Ebbro di testo. Da Beatriz a Paul Preciado

23 Ottobre 2015

Perché si scrive? Per chi si scrive? Quali sono le condizioni che permettono alla scrittura di non prescindere dal corpo di chi scrive, facendo di lei/lui una pura testa decapitata, inattendibile fonte di assiomi inverificabili? È possibile, oggi, fare filosofia e teoria culturale, dunque politica, senza affidarsi al “principio di autocavia”, a un metodo conoscitivo e ermeneutico fondato sull’esperienza diretta, su pratiche che coinvolgono in prima persona il soggetto scrivente, esponendolo al rischio di trovare perdendosi? La risposta/proposta che il filosofo e teorico della cultura Paul B. Preciado lancia con muscolosa leggerezza attraverso il suo Testo tossico (trad. it. di Elena Rafanelli, Fandango 2015) è netta e arditissima.

«Tra il 1927 e il 1932 Walter Benjamin e alcuni amici, tra cui Ernst Bloch, Ernst Jöel e Fritz Fränkel, si sottomettono a una serie di assunzioni chimiche: mangiano hashish, fumano oppio e si iniettano mescalina e morfina. In ogni caso è necessario che la sostanza entri nel corpo, che penetri la pelle, il canale digestivo, il sangue, le cellule. È necessario attaccare l’anima per via sintetica. Si tratta di una serie di esercizi di infezione intenzionale. […] Il principio politico di questa terapia è elementare: non si può pretendere di dissertare sul reale senza accettare di intossicare se stessi con quello che si pensa di somministrare poi a altri. Questo principio di autocavia appare oggi come la condizione di possibilità di ogni micropolitica futura. […] Io prendo testosterone come Walter Benjamin prendeva hashish, Freud cocaina o Michaux mescalina. Questa non è una giustificazione autobiografica, ma una radicalizzazione (nel senso chimico del termine) della mia scrittura teorica. Il mio genere non appartiene né alla mia famiglia, né allo Stato, né all’industria farmaceutica. Il mio genere non appartiene nemmeno al femminismo, non alla comunità lesbica e neppure alla teoria queer. Bisogna strappare il genere ai macrodiscorsi.»

 

Uscito in Spagna e in Francia nel 2008, quando Preciado si firmava Beatriz e scriveva di sé al femminile, Testo tossico arriva da noi con sette anni di ritardo, ma con il vantaggio di un aggiornamento: chi scrive non è più B., ma Paul B. Preciado. Da “bio-donna” a “tecno-uomo”. Con la woolfiana Lady Orlando, si potrebbe dire: “Stessa persona. Nulla che sia mutato. Solo il sesso è diverso”. Una transizione o “ri-assegnazione” avvenuta: subita o involontaria quella di Orlando, trasparente controfigura letteraria di Vita Sackville-West; scelta e autogestita, concreta e illegale, fuori dal controllo dello Stato e sganciata da qualsiasi protocollo medico, quella di Preciado. Entrambe, pur nella vertiginosa diversità del loro statuto discorsivo, mirate a mettere in discussione l’esistente e la sua presunta naturalità e immodificabilità, a sgretolare la terribile catena associativa che inchioda il genere umano a due sole caselle sessuali, “maschio” o “femmina” e a due soli generi, “maschile” o “femminile” e alle infinite ricadute politiche, economiche e sociali che se ne fanno discendere. Preciado non è interessato alla sola denuncia e tantomeno al rivendicazionismo o alle meste e vittimistiche autorappresentazioni di alcune aree del femminismo contemporaneo. La sua è una vis demonstrandi febbrile, visionaria, radicale. E passa dal corpo e dal corpo della scrittura, dalla sperimentazione su entrambi, dall’attrito che la modificazione dell’uno produce sull’altra. Il suo è un corpo-ricettore consapevole di esserlo, un corpo che si sa immerso nella storia e nei flussi di potere tecno-politico che ne contraddistinguono la fase attuale, un corpo mutante, prima ancora che maschile o femminile. Come quello di tutti noi.

 

 

“Ciò a cui aspiro è convincervi che voi siete come me. Tentati dalla stessa deriva chimica. La portate dentro: vi credete bio-donne ma prendete la pillola, bio-uomini ma prendete Viagra, siete normali e prendete Prozac e Seroxat nella speranza che qualcosa vi liberi dal tedio della vita; vi fate di cortisone, di coca, di Ritalin, di codeina… Voi, anche voi, siete il mostro che il testosterone risveglia in me.”

 

A ognuno la sua sostanza più o meno prescritta: steroidi, sostanze metabolizzanti, anfetamina, antibiotici, morfina, terapia sostitutiva, botox, silicone. A ognuno le sue polveri sottili, le sue scorie nucleari, il suo ossido di carbonio, i suoi polli e bovini estrogenati quotidiani. Un festino per il mercato “porno-tecno-farmaceutico”, un lubrificato sistema di controllo in cui il disciplinamento non viene più imposto dall’esterno o con la forza, ma docilmente e attivamente assunto dal sempre più addomesticato e amorfo soggetto contemporaneo.

«Dispositivo leggero, portatile, individualizzato e amichevole, la Pillola permette di modificare il comportamento, temporalizzare l’azione, regolare l’attività sessuale, controllare la crescita della popolazione e modellare l’apparenza sessuale (rifemminilizzandola sinteticamente) dei corpi che se lo autosomministrano. La torre di sorveglianza è stata sostituita ora dagli occhi della docile consumatrice, che senza bisogno di uno sguardo esterno, regola la sua propria assunzione seguendo il calendario del dispenser circolare o rettangolare. […] La cella è ormai il corpo stesso della consumatrice che si vede biochimicamente modificato dal composto ormonale senza che, una volta ingerito, se ne possano determinare gli effetti esatti né la provenienza. Le punizioni e i sermoni educativi si sono trasformati qui in ricompense e promesse di libertà ed emancipazione sessuale per la donna.»

 

Contro questo invisibile terrorismo interiorizzato Preciado propone la micropolitica dello scarto dalla norma, il sabotaggio dei codici vigenti, la trasgressione, la disobbedienza, l’autoterrorismo, l’eccitante solitudine di chi si è sottratto alla legge dell’identico e non cerca appartenenze o militanti identità condivise. Là dove la politica è stata sussunta dal mercato e la stabilità ha il costo dell’inebetimento di massa, il solo gesto possibile e contagioso è quello individuale. Tanto meglio se non replicabile, perché dove c’è desiderio di imitare, di riprodurre un modello, entra in campo il principio d’autorità, la disposizione gregaria, la delega, il virus della sottomissione e della deresponsabilizzazione. Non a caso, in una premessa folgorante, l’autore áncora la sua ricerca “eccentrica” a due fatti che appartengono alla sfera privata, la più pubblica e condivisibile che ci sia: un lutto e un nuovo amore. La morte per Aids dell’amico del cuore e interlocutore politico Guillaume Destan, magistrato, scrittore, giornalista e editore, una sorta di alter ego; e l’amore per Virginie Despentes, scrittrice e cineasta, autrice di Scopami e Apocalypse Baby. Sono questi due eventi a fare da detonatore a Testo tossico, un libro che alterna capitoli di teoria ‘dura’ a capitoli di pratica ‘morbida’, e che non rientra nella categoria del memoir.

«È un saggio corporeo. […] una fiction somato-politica, una teoria del sé o un’autoteoria […] Non mi interessano le mie emozioni in quanto mie, che appartengono a me e a nessun altro che me. Non mi interessano i loro aspetti individuali ma il modo in cui sono attraversate da ciò che non è mio. Da ciò che scaturisce dalla storia del pianeta, dall’evoluzione delle specie viventi, dai flussi economici, dai residui delle innovazioni tecnologiche, dalla preparazione delle guerre, dal traffico di schiavi e di merci, dalle istituzioni penitenziarie e di repressione, dalle reti di comunicazione e sorveglianza, dalla produzione di gerarchie, dall’intreccio aleatorio di tecniche e di gruppi di opinione, dalla trasformazione biochimica della sensibilità, dalla produzione e distribuzione di immagini pornografiche.»

 

Preciado, già autrice di Manifesto contra-sessuale (Il Dito e la Luna, 2001) e del saggio Pornotopia (Fandango, 2011), e oggi curatore del Public Program di Documenta 14 (Kassel/Atene 2017), in un articolo da Istanbul apparso di recente sulle pagine di “Internazionale” scrive:

«Nel parco Gezi, i concetti fondanti della politica occidentale (sovranità, moneta, stato) perdono il loro senso e, contro Platone e la sua Repubblica, s’innalza Diogene il cinico, il filosofo dei cani, nuova figura della politica-mondo. Sfidando le classificazioni governative dell’antica Grecia, quando Alessandro domanda a Diogene di quale città sia originario, questi risponde: ‘Sono un cittadino del mondo, kosmopolítis’. Ai poteri della città ateniese Diogene, che si muove nudo e dorme in una giara, preferisce il parlamento dei cani; alle leggi del più forte preferisce la forza del riso; al diritto civico della guerra oppone la pigrizia e la masturbazione. Contrariamente ai comunitarismi eurocentrici di Hegel e al cosmocolonialismo umanista di Kant, Diogene c’invita a un cosmopolitismo materialista, irriverente e animista, nel quale il vivente (uomo o cane), in quanto corpo, è sempre membro di una cittadinanza mondiale.»

 

Di questo cosmopolitismo necessario o di questo femminismo canino Testo tossico è il manuale e la cartografia. Un testo che inebria e euforizza. Prezioso Preciado!

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