Speciale

La buona scuola è una sfida quotidiana

3 Giugno 2015

Facile dire riforma sì, riforma no. Ma le cose sono molto più complicate di così. Perché la scuola è una cosa maledettamente grande e complessa. Si impara il sapere dell'umanità in un tempo di radicale mutamento del come e del cosa si impara. Si apprende a stare insieme tra coetanei nel mezzo di una crisi educativa in un Paese dove le proiezioni di tanti adulti su pochi bambini hanno creato un'iper-protezione diffusa invece della santa promozione di chi vivrà dopo di noi che, per essere tale, deve prevedere libertà e responsabilità e dove la coesione sociale è stata tartassata dalla crisi economica e dalla pochezza delle classi dirigenti nonché da troppe idiozie irresponsabili urlate in giro da chi fa politica e da chi informa. E – attenzione – è l'unico luogo rimasto dove adulti dedicati a educare e ragazzi tra loro non consanguinei stanno insieme ogni giorno per molte ore e devono trovare il modo di far convivere, nel concreto del quotidiano e non a chiacchiere, l'eguaglianza assoluta dei diritti e l’enorme differenza tra le persone.

 

Di scuola ne parliamo tutti perché ci siamo andati tutti a scuola e così è una specie di sport nazionale per una nazionale che, però, gioca tutta la settimana per 33 settimane all'anno e dove militano i nostri figli, fratelli, nipoti, genitori e amici e dove abbiamo giocato pure noi. Eppure dovremmo essere prudenti nel parlarne, non fosse altro che per i grandissimi numeri. 40.000 edifici in un paese con uno squilibrio demografico pauroso tra aree interne e aree metropolitane. Almeno 60.000.000.000 di budget annuo con, però, una decurtazione progressiva, decisa da chi governava nel 2009 e subita da noi tutti, di 8.300.000.000 – unico caso al mondo. 8.000.000 milioni di ragazzini dai 3 ai 18 anni, di cui 210.000 con disabilità e bisogni molto speciali ogni giorno in classe, una nostra grande virtù che nessun'altra nazione ha mai avuto e 850.000 ragazzi stranieri, il 10%, che vengono da oltre 100 paesi diversi (erano 50.000 nel 2001), altra virtù che il mondo intero, stupito, ci riconosce. Il tutto nelle mani di un 1.000.000 di docenti e altri lavoratori, in regime di bassi salari, che, insieme ad alunni, genitori, nonni ecc. fanno 30.000.000 di persone che ogni mattina se ne occupano, la metà dell'Italia.

 

Come fa a tenersi su questo immenso cantiere? Con la testarda speranza, l'artigianale costruzione giornaliera, le frustrazioni vinte e non vinte, le competenze e incompetenze, adeguatezze e inadeguatezze di chi ogni giorno scende di casa e ci va a lavorare, spesso con straordinaria dedizione e anche con vera capacità d'innovazione didattica e pedagogica, troppe volte, soprattutto alle superiori, con conservazioni e anche mediocrità.

 

Esercitare scelte riguardanti la scuola, in modo democratico, davvero non è facile. Ci vogliono processi ben sorvegliati e lunghi e il cantiere non si può interrompere né troppo sollecitare da fuori. È certo che non tutti possono essere sempre d'accordo quando si devono – e si devono! – cambiare le cose altrimenti non si fanno mai. Al tempo stesso in tutto il mondo la scuola si trasforma con processi di potenziamento prossimale – empowerment – costanti e pazienti e insieme a chi fa scuola.

 

Detto ciò, se si guardano oggi gli ultimi eventi con un minimo di temperanza, si può individuare un promettente campo comune per riprendere a mettere insieme cambiamenti e condivisione. Perché, in fondo, con il grande sciopero il mondo-scuola – oltre ai conservatorismi di sempre e alle difese corporative inevitabili in ogni categoria – ha segnalato al Paese 5 cose importanti. Che l'immissione in ruolo deve avvenire presto per i precari da troppo tempo in attesa. Che il dirigente di una scuola può anche decidere di più ma deve egli stesso fare parte di un sistema coerente di valutazione e sapere guidare una comunità educativa e non una vicenda burocratica. Che i fondi indirizzati da privati a singole scuole devono potere arrivare anche alle scuole delle aree povere grazie un serio sistema perequativo. Che gli studenti devono contare e di più. Che a scegliere chi va in quella scuola o in quell'altra ci deve essere un meccanismo che sappia coniugare una graduatoria pubblica controllabile e le esigenze vere di reti di scuole che vogliono incontrare sapienze didattiche ed educative senza sguarnire, però, le scuole delle aree più difficili.

 

Ora la vicenda è nelle mani del Parlamento e il governo si è messo in ascolto. Il lavoro della Camera dei deputati sul testo di legge ha messo il dirigente scolastico in una posizione più equilibrata, ha garantito l'effettiva immissione in ruolo di 100 mila docenti (un fatto di prima importanza!), ha evitato i soldi privati alle scuole senza però escogitare un meccanismo perequativo, prova a dare più spazio ai ragazzi e ha avviato un compromesso tra rispetto delle graduatorie e possibilità per le scuole di co-determinare la venuta di un docente. Dopo la festa della Repubblica, il Senato – si spera – riuscirà a migliorare ulteriormente alcuni articoli, semplificare un testo ancora pieno di troppi fronzoli secondari e auspici già attuabili e magari iniziare a delegiferare per il bene di una vera autonomia responsabile delle scuole.

 

Ora la scena nel cantiere è la seguente: pochi vogliono protestare a oltranza perché sono esasperati da anni di attese deluse o perché l'hanno sempre voluto fare per lasciare le cose sostanzialmente immutate, purtroppo rischiando di scegliere forme di lotta che danneggiano i ragazzi e molti hanno già ripreso a dedicarsi al lavoro di fine anno con l'approccio di chi alla fine si è sempre rimboccato le maniche e la speranza di ottenere sensate modifiche alla legge.

 

Restano le cose da fare nei tempi medio-lunghi nel grande cantiere: dare slancio vero al piano per un'edilizia scolastica che dia sicurezza, sostenibilità e nuovo uso degli spazi a scuola, migliorare la didattica generalizzando quella laboratoriale rispetto a quella trasmissiva, sostenere la formazione di oltre 400.000 docenti che sostituiranno chi andrà in pensione nei prossimi 5 anni, ascoltare l'ennesimo grido d'allarme che viene dai dati OECD (www.oecd.org) di questa settimana e aprire una campagna, con una vera regia nazionale, per lottare contro la scandalosa dispersione scolastica che colpisce sempre i più poveri, avvicinare molto di più istruzione, formazione e avvio al lavoro, superare assetti iper-standardizzati in modo da promuovere le parti forti, deboli e inesplorate di ogni alunno, curare – con modalità partecipativa – la crescita della cultura dell'auto-valutazione e della valutazione che le scuole, a differenza della maggioranza del Paese, già fanno, aumentare progressivamente – con il graduale miglioramento dei conti pubblici – il salario a tutti docenti e al contempo premiare i gruppi docenti (e non i singoli) capaci di cooperare per innovare.

 

Chi si dedica ogni giorno a costruire la scuola che tutti meritiamo sa bene che sono queste le nostre sfide.

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