La network society secondo Manuel Castells

1 Maggio 2013

Alle elezioni politiche dello scorso 25 febbraio il Movimento 5 Stelle aveva raccolto in Friuli il 27 per cento dei consensi, alle regionali del 22 aprile solo il 13 per cento. Giuseppina De Santis, sul sito del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, a caldo sottolineava come questo fatto dia «un’idea, da un lato, della velocità con cui l’elettorato italiano in questo momento è pronto a consumare proposte e partiti; dall’altra, di quanto sia esile il filo che lega rappresentanti e rappresentati».

 

Certamente i risultati elettorali vanno interpretati più analiticamente e nel contesto delle dinamiche politiche locali, ma un dato appare evidente, soprattutto in riferimento all’impatto che i nuovi mezzi di comunicazione orizzontale stanno avendo sulle dinamiche politiche italiane: cioè che rappresentano in luogo di discussione e di deliberazione che, con buona pace di Grillo, non può essere così facilmente regimentato.

 

 

Manuel Castells, Professore in Comunicazione presso l’Annenberg Center della University of Southern California (USC), è uno degli studiosi che meglio sta interpretando questi cambiamenti, a partire dai suoi studi sulla «network society» (M. Castells, The Rise of the Network Society: The Information Age: Economy, Society, and Culture, Volume 1, Wiley-Blackwell, 2010, 2a ed). Castells ha da tempo cercato di inquadrare teoricamente alcune risultanze empiriche dell’ultimo decennio, aiutandoci a formulare alcune ipotesi sul futuro della costruzione politico-culturale all’interno del nuovo spazio strutturato dalla rivoluzione digitale introdotta dai social network. In una serie di lezioni che Castells sta tenendo in vari atenei su Social Movements in the Internet Age (si veda ad esempio quello a Cambridge; e a Washington), il sociologo spagnolo avanza alcune considerazioni che possono essere utili per comprendere alcune dinamiche socio-politiche di casa nostra.

 

Partendo dall'esperienza di alcuni movimenti spontanei come gli Indignados o Occupy Movement, Castells sottolinea come i social network saltino ormai del tutto la mediazione dei leader formali tradizionali (siano questi intellettuali o politici), ormai in crisi di legittimazione, stimolando cooperazione e reciprocità; essendo orizzontali — con un passaggio da forme di mass-communication a mass-self-communication —, e non avendo a che fare con autorità più o meno sostanziali, inducono spontaneamente meccanismi di solidarietà e di fiducia tra pari; allo stesso modo non avendo un centro visibile non possono essere controllati perché il network dissemina competenze e autonomia decisionale; sono locali e globali allo stesso tempo e usufruiscono di una immediata internazionalizzazione sia in termini di risorse intellettuali e informative che di forza di mobilitazione; possono connettersi con altri network in maniera immediata; cambiano inoltre i processi temporali: essendo fenomeni virali, hanno un elemento di istantaneità e di “espansività” inediti; sono inoltre multimodali, attuando forme di comunicazione che possono essere scritte, orali, ma anche fatte di immagini e di video, accrescono l’impatto di significato della propria azione; sono auto-riflessivi e costituiscono di fatto una sfera pubblica che è sia virtuale che reale (specifica a determinati contesti urbani) e che contribuisce a costruire un flusso continuo di discussioni e deliberazioni, senza possibilità di irrigidirsi su un unico programma o su un unico obiettivo; sono fondamentalmente politici (nel senso di polis), ma non possono essere cooptati dai partiti tradizionali, anche se i partiti possono cavalcare a loro vantaggio i cambiamenti introdotti nell’opinione pubblica da queste mobilitazioni che possono inoltre diventare un target del marketing politico, ma mai strumento specifico per imporre linee politiche precise; sono più impegnati a cambiare i valori della società che a sovvertire lo stato, contribuendo ad accrescere effetti di democrazia sostanziale e cercando di promuovere un allargamento di rappresentatività all’interno delle istituzioni formali.

 

 

Si tratta, secondo Castells, di uno spazio utopico, dove comunità locali e comunità virtuali si incontrano, producendo trasformazioni sostanziali. Umberto Eco scriveva in introduzione ad Apocalittici e integrati che «fare la teoria delle comunicazioni di massa è come fare la teoria del giovedì prossimo», e riscontri più puntuali saranno certamente necessari dal punto di vista di una più precisa disamina scientifica, ma nel frattempo il lavoro di Castells sembra già fornirci alcune parziali risposte sul tipo di spazio politico e intellettuale che si sta articolando anche in Italia negli ultimi anni.

 

Ai più scettici (sulle effettive potenzialità sociali e politiche dei social network) si può sempre dire di portare un po’ di pazienza. Giovedì prossimo non è poi così lontano.

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