E mi paes
Non ho pronuncia né dizione per la parola patria. Una parola abisso, stonata e stridente. “E mi paes”, ecco cosa dico, che allo stesso tempo indica il minuscolo villaggio dove abito e la nazione che lo contempla. “Il mio paese”, l'immagine è larga, affettiva e concreta.
Con la nonna piantavamo le calle nei fossi, “quelli non sono di nessuno, dividono il nostro campo da quello del vicino”. Quei fiori bianchi li coltivavamo per bellezza, per lo stesso vento.
Abitavamo in un vecchio casolare della campagna romagnola, “non chiudere la porta, la porta deve stare sempre aperta”, diceva il nonno. Non c'era cancello per delimitare l'aia e gli alberi di noce, che d'estate facevano ombra al ristoro dei braccianti che lavoravano per la nostra famiglia, non erano più nostri che loro. Provo una grande nostalgia per quegli spazi aperti e quel senso di appartenenza allargato, primitivo, psichico, ora che il vecchio casolare, come tutti gli altri casolari di quella zona, ha la porta blindata, le inferriate alle finestre, un recinto di rete metallica che delimita il perimetro del giardino. E gli alberi di noce fanno ombra a una brandina privata. E io ci abito, di tanto in tanto, quando torno da lunghi viaggi, e mi viene il groppo per questo “stretto” in cui mi costringo e mi cullo.
Con Mandiaye a Diol Kadd, nel suo villaggio incastonato nella savana senegalese, disegniamo sulla sabbia un perimetro con un bastoncino per decidere il luogo della musica e del ballo. È un teatro improvvisato, ogni volta, eppure così plausibile, materico. La gente del luogo, ogni volta lo riconosce e vi si riunisce intorno. Si crea il luogo della visione e dell'appartenenza da quella linfa vivissima che lì poggia le sue radici sul rito.
Tra un confine e l'altro, tra quello esploso della psiche e quello segnato nella sabbia, tra i palchi di legno prezioso dei teatri all'italiana e quelli di cemento e ghisa dei magazzini di New York, tra il foyer di un bianco palazzo coloniale tunisino, in cui tante volte si è stati invitati a recitare e che ora non sappiamo se è ancora luogo del canto, e la cavallerizza di Mons, tra le case del popolo di Berlino dalle finestre opalescenti e le catacombe di Monreale.