Ars Aedificandi

7 Agosto 2012

Fare il muratore non è fare lo stesso mestiere se si ristrutturano case a Parigi, a Londra e ancor meno a Bergamo. Cambiano le condizioni sociali, culturali e anche di sicurezza, oltre che la dialettica e l’approccio al mestiere. Termometro della condizione di salute di una città, il muratore indica il tempo che verrà, il gusto e la qualità di una strada, le persone che vi abiteranno e la società che sarà. D’estate, mentre le città si svuotano, seppur meno di un tempo, tra un arrivo e una ripartenza si prende atto, per strada se non direttamente nella propria stessa abitazione, dell’avanzata dei lavori in corso. Difficile capire se tutto prosegue per il meglio e soprattutto celermente, più che altro si percepisce confusione, polvere e calcinacci in aumento, mentre qualche grida incomprensibile squarcia il silenzio di una qualunque afosa giornata d’agosto in città.

 



Vedere come lavorano, si muovono dall’alto dei ponteggi o come si parlano tra di loro i muratori è una delle esperienze meno descritte e forse tra le più significative per comprendere una città. Non esistono muratori bravi o muratori incapaci, i muratori sono solo quelli che ci sono, gli altri fanno altro, diceva un vecchio muratore che non ne poteva più di dover fare quel mestiere.

A Parigi, città vecchia e affollatissima, l’accrocchio è ancora il principale sistema di ristrutturazione: le case, carissime ma di fattura povera - legno, qualche sasso e un po’ di malta - sono uno scheletro difficile da toccare e non di rado si ha notizia di crolli o smottamenti. Qui le facce che mi guardavano passando davanti alla mia finestra erano più spesso facce di immigrati, ragazzi giovani, facce impertinenti, corpi flessuosi e secchi e occhi spesso smarriti sul da farsi e persi in disgrazie all’apparenza invisibili. Si tratta spesso di lavoratori a chiamata, quando non di clandestini senza patria e nome. Sono giovani e si giocano la loro partita, le carte che hanno in mano non valgono nulla, ma ogni giorno di lavoro è un giorno guadagnato. Le possibilità di emergere e di portare in Francia la propria famiglia o di formarsene una sono pochissime. Una fatica disumana fa parte della loro quotidianità. Ridono spesso, sghignazzano più che altro, ma sembrano anche aver assorbito, forse guidati dal panciuto capo cantiere molliccio e biondiccio, l’abitudine molto parigina ai pranzi al bistrot seguiti da lunghi caffè bevuti con lentezza. La fatica non manca, ma nemmeno un poco di rassicurante indolenza che aiuta a recuperare le energie e anche a spegnere la rabbia. E forse è proprio quello che li frega di più. Li guardo la mattina con un caffè in mano mentre le vibrazioni del loro trapano fanno letteralmente esplodere i vetri della finestra del vicino. Li fisso, uno di loro mi fa un dito medio e poi ride con gli altri. Sono insolenti, ma è facile capire il loro disperato divertimento e stare al gioco è il minimo che possa fare: in questo caso non spetta a chi rompe riparare, sarebbe troppo comodo.

 



A Londra tutto succede in maniera ovattata, l’ordine non pare imposto da un’organizzazione, ma dalla luce stessa della città. Il montaggio dell’impalcatura avviene in un silenzio irreale, interrotto solamente dalle voci dei muratori, sempre con giubbetto catarifrangente e casco portati con un’eleganza tale che quasi desta sconcerto l’assenza della cravatta. Le voci poi sono frasi ovattate, affabili, riferibili esclusivamente alle azioni da compiere. Anche tra di loro ci sono molti stranieri, ce ne saranno certamente, ma rimane impossibile riconoscere uno straniero a Londra (e non è una brutta cosa). Di tutt’altro tono è lo smontaggio: c’è ilarità, festa da ultimo giorno di scuola, come se i muratori partecipassero alla definitiva ristrutturazione dell’immobile con la stessa gioia dei residenti obbligati a mesi di non facile convivenza con martelli pneumatici e trambusti di ogni tipo. La proprietà privata non è una retorica vuota a Londra e l’esigenza di turbare il meno possibile il residente è un imperativo assoluto. Incrociare un muratore per le scale ha lo stesso sapore di salutare il miglior vicino che si abbia mai avuto: un grande sorriso seguito da una qualche domanda su eventuali problemi causati dai lavori in corso. E' inutile dire che nascono, se non vere e proprie amicizie, brevi relazioni tra i residenti e i muratori uniti anche dalla possibilità data dall’impresa di consumare insieme, solitamente su un tavolino posto in giardino, tè e caffè. E non mancano consigli pratici per un futuro fai da te di cui il residente curioso è sempre alla ricerca.

 



In Italia, nello specifico a Bergamo, tutto è già subito un polverone. Patria del cemento armato, la sabbia non si spreca e sembra che non si sprechino nemmeno i tubi Innocenti (pur di nostra invenzione) che paiono appena usciti da una qualche lottizzazione Fanfani di sessant’anni prima. Il muratore qui non ha sprezzo di nulla. Il braghino sopra il ginocchio è la sua mise d’ordinanza e il rapporto con i sottoposti è parente stretto dello schiavismo. Impresa a conduzione famigliare, in genere capo famiglia e figlio maggiorenne (in aggiunta quello minorenne d’estate), più extracomunitari a piacere, direttamente proporzionali alla quantità di lavoro da svolgere. L’impresario, gambe larghe, bacino basso e pancia enorme, ha la fisionomia storica del temibile Caissotti de La speculazione edilizia di Italo Calvino. Lo sguardo furbo quanto selvatico e gli occhi lucidi tipici dell’untuoso arraffaroba, lavora prendendosi tutta la libertà di spazio e tempo, come se fosse a casa sua. Spesso mugugna espressioni indecifrabili, ma chiaramente rabbiose e infiammate dall'alito tipico del bevitore incallito, che l’extra, come lo chiama lui, guarda con un misto di terrore e compassione. Così i residenti che attendono la fine dei lavori come la fine di una tortura, se non di una disgrazia scampata.

Impotenti, si assiste alla più totale impreparazione, una sorta di faidate istituzionalizzato che pare essere il termine di paragone di tutta una nazione. Basta una notte di temporale per rivelarne tutta la rozza cialtroneria. Un tetto in riparazione privato di ogni forma di protezione anche solo provvisoria causa l’allagamento di tutti gli appartamenti all’ultimo piano. Il Caissotti d’occasione, chiamato d’urgenza, si dichiara, articolando con difficoltà, ostaggio di un clima maledetto e imprevedibile, e poi che non c’è niente da fare: “è la natura”, lui non c'entra. Nemmeno guardare oltre la spalla di quel prototipo dell'innocenza verso un orizzonte celeste ormai sereno aiuta a rallegrarci: si rimane mezzi allagati e senza parole. Il vicino mi pare dica qualcosa, ma è più che altro un lamento. Restiamo a vedere il tozzo figuro scendere le scale, come se avesse imparato da poco a farlo: gambe larghe e testa bassa. Si spaccia per tecnico, non è il primo e non ha l’aria di essere l’ultimo.

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