Emilio Sereni: storia di una famiglia

2 Luglio 2024

C’era una volta un’Italia in cui le parole “sionismo” e “comunismo” germogliavano fra le mura domestiche di una famiglia borghese romana, unendo due fratelli nel nome dell’antifascismo: Emilio e Enzo Sereni, comunista il primo, sionista il secondo. La storia dell’antifascismo ebraico è spesso una storia di fratelli: i due Sereni, Carlo e Nello Rosselli, Ennio e Emanuele Artom. 

Nell’Italia smemorata di oggi, molte parole del linguaggio politico si sono ammalate. C’era una volta un paese in cui la parola riformismo si poteva usare senza servirsi di molte virgolette come si è costretti a fare oggi, quando “riformisti” si dicono tutti e sul riformista Matteotti escono tre libri al giorno. Tanti anni fa a rendergli omaggio era solo il «servo della Nato» Saragat, il presidente socialdemocratico (altra parola impronunciabile). Gli Scritti riformisti di Matteotti li aveva curati uno storico poco allineato come Piero Treves, esule antifascista come il fratello Paolo. Altra coppia di fratelli ebrei antifascisti. 

L’Italia è però anche piena di archivi dove si conservano carte preziose che possono aiutare non solo lo studioso, ma anche il cittadino a capire il presente decifrando il senso delle parole.  Per comprendere come mai sionismo e socialismo (e poi comunismo) siano state istanze non divisive basta andare a Gattatico, presso l’Istituto Alcide Cervi, vicino a Reggio Emilia, dove si conserva parte dell’archivio di Emilio Sereni (1907-1977), soprattutto dove si può ammirare il vasto materiale di cui si servì per scrivere il suo capolavoro, la Storia del paesaggio agrario italiano, uscito in prima edizione da Laterza nel 1961. 

Incarcerato dal 1930 al 1935, poi dal 1943 al 1944 fu protagonista della Resistenza e della liberazione di Milano. Uomo politico, scrittore, studioso di economia, oltre che deputato Costituente per il PCI, ministro dell’Assistenza post-bellica nel secondo governo De Gasperi, Emilio fu anche uomo di studi rigorosi, per realizzare i quali raccolse e organizzò un patrimonio documentario e librario prodigioso per la storia dell’agricoltura, della società rurale e dei movimenti contadini. Precorse gli attuali interessi storiografici sul paesaggio muovendosi nella direzione della interdisciplinarità, situandosi a metà strada tra la storia economica e la storia dell’arte. 

Emilio aveva non uno ma due fratelli: Enzo, classe 1905, pioniere del sionismo socialista, fondatore del kibbutz di Ghivath Brenner, “salito” a Sion con la moglie Ada nel 1926, pochi mesi dopo che Gershom Scholem aveva fondato quella università di Gerusalemme che oggi le università occidentali vogliono boicottare. Si era nel 1926 in un contesto ancora privo di tensioni con il mondo arabo. E poi c’era Enrico, il primogenito, nato nel 1900, fisiologo e ricercatore presso la Stazione Zoologica di Napoli, morto prematuramente nel 1931. Nel primo dopoguerra anche Emilio ebbe una breve stagione sionista, imparò l’ebraico. Se ne allontanò dopo la nascita del Partito Comunista, cui aderì perché mosso da ideali di giustizia sociale non dissimili da quelli che porteranno il fratello Enzo ad arare il deserto e a fondare una comunità agricola collettivistica. 

L’esito sarà drammaticamente diverso, come ha raccontato molti anni dopo, in un bel libro, Il gioco dei regni (Giunti 1993) Clara Sereni, figlia di Emilio. La radice storica e culturale dei due movimenti è la stessa: il socialismo e il sionismo nascono anche loro fratelli sul finire del XIX secolo. Non vi è posto migliore dell’interno di casa Sereni per capire quanto fossero risposte diverse a una sola domanda di riscatto. Assediati da pamphlet usa e getta, schiacciati dalla tragedia della quotidianità che divide ebrei e sinistra ritrovare oggi «serenità» fra le carte di un archivio non è solo un banale gioco di parole: può servire come bussola di orientamento nel mare in tempesta in cui ci troviamo.

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Il padre di Enzo e Emilio, Samuele, era stato a lungo medico della Real Casa con ambulatorio al Quirinale.  Quella che scoppia in casa Sereni è una domestica rivolta antiborghese. Sionismo e questione meridionale sono le vie di fuga che si aprono davanti ai fratelli Sereni. Emilio scopre l’arretratezza biblica del sud d’Italia frequentando a Napoli intellettuali come Manlio Rossi Doria e Umberto Zanotti Bianco, entrambi non insensibili al paragone tra due Terre promesse: Sud e Sion. L’esempio di Ernesto Buonaiuti, con cui si laurea Enzo e l’incursione in casa Sereni dell’estro geniale di un ebreo centro-orientale capitato a Roma, Moshe Beilinson, aiutano i due fratelli a muovere i primi passi nella politica. Zusammen und zu füss, insieme e a piedi: questo il motto di famiglia ripetuto nelle passeggiate della loro giovinezza (i due percorsi si possono seguire, giorno dopo giorno, attraverso il volume Politica e utopia. Lettere 1926-1943, a c. di D. Bidussa-M. G. Meriggi, La Nuova Italia, 2000). Le tragiche esperienze del Novecento porteranno a spezzare quel legame profondo. Incarcerato, poi esule a Parigi, Emilio sarà costretto dalla rigida disciplina del partito a non rivedere più il fratello. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, Enzo sentirà il richiamo degli ideali risorgimentali, si unì agli anglo-americani per dare il suo contributo alla liberazione dell’Italia. Giunto a Bari nel marzo del 1944 verrà paracadutato oltre le linee nemiche, non lontano da Firenze. Arrestato dai tedeschi venne deportato a Dachau dove morì il 18 novembre dello stesso anno.

Sionismo e socialismo (poi comunismo) sono uniti da un elemento che dopo la Grande Guerra si impone all’attenzione dei giovani: il richiamo della terra, l’amore per il paesaggio e per le sue trasformazioni, il lavoro delle persone che quella terra cercano di trasformare a vantaggio della collettività. Fino all’età del padre dei Sereni la visione del mondo ebraica era quella di una borghesia urbana: quasi sconosciuto il ciclo della natura, il lavoro agreste, la vendemmia, il mondo contadino, elementi che con irruenza entrano in scena con il socialismo e con il sionismo. Enrico si trasferisce a Napoli e conduce studi sulla malaria, Emilio sempre a Napoli si unisce alla scuola agraria di Portici e scopre la realtà contadina del Mezzogiorno d’Italia. 

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Sono proprio le biografie dei due Sereni, i loro specchiati sembianti e l’immenso patrimonio di schede, appunti, ritagli, fotografie conservate all’Istituto Cervi che ci aiutano a spiegare questa verità che unisce e non disgiunge i passi di questi due fratelli anche dopo che si separano. Nella Storia del paesaggio agrario Emilio Sereni rivendica la fatica del lavoro umano capace di conservare un paesaggio meraviglioso, ma non di impedire all’uomo di spargervi sopra il sangue. L’Istituto Cervi ci mostra il laboratorio: ritroviamo le carte geografiche, le mappe, i documenti catastali, ma anche riproduzioni di documenti di età romana e medievale, riproduzioni di affreschi rinascimentali e di quadri dell’Ottocento, che Emilio valorizza al fine di dimostrare come il paesaggio della pianura padana e dell’Italia centrale sia rimasto invariato nei secoli. Storia del paesaggio agrario italiano è un capolavoro storiografico, un autentico long seller, che sorprende il lettore odierno. Lo apri e trovi un inserto iconografico degno di un manuale di storia dell’arte italiana. Vieni condotto per mano in un trekking attraverso i secoli, confortato dagli affreschi delle chiese dove quel paesaggio è rappresentato nella sua immutabilità e fa da fondale alle narrazioni bibliche ed evangeliche o alle guerre di espansione dell’impero romano. In questi luoghi sono nati e cresciuti Arturo Loria, Formiggini, i contadini di Carpi-Fossoli immortalati da Ligabue, ma qui transitarono anche i prigionieri del campo di concentramento, qui c’è la baracca dove Primo Levi è stato prigioniero, poco lontano di qui c’è Villa Emma a Nonantola: luoghi di eventi luttuosi che un destino crudele ha portato a immergersi nei paesaggi dove hanno mosso i loro primi passi Correggio, Alessandro Fontanesi e decine di artisti. “Paesaggi sereni”, verrebbe la tentazione di dire giocando sul nome dell’autore e dei suoi artisti di riferimento, ma anche “paesaggi contaminati” (su questi temi, partendo dalle carte di Gattatico, mi sono soffermato nel libro Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni, Add editore, 2022). 

Se interrogate con intelligenza le carte degli archivi chiariscono le nostre idee più dei trattati politici, certo più dei superficiali commentatori odierni post 7 ottobre. Il senno del poi, se adoperato con cinismo, è ingeneroso nei confronti di Enzo come di Emilio. Clara Sereni ci ha raccontato in pagine di alta drammaticità, come suo padre di fronte al crollo dello stalinismo letteralmente ammutolì. Negli anni del suo solitario silenzio la storia sembrava dare ragione agli ideali del fratello: mentre il socialismo reale in Russia mostrava i suoi orrori, il kibbutz fondato da Enzo e Ada si affermava ancora come unica forma di socialismo reale pienamente attuato: la fine dei governi laburisti era ancora di là da venire. Quanto è accaduto e sta accadendo in Israele, la crisi generale di quel paese, la presenza di movimenti religiosi estremisti, la vittoria prolungata dei partiti di destra segnano l’allontanamento definitivo dagli ideali che avevano indotto Enzo a partire (ma a quegli ideali erano e sono legati gli abitanti del kibbutz assalito il 7 ottobre). 

Se piange la Mosca di Emilio, oggi la Gerusalemme di Enzo non ride, ma lagrime amare si versano anche a Roma, Parigi e Londra, dove le liberaldemocrazie in difesa delle quali Enzo Sereni sacrificò la sua vita, oggi preda di sovranismi e nazionalismi estremi, attraversano una crisi forse irreversibile. 

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