Musicage / John Cage. Conversazioni private

30 Gennaio 2018

La lettura di questo volume, Musicage, recentemente apparso per i tipi de il Saggiatore, è consigliata unicamente a coloro che sono in qualche misura già in confidenza con l'estetica e il pensiero di John Cage, figura un tempo controversa e ormai ampiamente storicizzata nel panorama del pensiero musicale del XX secolo. 

Il carattere di chiacchiera personale tra Cage e l'autrice Joan Retallack che caratterizza lunghe sezioni del libro, infatti, dà per scontata la conoscenza di molti elementi biografici dell'autore e presume che chi legge abbia ascoltato buona parte dei lavori di cui si sta parlando. In caso contrario l'effetto di narcolessia è garantito, si ha proprio la sensazione di trovarsi a fare da terzo incomodo invisibile durante delle conversazioni private tra amici alle quali, però, non si è in grado di partecipare. 

Altrettanto soporifera può rivelarsi la sezione iniziale dedicata ai Mesostics (un tipo composizione poetica a cavallo tra letteratura ed enigmistica ampiamente coltivata da Cage in tutta la propria esistenza) se non preceduta da una conoscenza dell'argomento in questione. 

Conviene prima leggersi qualche volume “divulgativo” sul musicista americano prima di affrontare le oltre 470 pagine di questo librone. 

 

Detto questo, non mancano certamente gli spunti di interesse. 

Il fatto che la Retallack non provenisse da un background musicologico fa sì che le domande evitino i soliti luoghi comuni che Cage si sentiva chiedere quasi sempre a ogni intervista, ovvero cos'è il suono rispetto al rumore, cos'è il silenzio, come si scrive utilizzando la casualità, ecc. 

 Si spazia dalla filosofia zen all'anarchia, da considerazioni sulla politica e l'economia americana di quegli anni (le conversazioni si sono svolte tra il 1990 e il 1992, anni della scomparsa di Cage) al rapporto con i computer e la tecnologia applicati alla creatività. 

Come sempre Cage dimostra di essere totalmente insensibile a qualsiasi fenomeno musicale che non vada nella propria direzione (personalmente trovo stupefacente il suo totale disinteresse per forme artistiche come jazz e rock) e questa ostinazione nel voler proseguire il proprio, solitario, cammino, porta con sé anche un profondo disprezzo per qualsiasi mezzo di comunicazione di massa, non a caso Cage qui si vanta per l'ennesima volta di non guardare la Tv e di non ascoltare neppure la radio. 

 

 

Uno “splendido isolamento” che sembra contrastare paradossalmente con la curiosità vivacissima che egli aveva nei confronti delle persone che incontrava e per l'entusiasmo che riusciva a creare durante qualsiasi dei suoi happening, spesso coinvolgendo un gran numero di persone (pensiamo solo all'indimenticabile viaggio con il treno preparato realizzato nel 1978 tra Bologna e Ravenna). 

Una lunga sezione è dedicata al mondo delle arti visive, con particolare attenzione sugli artisti che hanno influenzato Cage (da Duchamp a Johns, De Kooning e Nam June Paik) e sulle opere grafiche che Cage ha realizzato, in particolare negli ultimi decenni di vita. Interessante come in questa occasione Cage dimostri di essere molto più aperto e curioso sul lavoro degli artisti visivi rispetto alle opere dei suoi colleghi compositori, sui quali si esprime molto poco anche nella ultima parte del libro, che dovrebbe essere dedicata proprio alla Musica ma si risolve in una serie di discorsi ossessivamente incentrati su dettagli tecnici delle proprie ultime composizioni (con qualche rarissima eccezione in cui Cage parla essenzialmente male di altri autori), come se giunto al 1992 tutto quello che era successo nel mondo musicale (statunitense ed europeo) non lo riguardasse. 

Non c'è traccia del minimalismo e dei cambiamenti portati dall'estetica postmoderna, ma neppure del lavoro di musicisti della sua generazione che pure erano in piena attività creativa, come Berio, Ligeti e Stockhausen. 

Cage non vede altro che se stesso, ascolta unicamente se stesso, è totalmente immune al proprio presente sonoro e questi paraocchi che sembrano ostruirgli la vista vengono da lui indossati con ostentazione, quasi con atteggiamento di sfida verso gli altri musicisti che per lui, evidentemente, non esistono. 

 

Da un lato si può certamente ammirare la coerenza assoluta, quasi stoica, di un atteggiamento simile che permette a Cage di proseguire nel suo percorso con immutata energia, dall'altro la lettura di queste pagine provoca un senso di malinconia per una tale chiusura mentale nei confronti di ciò che non incontra la propria adesione. 

 

Come faceva notare John Adams, l'apparente libertà e sregolatezza “anarchica” di molte opere cageane nasconde in realtà una serie di regole ferree non lontane da quelle degli strutturalisti di Darmstadt e un non dissimile fastidio per chi si comporta altrimenti da esse. L'opera di Cage, che pure aveva scardinato con effetto dinamitardo il mondo dei Ferienkurse, rivista a decenni di distanza appare talvolta percorsa dallo stesso tipo di diktat e intolleranza intellettuale che caratterizzava molte opere di Stockhausen e Xenakis, seppure mediata da un atteggiamento incomparabilmente più amabile e spiritoso dal punto di vista personale.

 

Personalmente mi è dispiaciuto trovare nel volume decine di pagine dedicate ai suoi tentativi di realizzazione grafica o ai mesostics e praticamente nessun paragrafo destinato ai capolavori che Cage ha composto prima degli anni '50, quelle mirabili pagine per percussione, voce e pianoforte (preparato e non) che, non a caso, oggi continuano a rimanere nel repertorio di numerosissimi esecutori e continuano ad assicurate al suo autore una lunga vita nelle sale da concerto, molto più delle sue opere letterarie o dei brani interamente basati sull'aleatorità. 

È tra le pagine di lavori come Credo in Us, Four Walls, Imaginary Landscapes 1-5, The Seasons, Living room music, Three Constructions, Sonatas and Interludes, Sixteen Dances, Forever and sunsmell, The wonderful widow of eighteen springs, Amores, Six Melodies, che si ritrovano il genio e la personalità autentica di John Cage. 

 

Purtroppo in questo libro se ne parla poco o nulla.

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