Speciale
Una matita per l'estate / Simonio e Lyndiana
Simonio era sempre stato un bambino grassoccio. Amava mangiare di tutto. All’epoca in cui visse non si parlava ancora di obesità: anzi il sovrappeso veniva esibito come un trofeo di famiglia. Ma Simonio fin da piccolo aveva dato prova di una certa oltranza in materia. Avrebbe superato tutti i suoi antenati, nella galleria di ciccioni che occupava il corridoio del piano superiore della casa. Il bisnonno che quasi non entrava nel suo gigantesco ritratto. Il nonno che si diceva fosse scoppiato come una cicala dopo un pranzo di dieci ore. Il padre che ogni mese faceva allargare i calzoni del suo guardaroba. In attesa di oltrepassare le glorie famigliari, Simonio si dava da fare cacciandosi in bocca ogni cosa che trovava in giro.
Aiutato dalla sorella Lyndiana, di pochi minuti maggiore di lui. Perché se Simonio era un campione di pesi medi, Lyndiana aspirava alla categoria dei pesi massimi. Eppure erano nati magri come acciughine. Non si sapeva neanche se sarebbero sopravvissuti. La famiglia Bernacotti ogni due generazioni sfornava dei gemelli, neanche un orologio avrebbe fatto di meglio: quindi per prima uscì fuori Lyndiana. Con una gomitata al fratello. Poi Simonio esibendo un bell’occhio chiuso. Le due acciughine facevano pena a vedersi e il padre mandò subito a chiamare il parroco, perché nel limbo non ce le voleva mandare. Invece quelle animelle che si tenevano con i denti non ci pensavano neanche ad andarsene. Iniziarono a mangiare di gran lena, dimostrando una voracità straordinaria.
Forse era stata la paura. Dopo Simonio, infatti, era venuto fuori anche un terzo fratello. Più sottile e smunto di loro: quasi nero, dalla testa oblunga ai piedi lividi. Nero come la pece, diceva con ribrezzo la madre, quando raccontava quel parto lunghissimo alle amiche. Nero come il diavolo ripetevano le serve in cucina. Ma no, correggeva il padre buongustaio: come il sugo di seppia. Il terzo gemello era nato morto, pace all’anima sua. Simonio e Lyndiana se lo erano tenuti accanto per chissà quanto tempo. Oppure lo avevano ucciso loro? Con qualche mossa involontaria, in quell’involucro così stretto. O magari mettendosi d’accordo per eliminarlo, in un suo momento di debolezza. Fatto sta che nella famiglia Bernacotti andava sempre in questo modo: i gemelli erano tre in origine, il numero perfetto. Ma solo due sopravvivevano. Accompagnati per tutta la vita dal fantasma del terzo.
L’immagine dell’involucro li affascinava. Dentro la pancia in due. In tre. Uno morto. Nero e schiacciato. In mezzo a loro: vivi, affamati. E come si faceva a muoversi? Durante i pigri pomeriggi d’estate, quando il maestro li lasciava finalmente in pace con i suoi noiosi ripassi di retorica e aritmetica, Simonio e Lyndiana si dedicavano a mille esercizi per capire come funzionava. Si stendevano sul letto, avvolgendosi dentro un lenzuolo legato in cima come un sacco e sperimentando tutte le possibili posizioni. Dalle più semplici alle più astruse. Ma finivano sempre per accapigliarsi. Lyndiana faceva la prepotente, Simonio sbagliava l’incastro, lui le tirava un orecchio, lei un calcio nel sedere: insomma non si capiva com’era stato possibile restare appiccicati in quei nove mesi. Con il morticino di cui non ci si poteva sbarazzare.
Poi c’era un altro, inesauribile mistero da affrontare. Ogni santo giorno: quello dell’estensione della loro stessa pancia. Un’albicocca, due, tre, quattro. Quante ne poteva contenere? E di polpette, quelle fatte con la carne macinata e il pane? Di pesciolini fritti che ci andavano tutti e due pazzi? Cannelloni, fagioli, bignè. Il mistero era fitto. E intanto loro sperimentavano. Lyndiana con un accanimento particolare. Voleva che la sua pancia diventasse una montagna dove avrebbe potuto nascondere tutto quanto. Le armi e le munizioni del padre generale. I pupazzi di cui era piena la sua cameretta. Le biglie di Simonio. I sassolini della ghiaia e le lucertole che se ne stavano al sole. L’involucro doveva fare il suo dovere: avvolgere tutte le cose del mondo.
Finché un giorno non scoprirono un gioco che non avevano mai fatto prima. Rubarono dalla cartella del maestro alcune lunghe matite di grafite che dopo le lezioni gli lasciavano le mani tutte nere. E iniziarono a imbrattarsi l’uno con l’altro di quella polvere scura. Poi si guardarono come fossero allo specchio ridendo a crepapelle. Ma dal riso passarono subito al pianto, per una tristezza sconosciuta che gli si era infilata dentro. Allora Lyndianaebbe un’idea. Corse a un albero di pioppo lì vicino e con il coltellino dal quale non si separava mai cominciò a staccare delle cortecce sottili, che chiese a Simonio di legare con delle fascette di fieno intorno alla grafite. Poi disse al gemello: “D’ora in avanti sarà così che funzionerà: avrà un’anima nera e intorno il legno a tenerla lontana. Si chiamerà lapis”. Simonio capì che stava parlando del fratello morto. Quello che era rimasto nel mezzo.
E che adesso era rinchiuso lì dentro. Tra le dita il lapis scivolava proprio bene. Non sporcava e lasciava la sensazione calda del legno. I due gemelli, da quando l’avevano fabbricato e via via perfezionato, non facevano altro: scrivere e cancellare. Il terzo fratello rinasceva così in mezzo a loro e scompariva di nuovo. Avevano trovato un modo per riunirsi a lui. Ma anche per liberarsene. Perché in tre erano perfetti, ma solo in due potevano sopravvivere. Nell’imperfezione degli involucri che erano diventati. Come delle parole che uscivano da quel buio, in quel buio tornando a riposare.
Scrivi e cancella la tua storia, Lyndiana. E anche la tua, Simonio. Narrate, donne e uomini, la vostra storia. E poi cancellatela, per ricominciare.
Le altre matite:
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Giuseppe Di Napoli, L'anima nera del carbone
Aldo Zargani, La matita del fato
Giovanna Durì, La prima matita e le sue compagne
Francesca Rigotti, Matita: veloce e lenta, giovane e antica
Maria Luisa Ghianda, Histoire d’H (di B e di F)
Guido Scarabottolo, Perdonare gli errori
La redazione, Una matita per l'estate. Il concorso doppiozero