Dietrich Bonhoeffer, teologo della resistenza

14 Agosto 2024

Resistenza e resa di Dietrich Bonhoeffer è un libro che non appartiene a un genere letterario riconoscibile e che, proprio per questo, si situa in costellazioni differenti. È un caposaldo della teologia novecentesca e un capolavoro di epistolografia carceraria, è una testimonianza di fede cristiana e una celebrazione degli affetti terreni (la famiglia, l’amicizia, l’amore), è un catalogo di progetti irrealizzati e una raccolta di frammenti perfetti, è un dossier imprescindibile per la conoscenza della lotta al nazismo e una meditazione sul futuro della cultura europea, è prosa che va verso la poesia, è una collezione di sabbia che, di pagina in pagina, rivela la consistenza concettuale del granito. Può stare sullo stesso scaffale del commento di Karl Barth all’Epistola ai Romani e dei documenti del Concilio Vaticano II, ma anche tra il Diario di Anne Frank e le Lettere da Stalingrado, oppure tra la Consolazione della Filosofia di Boezio e i Pensieri di Pascal.

Conferma per via bibliografica del principio di indeterminazione (l’avventura di Bonhoeffer si svolge negli stessi anni in cui si pongono le basi della fisica quantistica), Resistenza e resa è più che altro un libro che l’autore non ha concepito come tale, ma che altri hanno allestito, elevandolo a statuto canonico. Per trovare una definizione che le racchiuda tutte, bisognerebbe limitarsi ad affermare che Resistenza e resa è il libro per cui Bonhoeffer è Bonhoeffer. Il resto della sua opera – tutt’altro che irrilevante nelle sue implicazioni – non può che essere letto secondo la prospettiva di questi scritti il cui valore testamentario si stabilisce con graduale consapevolezza, fino a imporsi con forza inequivocabile. Non fosse che per questa ragione, un volume su Bonhoeffer doveva prima o poi figurare in “Eredi”, la collana che Massimo Recalcati cura per Feltrinelli come estensione della propria ricerca psicoanalitica. Il significato dell’impresa appare evidente quando si pensa che lo stesso Recalcati ha scelto per sé il profilo del suo maestro Jacques Lacan, affidando a Silvano Petrosino il ritratto di Emmanuel Lévinas e a Luigina Mortari quello di María Zambrano, e via esemplificando.

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Adesso, per rendere omaggio a Bonhoeffer e per ribadire l’attualità della sua riflessione, viene convocato il biblista ed ebraista Ludwig Monti, già monaco della Comunità di Bose e molto noto sia per gli apprezzati contributi specialistici sia per i numerosi saggi di carattere spirituale. Insieme con Mario Cucca e Federico Giuntoli, inoltre, Monti ha portato a termine la monumentale impresa della nuova traduzione commentata della Bibbia edita da Einaudi nel 2021 sotto la supervisione di Enzo Bianchi. Il suo Dietrich Bonhoeffer. Esserci per il mondo (Feltrinelli, pagine 204, euro 16) si presenta come un resoconto impeccabile sul piano della struttura espositiva e nello stesso tempo profondamente connotato sotto il profilo personale. Fin dalle prime righe, Monti ricorda di essere un biblista e non un teologo, ma la circostanza non gioca affatto a suo sfavore. La scoperta della Scrittura come esperienza costituiva del credere è infatti uno snodo decisivo nella maturazione di Bonhoeffer, che solo dopo aver portato a termine gli studi teologici arriva a percepire la sconvolgente radicalità del Discorso della Montagna e la semplicità rivelatrice del linguaggio dei Salmi. Il percorso che condurrà a Resistenza e resa parte da qui, dall’incontro con la Parola di Dio riconosciuta non più come oggetto di speculazione, ma come irrinunciabile fonte di vita.

Una volta stabilito, il nesso fra teologia e biografia non può essere revocato, e proprio nel segno di una «teologia biografica» si snoda la trattazione proposta da Monti e scandita in quattro frasi principali. La prima, corrispondente al decennio 1923-1933, è occupata dalla formazione universitaria (Bonhoeffer è nato nel 1906 a Breslau, in una famiglia della borghesia luterana non particolarmente devota), dall’ordinazione a pastore e dai primi passi di una carriera accademica che verrà presto abbandonata. Dal 1934 al 1939, poi, il giovane teologo è una figura di spicco della Chiesa confessante, espressione di un’opposizione al nazismo tanto nobile quanto priva di effettiva incidenza. Il terzo momento si apre con il breve viaggio negli Stati Uniti del giugno-luglio 1939, durante il quale Bonhoeffer matura la decisione di rinunciare ai privilegi dell’esilio per fare ritorno in Germania, dove partecipa attivamente alla resistenza. Infine, a partire dalla primavera del 1943, l’arresto, la reclusione nel carcere berlinese di Tegel, la condanna a morte e l’esecuzione, avvenuta per impiccagione nel lager di Flössenburg il 23 aprile 1945, esattamente una settimana prima del suicidio di Hitler.

I testi organizzati in Resistenza e resa dall’amico Eberhard Bethge risalgono tutti al periodo di Tegel e sono, come già ricordato, il vero lascito di Bonhoeffer. Ma questo non comporta una svalutazione della produzione precedente, all’interno della quale spicca il dittico composto da Sequela (1937) e Vita comune (1939). In questi testi, ideale preludio all’incompiuto progetto di Etica, è già dichiarato il rifiuto di una grazia «a buon mercato», inconciliabile con la drammatica concretezza dell’Incarnazione («Solo dentro al mondo Cristo è Cristo», si legge nei manoscritti di Etica). Al momento della cattura, Bonhoeffer si è dunque attestato su una posizione «non religiosa», termine spesso equivocato, che non comporta affatto il superamento del culto, quanto piuttosto l’affrancamento della fede da ogni pretesa consolatoria. Illuminante, in questo senso, la celebre immagine del «Dio tappabuchi» polemicamente tematizzata in Resistenza e resa: in un mondo fattosi «maggiorenne» per effetto della scienza, Dio rischia di essere sempre più relegato ai margini, come estremo tentativo di fornire spiegazione a ciò che ancora si percepisce come inspiegabile. La visione millenaria della religione come istanza suprema per la comprensione della realtà non ha più corso, ma non per questo il cristianesimo può ritenersi superato. Al contrario, l’estinzione del religioso apre nuovi spazi e presuppone nuove forme per l’annuncio del Vangelo come autentica teologia della reale. «La trascendenza gnoseologica non ha a nulla a che fare con la trascendenza di Dio – avverte Bonhoeffer –. È al centro della nostra vita che Dio è aldilà».

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Le lettere, le poesie, i racconti e gli abbozzi teologici di Tegel abbondano di formule divenute proverbiali, come la metafora polifonica del cantus firmus per alludere alla centralità di Dio nella vita cristiana. Monti sceglie giustamente di soffermarsi sulla coppia di concetti evocata da Bonhoeffer nel cosiddetto “Progetto di uno studio”, la cui ossatura è conservata in Resistenza e resa. Se Cristo è stato «l’uomo per altri» (der Mensch für andere), il credente non può praticare se non «l’esserci-per-altri» (für-andere-dasein), locuzione folgorante per immediatezza ed esattezza. Ne deriva, appunto, il dinamismo tra Widerstand, la «resistenza» agli eventi mondani, e Ergebung, termine che in italiano è tradizionalmente tradotto come «resa», ma che sconfina nell’abbandono, nell’affidamento, nella consegna di sé, perché «Dio non porta a compimento tutti i nostri desideri, bensì tutte le sue promesse».

Non diversamente da quanto accade in Kaj Munk (il pastore luterano e drammaturgo danese universalmente noto per Ordet – La Parola e morto martire del nazismo nel 1944), anche in Bonhoeffer l’impegno politico sottintende la dimensione mistica, e viceversa. Rileggere la sua opera, della quale il saggio di Monti costituisce un’eccellente introduzione, comporta il rischio di attraversare un campo di forze nel quale il cristianesimo è messo in discussione, perché solo nelle tensioni della quotidianità il cristianesimo rimane vivo e vitale. Non per niente, a Bonhoeffer si sono ispirati narratori come Eraldo Affinati (Un teologo contro Hitler, 2002) e Michele Toniolo (La tentazione di Bonhoeffer, 2018), accomunati dalla volontà di indagare il mistero di una possibilità che sembrerebbe non essersi realizzata. Soccorre, una volta di più, la materica consistenza di un’illuminazione che Bonhoeffer esprime proiettando fuori dal tempo il linguaggio del suo tempo: «Non esistono due sfere, ma solo l’unica sfera della realtà di Cristo, in cui la realtà di Dio e la realtà del mondo sono fra loro unite». 

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