua morte, poi sono passato a temere la mia. Evento cruciale un attacco di panico sulla sedia del barbiere, il 29 maggio 1986. Da allora vivo come se avessi davanti a me un’ora di vita. L’ansia e la scrittura si sono ben presto intrecciate formando un nodo inestricabile nel mio corpo. Nella scrittura si fondono le due voragini: scrivo a oltranza perché ogni giorno c’è un guasto da riparare, sono la vittima e il miglior custode della mia nevrosi.
Nella mia vita fin qui ho avuto tre grandi fortune. La prima è di aver incontrato Antonietta, la mia sposa. Da Antonietta ho avuto Livio e Manfredi. I miei figli hanno un talento musicale che non chiede la perenne manutenzione che io faccio alla mia scrittura. Viviamo senza alcun reciproco inganno nella casa in cui sono nato. Nel frattempo l’osteria sta in un’altra parte del paese e la tradizione di famiglia continua con mio fratello Vito e i suoi figli.
Le altre due fortune sono state l’aver scansato il servizio militare per effetto del terremoto irpino e l’aver scansato la prigione che avevo cercato candidandomi a sindaco del mio paese. La scelta ancora una volta veniva dal rapporto con mio padre: ho sempre cercato vanamente l’approvazione del paese, come quella del padre. Ma forse per un poeta questa è la cosa più difficile. La poesia è sempre fuori da ogni trama, da ogni ordito civile e domestico. E per questo posso stare a casa e a Bisaccia, perché sono intimo ed estraneo. Ora vado tanto in giro e la poesia è condivisa da tanti lettori. Il tempo poi deciderà cosa resterà di tutte le parole che ogni giorno zampillano dal mio cratere.
I giganti dell’ansia
I miei genitori erano giganti dell’ansia. Mia madre vide partire per l’America tutta la sua famiglia. Lei usciva solo per andare dal medico del cuore ad Avellino e dopo ogni visita mi portava alla Standa. Mio padre non l’ho mai visto a nervi spenti: durante gli incontri di pugilato saltava come un grillo. Le uscite assieme a lui si limitavano a qualche partita di pallone. Per anni mi ha raccontato che una volta a Foggia la folla stava per schiacciarmi.
Quando i nostri genitori ci parlano noi non li ascoltiamo, ci pare che la vita sia altrove, fuori dalla loro ombra. Non sono riuscito mai a farmela raccontare la paura di mia madre, mai sono riuscito a fare compagnia al malumore di mio padre. Quando lo accompagnavo a fare la chemioterapia mi sembrava il momento giusto, mi pareva che fuori dall’osteria finalmente avesse tempo per noi due, ma lui non sapeva niente di me e di sé, lui era la sua osteria e ci è rimasto dentro fino all’ultimo verso. Per lui esisteva solo la metrica dei clienti, la bella figura di vederli contenti quando andavano via.
Consigli per ammalarsi poco
Resta imperfetto. Non preoccuparti se ti opprimono. Peggio per loro. Resta pronto a cambiare. Fatti a pezzi, ma non troppo piccoli, non ti puoi riattaccare. Tieni conto dei tuoi difetti, non di quelli degli altri. Cerca di conoscere bene il luogo in cui ti trovi. Bada all’attimo e all’impressione. Non trattenerti troppo, non farti il nido. Fai molto sesso, specialmente quando non ti sembra il caso. Non confidare troppo nella medicina: ci sono malattie che sono pericolose solo quando sai di averle. Sappi che i poeti sono più forti dei politici e anche dei mafiosi, ma non lo sanno, non sanno che può vivere solo chi ha le zanne di un animale nella carne. Noi siamo quello che ci accade mentre veniamo morsi. Sappi che si continuerà ancora per un poco con le solite manfrine ma nel complesso è finita, appartieni a una specie stanca, superata. Puoi essere sicuro che si muore e su quello che accade prima cerca di rimanere incerto. Conduci la tua esistenza al buio e per conto tuo. Cerca le tue parole. Chi cerca le sue parole si ammala assai poco.
Questi testi sono estratti da Franco Arminio, La cura dello sguardo, Bompiani, p. 208, in uscita il 22 luglio © 2020 Giunti Editore S.p.A./Bompiani - published by arrangement with The Italian Literary Agency.