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Diario russo 28. L’invenzione degli anniversari

12 Novembre 2022

Le ricorrenze segnano lo spirito dei regimi e degli Stati, ne sono rappresentazione e ne diventano specchio delle evoluzioni, delle deformazioni e degli avvenimenti in corso. Il 4 novembre, dal 2005 in poi, è un giorno festivo in Russia, nel quale si celebra la Giornata dell’unità nazionale, in ricordo della cacciata delle forze polacche dal Cremlino di Mosca nel 1612. Un avvenimento sicuramente importante per definire la fine del Periodo dei Torbidi, l’era in cui precipitò la Russia a inizio XVI secolo, di cui però anche la datazione esatta sfugge, avvenuto in un non meglio precisato giorno tardo autunnale. La scelta della data però consentiva di risolvere uno dei nodi della memoria della Russia post-sovietica, il rapporto con l’anniversario della rivoluzione d’Ottobre, che cade il 7 novembre (all’epoca vi era il calendario giuliano, con 12 giorni indietro), il cui portato iconografico e celebrativo stava lì a legittimare l’Urss e la sua storia.

Boris Eltsin decise negli anni Novanta di mantenere il giorno di vacanza, ribattezzandolo nel nome della concordia e della riappacificazione. Un tentativo poco riuscito e durato poco più di dodici anni, per poi essere sostituito da un giorno arbitrario, autunnale ma non rivoluzionario, tinteggiato di epica nazionale contro il nemico esterno, ancor di più proveniente da quell’Europa centrorientale appena entrata nella NATO. 

Immediatamente la giornata festiva è diventata l’occasione per la Marcia Russa, appuntamento che chiamava a raccolta tutta la galassia dell’estrema destra, dai tradizionalisti ortodossi alle gang di giovani naziskin, con sfilate per le strade delle grandi città all’insegna di slogan razzisti, insegne fascisteggianti, icone e ritratti di Nicola II. Nei primi anni i raduni si sono tenuti nel centro della capitale, rivendicando la Russia ai russi, l’Europa ai bianchi e inneggiando all’esercito collaborazionista del generale Vlasov: azioni e posizioni alimentate anche dalle collusioni dell’ambiente neofascista e nazionalista con personaggi dell’Amministrazione presidenziale, venute fuori in seguito con l’inchiesta seguita all’assassinio nel 2009 di Stanislav Markelov e Anastasia Baburova, militanti antifascisti impegnati nel fronteggiare la marea nera di quegli anni.

In seguito alle proteste del 2011/12 e del conflitto in Ucraina nel 2014, le marce russe si son divise, tra sostenitori della lotta dei camerati di Kiev per la fratellanza bianca e soldati della resurrezione imperial-nazionale, e lo spazio per l’estremismo di destra si è spostato nel Donbass, con centinaia di militanti recatisi lì a prender parte ai massacri e alle battaglie, forse pensando di prepararsi per un futuro simile in Russia.

Oggi le posizioni della Marcia Russa trovano la propria realizzazione nei discorsi e nei termini della propaganda ufficiale dei canali del Cremlino, nonostante gli arretramenti sul campo e il ritiro da Cherson mai vi erano state così ampie possibilità di espressione per quelle teorie e dottrine volte a ristabilire la grandezza della Russia attraverso un’opera di palingenesi violenta e apocalittica. Nelle università si è stabilito di inserire nei programmi di studi un corso obbligatorio sulle “basi della statualità russa”, sintesi sincretica di suggestioni e di termini provenienti sì dalla storia e dalla cultura politica del paese, ma riletti attraverso le lenti del peggior conservatorismo marcato World Congress of Families e con il contributo fattivo delle idee delle nuove destre europee.

A scuola nelle ultime classi si dovranno tenere almeno 140 ore annuali (corrispondenti a quattro lezioni settimanali da un’ora) di addestramento militare, che si aggiungono al tempo già dedicato alla propaganda patriottica. Tentativi di addomesticare le giovani generazioni, quando al tempo stesso si propone di proibire una serie di videogiochi, bollati come “manifestazioni diaboliche” e colpevoli di propaganda LGBT, e si rivedono libri e opere letterarie del patrimonio culturale russo, in cerca di pericolose influenze estranee a dei valori tradizionali più immaginari che reali.

Si propone di formare combattenti della fede in una missione non meglio precisata di Mosca, di volta in volta presentata come anticoloniale, tradizionalista, conservatrice a seconda dei casi, senza però crederci, con i rampolli dell’establishment residenti in pianta stabile all’estero, perché, come detto dal figlio del portavoce di Putin Dmitrij Peskov nel corso di uno scherzo telefonico dove lo si contattava invitandolo a presentarsi al distretto militare, per loro le regole sono diverse. E in questa continua imposizione posticcia ma non meno pericolosa atta a disciplinare una gioventù smarrita e improvvisamente isolata dal resto del mondo, ubriacandola di teorie complottiste d’ogni tipo e di narrazioni sulla superiorità etnoculturale del paese, emerge l’assenza di prospettive per il futuro che non siano una riproposizione fallimentare di una retrotopia di cui sono evidenti i pericoli per la stessa tenuta della Russia. Ma non conta per un potere basato sull’eterno presente di privilegi ottenuti e di velleità oscurantiste, perché a importare è la propria legittimazione nel continuare a determinare destini e vite oggi.

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