Speciale

Diario Russo 25. Una libertà distopica

15 Ottobre 2022

La parola “valori” sembra essere qualcosa tornato di moda negli ultimi anni di “alta marea” nazional-conservatrice nelle urne di mezza Europa, e trova nel Cremlino un potente megafono. Attraverso essa si promuovono visioni della società che sembrano più rispondere all’utilizzo in forma di trolling di modelli immaginari di un passato sempre idealizzato, privato delle proprie contraddizioni e della storicità.

La famiglia tradizionale diventa così un meme, in un paese dove, stando ai dati del 2017, su 17 milioni di nuclei familiari circa 5 sono composti da madre e figli, e 648.000 da padri e bambini, un terzo del totale. In alcuni casi la famiglia monogenitoriale è una realtà che va avanti da almeno tre generazioni, e il numero di divorzi nel 2021 ha raggiunto la cifra di 644207 unioni finite, a fronte di 923553 matrimoni registrati nello stesso anno. Lo stesso Putin da tempo ha divorziato, nel 2013, sorte toccata anche alla figlia Ekaterina cinque anni dopo. 

Si potrebbe però dire che almeno non vi è il tanto temuto “genitore 1 – genitore 2”, a più riprese presente nei discorsi del presidente, ma una realtà di durezza estrema, dove divorziare è molto semplice, ma ottenere il pagamento degli alimenti spesso è estremamente difficile, e la violenza domestica non è perseguita con la dovuta prontezza. I tentativi di adottare una legge in grado di prevenire e punire i crimini commessi in famiglia sono naufragati nel corso degli anni, nonostante il sostegno di esponenti come Valentina Matvienko, presidente del Consiglio della Federazione, e definitivamente sepolti da una laconica dichiarazione del “leader nazionale”, quando di fronte ai sondaggi dove il 70% dei russi si diceva a favore dell’introduzione di norme contro la violenza domestica, ha detto di non capire se questo dato potesse essere identificato con la volontà di adottarle.

Una dichiarazione probabilmente frutto della posizione della Chiesa ortodossa, radicalmente contraria a ogni “intromissione nella vita familiare”, e attiva nel propagandare una visione apocalittica dell’introduzione della legge, vista come fine della famiglia, sostenuta dal World Congress of Families, organizzazione che tanto ha contribuito a introdurre nella Russia contemporanea visioni e valori provenienti dal mondo del fanatismo religioso negli Stati Uniti, con buona pace dei proclami sulle tradizioni “sinceramente” russe.

Tra il 2020 e il 2021 2680 donne sono morte a causa delle violenze domestiche, in anni durissimi a causa della pandemia, e senza poter ricorrere alla difesa legale: in molti casi alle denunce non è stato dato alcun seguito da parte della polizia. Alcuni casi di atrocità periodicamente vengono fuori e ricevono enorme risalto sulla stampa, ma senza risultati, se non quello di multare o mandare in galera quelle attiviste pronte a protestare in piazza per rivendicare il diritto alla vita.

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“Valori” dal tono sinistro, quelli per cui la tutela della vita delle donne è vista come minaccia all’ordine naturale, rappresentando la famiglia come una caserma o un carcere dove “qualche botta” è considerata normale. “Valori” per i quali è giusto distruggere, visto che, come affermato anche dal patriarca Kirill, la guerra in Ucraina sarebbe una lotta contro il “peccato”, rappresentato dai “gay pride imposti come biglietto per entrar a far parte della civiltà”. La peggior omofobia spacciata per valore da imporre, gli omosessuali ritenuti portatori della cosiddetta “antireligione” e del “satanismo”, come detto da Putin nel discorso del 30 settembre, parole prese non da qualche forum complottista o dal profilo social di qualche militante d’estrema destra, ma dalle minute e dai testi ufficiali del Cremlino e del Patriarcato di Mosca.

Qualche mese fa da ambienti dell’Amministrazione presidenziale venne fuori come la discussione sull’immagine della Russia del futuro si basasse sull’idea del “continente delle libertà”, dove però con quest’ultima si intendeva libertà dalle “imposizioni” del gender, del politically correct, della cancel culture (sulla ricezione del dibattito su di essa in Russia vi sarebbe molto da scrivere); si proponeva di dar vita a una “vera Europa, di destra, conservatrice, libera dalle minoranze sessuali, dagli Stati Uniti e dai gay pride”.

Balza all’occhio come vi siano, all’interno dell’Unione Europea, forze e governi che in realtà difendono la stessa visione del mondo, e vien da pensare come sia possibile distorcere parole come “libertà” anche quando è evidente la contraddizione. E vien da pensare come la fuga, prima nel privato, poi dalla Russia, di tanti possa somigliare a quanto avvenuto in altri periodi della storia russa, quando per scappare dalla servitù della gleba e da vessazioni religiose e sociali, gruppi di uomini e donne intraprendevano lunghi esodi verso est, oltre gli Urali, fino al Pacifico, o diretti a nord, sulle sponde del Mar Bianco, o valicavano i monti del Caucaso, in cerca di un altro, forse più vero, significato di “libertà”, prima di esser raggiunti dall’impero in espansione.

Oggi la fuga appare più difficile, i “valori” in nome dei quali si giustificano ulteriori distruzioni viaggiano alla velocità dei giga del traffico internet mobile, vengono trasmessi ripetutamente sui canali televisivi ufficiali, trovano tanti alleati che li riprendono nelle loro lingue materne, e poco conta se il loro posizionamento geopolitico sia contrario a Mosca, conta la loro definizione di “libertà” distopica.

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