Editori e pirati
Se oggi ci troviamo a discutere dell’utilità e del futuro del libro, è anche per via della sua centralità nella storia europea. È fuor di dubbio, ad esempio, che esso abbia avuto un ruolo cruciale nella formazione e diffusione dell’Illuminismo, come movimento storico e ideale. Tanto la sua vocazione universalista ed emancipatoria quanto il rifiuto netto dei privilegi medievali insiti nella tradizione illuminista sarebbero impossibili da comprendere senza far riferimento alla diffusione delle idee resa possibile dalla circolazione dei libri. A ben vedere però, organizzare un sistema di scambi che permettesse la circolazione dell’oggetto-libro in un mondo, come l’Ancien Régime, basato sui privilegi, sulle corporazioni e sulla censura, con una forte diffidenza nei confronti della stampa, e in cui non esistevano i concetti di diritto di autore o di responsabilità limitata per come li conosciamo oggi, era un’impresa estremamente complessa e rischiosa. Da questo punto di vista, ovvero dal punto di vista del libro come forma merce, la sua storia rileva soprattutto come storia dell’editoria, o meglio, delle origini dell’editoria dato che il concetto stesso di “editore” in senso moderno non esisteva ancora.
Editori e pirati Il commercio librario nell’Età dei Lumi (Adelphi, 2023) di Robert Darnton ci racconta appunto la storia del commercio librario nella Francia del Settecento, dai primi decenni del secolo fino alla Rivoluzione. Oltre a restituire un dettagliato resoconto di quel mondo, Editori e pirati è un utile antidoto contro le filosofie della storia continuiste e lineari che tendono a rappresentare l’Illuminismo come il progressivo affermarsi della ragione contro le forze della tradizione e della religione. Per fortuna o purtroppo, visti da vicino i processi storici sono molto più ambivalenti e carichi di tensioni di quanto tali rassicuranti schemi concettuali vogliano farci credere. La storia dell’editoria non fa eccezione e il libro di Darnton testimonia di molte di queste tensioni costitutive. Si pensi ad esempio al fatto che i libri illuministi circolavano insieme a quelli pornografici, o che la loro stessa distribuzione era dipendente da reti precedenti costituite per la diffusione di opere di natura religiosa; inoltre, per quanto la storia dell’Illuminismo abbia ovviamente il suo epicentro a Parigi, la storia dell’editoria illuminista non è invece parigina, quanto piuttosto provinciale ed europea. Ma non soltanto: i pirati dell’editoria, che commerciavano i libri dei philosophes, si trovavano ad agire in un contesto di enorme incertezza che li portò sia a sperimentare forme inedite di cooperazione sia a lasciarsi guidare dalla più spietata competizione. Infine, per quanto gli editori pirati contribuirono enormemente alla diffusione delle idee universaliste e illuministe, non corrispondono per nulla all’immaginario piratesco e rivoluzionario; anzi, essi erano molto spesso politicamente conservatori e si batterono per la tutela dei privilegi.
Chi erano dunque questi pirati le cui gesta sono discusse nel libro? Erano semplicemente dei contraffattori, ovvero imprenditori che stampavano e vendevano libri vietati oppure privi dell’autorizzazione regia. Ottenere tale privilège, nonché diventare libraio o stampatore, era molto complesso e le pratiche di concessione dei permessi ruotavano attorno a Parigi e alla sua corporazione di librai e stampatori. Tale corporazione, di conseguenza, dominava il mercato librario del Settecento e, in aggiunta, aveva funzioni di controllo e polizia sui libri proibiti o stampati senza autorizzazione; un controllo che, a volte, si esercitava anche sui librai di altre zone della Francia. I pirati contestavano questa posizione oligopolistica dei parigini e, appunto, erano prevalentemente librai di provincia (di Lione e Rouen specialmente) oppure editori e stampatori esteri, collocati prevalentemente in quella che Darnton chiama la mezzaluna fertile, un’ampia zona a confine con la Francia che va da Amsterdam a Ginevra, passando per Maastricht, Bruxelles, Berna e Neuchâtel. È soprattutto in questa zona, non a caso, che vennero stampati i libri più pericolosi, col risultato sorprendente che, con alcune eccezioni, “quasi tutte le opere dell’Illuminismo francese furono stampate all’estero” (p. 15).
Esistevano dunque due diversi mercati del libro in Francia: uno ufficiale, destinato alle élite facoltose e in mano alla corporazione parigina; un altro, molto più incerto e articolato, in cui operavano i pirati e che rispondeva a una crescente domanda di libri a prezzi più contenuti. Gli editori riuscivano ad abbassare i costi non solo perché non pagavano né i privilèges né gli autori, o in ragione del minor costo del lavoro e della carta, ma anche perché riducevano al minimo il luxe typographique del libro: stringevano i margini e la spaziatura, usavano caratteri tipografici meno costosi ed eliminavano le illustrazioni superflue. La democratizzazione dell’accesso ai libri, sia in termini di costi che di portabilità del libro stesso, è dunque legata a una maggiore ricerca del profitto e a un abbassamento della qualità del prodotto. Allo stesso tempo, la possibilità che questi libri circolassero era in stretto rapporto con le reti di relazioni e canali di distribuzione clandestina, la cui formazione risale alle guerre di religione dei secoli precedenti e, in particolare, alla persecuzione degli ugonotti. Molti tra coloro che decisero di rifugiarsi in Olanda e in Svizzera erano professionisti del libro e quindi contribuirono a rafforzare l’industria editoriale in quei paesi. Inoltre, gli ugonotti rimasti in Francia fecero spesso da intermediari con gli editori stranieri, sia nella distribuzione che nella vendita, e quindi nella riscossione delle fatture. Da questo punto di vista, esiste dunque una certa continuità e sovrapposizione tra la produzione e la distribuzione di letteratura religiosa e di letteratura illuminista: le case editrici, soprattutto svizzere, specializzate nella stampa delle bibbie, quando il mercato lo richiese, si orientarono col tempo anche verso i libri illuministi. Pertanto, nel Settecento “gli editori spedivano Bibbie e salteri insieme alle opere di Voltaire e d’Holbach negli stessi pieghi di libri” (p. 85). Questo non deve peraltro farci pensare che vi sia una sorta di passaggio dalla letteratura religiosa a quella laica, che poi la sostituisce del tutto: la vendita di opere religiose rimane comunque essenziale anche per gli editori più importanti dell’Illuminismo – come ad esempio Marc-Michel Rey, per cui “tra i 2685 titoli del suo catalogo nel 1754, la categoria più folta (il 18,6 per cento) era quella delle opere religiose tradizionali” (p. 95).
Il mondo dei pirati era pertanto tutt’altro che uniforme, sia politicamente che socialmente, e gli stessi editori che stampavano e facevano circolare i libri dei philosophes non condividevano, quasi tutti, le idee contenute in queste opere. Parte della loro modernità, in definitiva, sta appunto nel guardare ai libri semplicemente come una merce. Rispetto al contesto politico in cui operavano, avevano dunque “un approccio pragmatico all’editoria” (p. 95) e, di fatto, non facevano nulla di illegale nei loro stati poiché violavano i privilèges vincolanti esclusivamente in Francia. Gli stati della mezzaluna fertile, a loro volta, esercitavano diverse forme di censura sui libri, ma tolleravano le attività editoriali dei pirati sia per il loro contributo all’economia locale sia perché il loro mercato di riferimento era prevalentemente al di fuori dei loro confini. Non deve dunque sembrare una contraddizione che tra i maggiori responsabili della diffusione delle idee illuministi vi fossero degli imprenditori politicamente conservatori. Esemplare in tal senso è il caso di Frédéric-Samuel Ostervald, figura centrale nonché uno dei tre fondatori della Société typographique de Neuchâtel, sui cui corposi archivi si fonda buona parte della ricerca di Darnton. Nonostante Ostervald vendesse anche opere illuministe e irreligiose, nella sua attività politica a Neuchâtel appoggiava i pastori più conservatori e si schierò più volte a favore della difesa dei privilegi delle élite della città. Scrisse inoltre un trattato, mai pubblicato, che fornisce una giustificazione dei “privilegi riservati all’élite urbana, tra cui il diritto esclusivo di partecipare alla vita politica della città” (p. 128).
Chiaramente, figure come quella di Ostervald – archetipiche dell’editore in senso moderno le cui biografie Darnton ricostruisce nel dettaglio – occupavano le fasce più redditizie del mercato e avevano a disposizione una serie di strategie per ridurre più possibile i rischi di un contesto estremamente incerto come quello delle contraffazioni. Tra i fattori di maggiore instabilità vi erano certamente la censura e il tempo: in un mondo in cui chiunque poteva stampare e vendere un libro, arrivare prima degli altri garantiva un vantaggio competitivo enorme. Era dunque un mondo affamato di informazioni affidabili e gli editori avevano la necessità di mettere in piedi una solida rete di informatori e intermediari, sia per ricevere sia per diffondere informazioni (eventualmente false per poter depistare i concorrenti). La fiducia era di conseguenza la variabile chiave che governava il mercato e presiedeva al successo o all’insuccesso delle diverse imprese commerciali; d’altro canto, non poteva essere diversamente per degli attori che operavano sulla soglia della legalità (abbondano i casi in cui editori e intermediari che fanno perdere le loro tracce). Non stupisce, dunque, che gli editori, anche se in costante competizione tra loro, dessero vita anche a diverse forme di alleanza che assumevano in prevalenza la forma dello scambio di libri. Questa strategia, che aveva evidentemente il vantaggio di minimizzare i rischi di invenduto, era talmente diffusa che le case editrici belghe, svizzere e olandesi finivano per “avere tutti magazzini molto simili” (p. 100). Le alleanze potevano avere poi una forma più stabile, che implicasse ad esempio anche un vincolo a impegnarsi in edizioni comuni, come è il caso della “confederazione” tra le società tipografiche di Neuchâtel, Berna e Losanna, a cui Darnton dedica un intero capitolo. Queste però erano sempre a rischio di fallire, a causa della penuria di informazioni, della concorrenza spietata e quindi del venir meno della fiducia.
Per tutelarsi ed esternalizzare i rischi legati alla censura – e dunque anche per evitare di attirare l’attenzione delle autorità locali – gli editori affermati si affidavano ai librai più marginali, a cui era delegata la stampa dei libri proibiti, che poi venivano scambiati con libri meno controversi. È quindi soprattutto grazie a questi librai marginali che si deve la stampa e successiva diffusione dei livre philosophiques: con questa espressione però gli editori non si riferivano solo ai testi illuministi, ma anche a letteratura satirica, pornografica e irreligiosa. Questi volumi facevano di fatto parte della stessa nicchia, sempre minoritaria, del nuovo mercato librario. Gli editori che operavano direttamente in questa nicchia – le cui vicende, nonostante i pochi documenti disponibili, sono riportate nel capitolo “Ginevra sotterranea” – ebbero quindi un ruolo di primo piano nell’Età dei Lumi; essi erano però anche i più esposti e dovevano destreggiarsi continuamente per evitare i rischi, più che concreti, della bancarotta e della galera.
In definitiva, anche se la maggior parte degli editori pirati non condivideva le idee dell’Illuminismo, essi vi “contribuirono enormemente […]. Anzi, lo resero possibile” (p. 368). Forse senza volerlo, i pirati diedero maggiore forza al segreto della scrittura. Qual è questo segreto? “Telepatia, naturalmente”, ha risposto Stephen King nel suo On Writing. Autobiografia di un mestiere (Sperling&Kupfer, 2017). La scrittura cioè permette il passaggio di idee, concetti, emozioni e passioni da una mente all’altra nonostante la distanza. La consapevolezza della potenza di questi processi sconvolse l’Ottocento e alimentò l’inquietudine borghese per l’eccitabilità delle folle, ma ha la sua origine nel secolo precedente. Il problema è che questa circolazione di pensieri, che sembra così eterea e immateriale, si realizza – oggi come allora – soltanto grazie alla presenza di supporti fisici, infrastrutture materiali e sofisticati meccanismi economici e culturali, che rendono possibile questo tipo di comunicazione. La dettagliata ricerca storica di Rober Darnton ci restituisce la complessità di questo sistema in anni cruciali della storia europea.