Cinelogos: un incontro con Valerio Magrelli

8 Febbraio 2014

Cinelogos  organizza ogni anno tre o quattro seminari che si svolgono generalmente nell’arco di 24 ore e che, a partire dal cinema, trattano argomenti soprattutto di carattere filosofico, sociologico o psicologico. Viene invitato un lecturer che sceglie il tema e con il quale vengono concordati i testi cinematografici di riferimento.  Negli anni si sono avvicendati filosofi come Giulio Giorello, Umberto Curi, Adriana Cavarero, Telmo Pievani e psicologi o psicoanalisti come Gustavo Pietropolli Charmet e Giuseppe Civitarese.

 

Cinelogos nasce nel 2004 ad opera del filosofo italiano Aldo Giorgio Gargani, scomparso nel 2009, e di due formatori senior attivi da anni nel campo della formazione manageriale e accomunati dalla passione per il cinema, Dario D’Incerti e Giuseppe Varchetta. Le attività formative di Cinelogos sono da subito orientate ad attirare un pubblico formato prevalentemente da professionisti in aree di sapere anche diverse fra loro, accomunati significativamente dall’interesse a sviluppare la propria capacità riflessiva, in un contesto gruppale, su alcuni temi particolarmente rilevanti per l'azione professionale quotidiana quale si sviluppa nella nostra contemporaneità e a valorizzare la narrazione cinematografica come occasione e strumento elettivo per lo sviluppo di una capacità riflessiva più coerente con l'irriducibile complessità dei problemi che quotidianamente affrontiamo.

 

Da questa prospettiva, risulta chiaro come il cinema, oltre alla funzione sociale di contenimento simbolico, possa assumere anche un efficace ruolo di facilitatore di conoscenza e di apprendimento. I temi affrontati in questi dieci anni sono stati i più vari: da un’indagine su come la figura del padre è stata rappresentata al cinema, a come il concetto di verità si sia trasformato nel dibattito filosofico del Novecento e come il cinema abbia cercato di rincorrerne le varie sfaccettature; da un excursus storico sulla figura dello straniero, o dell’altro da sé, fino alla rappresentazione cinematografica dell’adolescenza e delle sue difficoltà.

 

Il 2014 si apre con il ritorno del poeta e saggista Valerio Magrelli che era stato già ospite dei seminari nel 2012 quando aveva scelto come tema il disincanto del mondo. Il prossimo 21 e 22 febbraio invece si parlerà del corpo umano. E’ noto come il cinema impiegò anni per essere considerato una forma espressiva e, successivamente, una forma d’arte. Curiosamente, agli albori, uno dei terreni più frequentati dai pionieri di quella che non era ancora la settima arte, era proprio quello dell’analisi dei movimenti degli animali e poi del corpo umano. Già la fotografia aveva dato contributi decisivi in quella direzione, ma la possibilità di proiettare immagini “animate” diede un formidabile impulso a personaggi che prima di essere cineasti erano a tutti gli effetti scienziati. Figure come Étienne-Jules Marey, ad esempio, o come Eadweard Muybridge si situano al confine tra medicina e cinematografia e sono la prova che all’inizio della sua straordinaria storia, il cinema veniva considerato non solo una forma di  spettacolo ma anche e soprattutto uno strumento di indagine capace di aumentare la conoscenza dei fenomeni scientifici, di studiare l’anatomia umana e la locomozione animale come mai era stato possibile prima di allora.

 

Ecco quindi che il corpo umano (che, come dirà molti anni più tardi lo storico polacco Witold Kula “è misura di tutte le cose”) diviene terreno d’elezione per quei cineasti che si dedicano allo studio dettagliato dei movimenti del corpo e in particolare del volto umano. Il primo piano del volto è proprio uno degli elementi che più contribuiscono ad affrancare   il cinema dalle derive teatrali, a partire dal famoso bandito che spara agli spettatori in The Great Train Robbery di Edwin S. Porter (1903) un primo piano che poteva essere montato sia in testa che in coda al film. Le potenzialità espressive del volto sono fra i soggetti più interessanti, all’epoca, e prende piede la moda di realizzare film fatti solo di inquadrature di “smorfie”: Concours de Grimaces di Ferdinand Zecca o Daisy Doodad’s Dial di Laurence “Larry” Trimble sono solo due dei tanti film realizzati nel primi decenni del ‘900 a quanto pare, con grande successo di pubblico. Negli anni successivi, una volta conquistata la patente di  forma d’arte, il cinema non si limiterà a intrattenere gli spettatori con stratagemmi tutto sommato infantili ma giungerà a vette espressive in cui il volto umano è assoluto protagonista; la Giovanna d’Arco magistralmente interpretata da Renèe Falconetti nel film di Dreyer (1928) rimane la vetta insuperata del genere.

 

Il corpo umano è centrale ovviamente anche nel genere comico, soprattutto all’epoca del muto: nelle comiche di Larry  Semon, Harold Lloyd e naturalmente Charlie Chaplin  si assiste ad un trionfo del corpo e delle sue illimitate capacità di compiere contorsioni o di subire infiniti maltrattamenti.  Negli stessi anni nasce anche il genere horror e il cinema si dedica spesso alla rappresentazione della “mostruosità” recuperando una tradizione legata al circo e alle fiere di paese e qui il nome non può che essere quello di Tod Browning e del suo Freaks (1932), film maledetto e ancora oggi di non facile fruizione. Il secondo dopoguerra è un periodo di floridezza economica, soprattutto in Occidente, e ciò si riverbera anche nell’immaginario cinematografico che vede l’esplosione delle “maggiorate”, simbolo di un benessere che finalmente si materializza.

 

In epoca più recente il cinema ha accompagnato le trasformazioni culturali che l’idea stessa di corpo umano ha subito, non solo ad opera della scienza, e abbiamo avuto quindi esempi di ibridazioni, metamorfosi e slittamenti di genere, in cui si riflettono le inquietudini contemporanee e nei quali è certo cinema nordamericano non omologato a dare gli esempi più convincenti; si pensi in particolare a un regista come David Cronenberg.

 

In definitiva, il corpo umano è stato sempre ed è tuttora un elemento chiave delle narrazioni cinematografiche e ciò è particolarmente interessante se non addirittura paradossale se si pensa che il cinema è per eccellenza il regno dell’incorporeo e che lo spettatore, seduto in sala, è portato di fatto a limitare se stesso all’uso soltanto della vista e dell’udito e indotto a una quasi totale inibizione motoria. L’appuntamento è quindi per venerdì 21 febbraio a partire dalle 16,30 presso l’associazione Ariele, in via Montepulciano 11 a Milano. Per informazioni è possibile rivolgersi via mail a: ariele@psicosocioanalisi.it

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