10 gennaio 1937 - 2 gennaio 2022 / Celati: esercizi per fronteggiare il vuoto

6 Gennaio 2022

1.

Non ricordo la prima volta che Gianni Celati è venuto al mio paese, ricordo benissimo la sua prima lettera in cui mi annunciava che avrebbe pubblicato sul Manifesto tre miei racconti per una sua rubrica. Le lettere che mi mandava mi piacevano più dei suoi libri dove racconta storie. Avevo da poco letto con partecipazione la frase di Zanzotto: io non narro quasi mai e non mi importa molto del narrare. Anche Zanzotto mi scriveva spesso, ma le lettere di Celati erano piccole opere, anche il semplice saluto per mio padre o per mia suocera aveva una sua grazia. Per me Celati è nelle lettere, nelle prefazioni, nelle interviste, nei film, a partire da quello con Ferrario, è nelle conversazioni. Ne ricordo una mentre andavamo verso la pianura campana, parlammo del mistero di avere dei fratelli in apparenza lontani dalla nostra combustione perennemente inquieta.

 

Una giornata con lui era sempre allo stesso tempo profondamente umana e profondamente letteraria, il suo tentativo di scrollarsi di dosso il letterario era quasi sempre fallimentare, la letteratura gli veniva incontro anche quando prendeva un caffè al bar. 

Ricordo una sua lettura di Leopardi al centro anziani di Bisaccia. Alcuni anziani all’inizio continuarono a giocare a carte, poi la voce di Gianni li portò dentro quella cerimonia e la serata andò avanti in un silenzio commovente. Ora forse una storia del genere non potrebbe più esserci. E sarebbe assai difficile trovare uno scrittore che viene a casa tua e si mette a lavorare al tuo tavolo e in poche ore tira fuori quello che poi fu un numero intero di una rivista da un foglio che si chiamava Altofragile: lì Celati presentava varie poesie e dava istruzioni sul come leggerle. 

 

Celati cercava sempre nuovi riti per le sue parole e per le parole degli altri. In fondo la sua lezione è semplice: non accontentarsi delle forme che ci sono, non portare la nostra acqua nelle condotte idriche esistenti. E questa cosa mi è parsa potente quando è uscito Verso la foce. Mai avevo sentito la solennità del raccontare i luoghi senza la lente della denuncia o del compiacimento. E il suo lavoro di limatura ossessiva di quel libro è straordinario perché applicato a frasi che non fanno clamore, frasi che lui direbbe non si travestono da capolavoro. Il mio Celati è quello che cammina verso la foce, è quello che sale nelle corriere da solo o assieme ai suoi amici. La letteratura non si fa tutta sulla pagina. E nel tempo che è arrivato, ormai in sua assenza, la letteratura fatta solo sulla pagina resiste sempre meno, è sempre meno adeguata a fronteggiare il vuoto che si apre ogni giorno sempre più grande sotto i nostri piedi.

 

 

2.

A Celati non interessava molto consolare, gli piaceva produrre perplessità più che convinzioni. Però adesso che è morto, e in qualche modo il suo lavoro è tutto in quello che ha scritto, secondo me si apre una possibilità: parlare del suo lavoro in modo che le sue parole possano arrivare oltre la cerchia dei suoi storici lettori. Mi chiedo come sia possibile portare ai ragazzi la sua visione della vita. Ho la sensazione che tutti quelli che lo hanno conosciuto tendano a tenerlo un poco per loro.

Celati è stato un rivoluzionario della malinconia. E oggi le uniche rivoluzioni possibili non possono che partire dal mettere a frutto le nostre ferite. E qui provo a dire una cosa che forse potrà sembrare polemica: io credo che in alcuni scrittori a lui molto vicini ci sia un atteggiamento che porta a percepirlo come se fosse un po' un Robert Walser dei nostri tempi e cioè uno scrittore per scrittori. Secondo me questo è un errore. E ce ne accorgeremo se qualcuno sarà in grado di allestire un libro non tanto con le storie di Gianni, ma con i suoi pensieri malinconici e sovversivi sul mondo. Insomma, portiamolo fuori dal recinto in cui involontariamente ciascuno a suo modo lo ha collocato. 

 

Ora Celati va letto nelle scuole, va divulgata la sua feroce critica al mondo delle merci: in fondo ha proseguito con altra lingua e altra postura alcune delle riflessioni di Pasolini. Non so se Gianni lo sapeva, ma ora è più necessario che mai. Assai più necessario di alcuni suoi epigoni che cercano il comico a tutti i costi. A me sembra che abbiamo bisogno del dolore che c’è nelle sue pagine, anche se è un dolore mai ostentato. Lui non ha mai indugiato nel vittimismo, ma è un grande scrittore per guarire noi tutti, vittime rassegnate di questo mondo dissacrato.

 

3.

Celati non ha mai scritto quella che comunemente viene definita prosa poetica, ma essenzialmente è un poeta. Lo è nel senso più profondo della parola. In Italia la poesia è stata a un certo punto occupata in gran parte da cuori stretti, spiriti esangui avvinghiati all’esercizio di usare la parola per disincantare il mondo. Poeti a freddo, poeti al chiuso. Celati sa di fresco, è un uomo poetico perché sa di aria, sa di luce. Il poetico, non il gioioso e neppure il disperato, ma forse un particolare intreccio delle due cose, un intreccio ogni volta diverso. Poetico non è il rovistare nel proprio interno come se fosse un santuario. Se c’è un santuario è il mondo esterno. Poetico è il guardare. Celati sapeva che il guardare non è un gesto semplice, è sempre un districarsi dalla passione del guardarsi, in un certo senso guardare è una forma di umiltà e di azzardo, è avventurarsi in qualcosa di meno noto rispetto al nostro corpo.

 

A me pare che la sua lezione sta nel capire che il nostro corpo serve proprio per avventurarsi nel mondo, un luogo per produrre delle fantasie, un luogo per avvicinarsi ad altri luoghi, per attraversarli, per girarci intorno. Celati non è un difensore dei luoghi, non pronuncia mai parole nella retorica del riscatto, dell’impegno, ma in realtà è uno dei maggiori poeti civili che abbiamo avuto in Italia. E troppo spesso dimentichiamo i suoi versi dove racconta lo scempio morale in cui viviamo. Dunque anche dal punto di vista del poetico c’è tanto lavoro da fare per allargare la cerchia dei suoi lettori. E questo non per fare un favore a lui, ma perché se nel mondo passa un poeta il dovere di chi se ne accorge è farlo sapere anche agli altri.

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