Il giocatore / E se vinco?
Ecco cosa dice Maestro Snoopy all’allievo Woodstock: “Nasci. Cresci. Colpo di fulmine. Colpo d’aria. Colpo di freddo. Colpo di sonno. Ma un colpo di culo, mai?” È questo il pensiero, per niente recondito, di tantissimi italiani: l’idea che solo un colpo di fortuna possa veramente portarti fuori dalle peste del vivere. Con la forza di una formidabile sintesi il nostro bracchetto sa toccare, anche se non proprio con grande raffinatezza, il nervo giusto per capire la radice del comportamento di tantissima gente che si rivolge quotidianamente alla fortuna con intenti serissimi pensando di potere davvero mettere le mani su un tesoro definitivo per una piena realizzazione della propria vita.
Nello spirito di Aleksej Ivanovic, Il giocatore di Dostoevskij: “Contando anche la vincita precedente, avevo ora millesettecento fiorini, e tutto questo in meno di cinque minuti! Sì, in momenti come quelli ti dimentichi di tutti i tuoi precedenti insuccessi. Quel denaro io l’avevo vinto rischiando più che la vita; avevo osato rischiare, e ora ero stato riammesso nel consorzio umano!” (F. Dostoievskij, Il giocatore, trad, G. Pacini, Garzanti 2016, p. 193).
Tutti abbiamo esperienza di tabacchini gremiti ad ogni ora del giorno da persone affaccendate in misteriose attese, lo sguardo fisso su uno schermo. O di luoghi dall’aria equivocissima nascosti da porte d’entrata ricoperte da improbabili vetrofanie di carte da gioco o monete ingigantite: si scorge un gran buio, ma bisogna mettere dentro il naso per vedere le mille lucine e sentire i suonini delle slot machine. Non parliamo del marciapiede che sta di fronte alla sala corse: una microagorà dove si decidono destini umani. È il rutilante mondo del gioco d’azzardo legale che lo spirito italico ha portato a dimensioni tali da smuovere oramai fior di competenze per tentare di capire, spiegare e curare le moltitudini che di quel mondo non sanno più cogliere la sostanziale grande ipocrisia.
Secondo l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli l’azzardo è aumentato dal 1998 di oltre il 750%, nel 2016 gli italiani hanno giocato circa 96 miliardi di euro, le entrate dello Stato sono state di 10,5 miliardi, la spesa pro-capite nazionale è attualmente di circa 1.600 euro. A Roma nel 2016 si sono spesi 7 miliardi di euro, 3 a Milano. Il “Corriere della Sera-7” del 16 novembre scorso, intervistando alcuni degli odierni 800 mila giocatori patologici, ha ricordato i dati del Ministero dell’Economia: l’azzardo legale è la terza impresa nazionale che fattura il 4% del PIL. L’Italia ha il record europeo di una slot machine ogni 143 abitanti.
Certo due bambini che dicono “andiamo a giocare” fanno sempre tenerezza. Il gioco è una delle forme della narrazione del sé, dice Freud, e con la loro fantasia i bambini creano giochi che possono essere un’elaborazione delle proprie angosce. Ma se due adulti dicono “andiamo a giocare”, diciamo che è legittimo preoccuparsi perché sappiamo che quel loro giocare potrebbe anche essere fonte di rovina. La dimensione del gioco è un pilastro strutturale dell’essere umano, ma rimane difficile oggi pensare che un’umanità che pratica il gioco d’azzardo sia sana perché gioca.
La Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso ha da tempo avviato una vasta ricerca sulla civiltà del gioco e ora indaga nella storia di questa particolare attitudine umana al gioco di fortuna con la mostra Lotterie, lotto, slot machines – L’azzardo del sorteggio: storia dei giochi di fortuna. (Treviso, Palazzo Bomben 18 novembre 2017-14 gennaio 2018. I materiali del convegno di apertura saranno raccolti in un numero dedicato di “Ludica. Annali di storia e civiltà del gioco”). Il curatore della mostra e direttore di “Ludica”, lo storico Gherardo Ortalli, in una cordiale chiacchierata, ha sottolineato a più riprese il fatto che sostanzialmente di grandi novità nella nostra epoca in fondo non ce ne sono: la storia della liaison tra denaro e gioco comincia infatti nell’antichità con il diritto romano che prova a regolamentare le scommesse di denaro (ma nello stesso momento l’imperatore Augusto perdeva in una sola giornata anche 20.000 sesterzi!), e decolla alla ripresa economica dell’Europa dopo l’anno Mille e soprattutto nel Duecento quando gli Stati europei colgono le grandi opportunità di guadagno che l’applicazione del denaro al gioco può generare, è in quel momento che nasce lo “Stato biscazziere”. La pulsione al gioco riceve un ulteriore potente stimolo con l’arrivo dall’Oriente nel Trecento delle carte da gioco che vanno ad unirsi all’antico gioco dei dadi, ma soprattutto con l’esplosione delle lotterie (chiamate a quel tempo “lotti”).
Nel Cinquecento il gioco d’azzardo entra nell’età moderna quando da un lato si mettono a punto e si raffinano le norme giuridiche che regolamentano le transazioni di denaro, e, dall’altro, si esplicita la contraddizione tra l’azzardo e la sua dubbia eticità. Il gioco d’azzardo come “peccato” rimane una costante, un tarlo che le società hanno sempre avvertito, ma mai espulso attraverso una elaborazione eticamente convincente. A Venezia il 18 febbraio 1522 si organizza la prima lotteria, tutti pazzi per giocare. Il 25 febbraio il governo interviene in nome dell’ordine a bloccare l’iniziativa. Il 7 marzo lo stesso governo, intuendo molto rapidamente i grandi vantaggi portati dal “lotto”, bandisce una sua lotteria con premi fino alla cifra esorbitante di 50.000 mila ducati.
Il lungo travaglio, si fa per dire, etico non impedì il fiorire di ogni gioco d’azzardo nel Settecento (qualcuno ricorderà il Berry Lyndon di Kubrick che per vivere, dopo essere stato espulso dalla Prussia, diventa giocatore d’azzardo e allo stesso tempo riscossore di debiti di gioco). La Chiesa Cattolica stessa nel 1731, a fronte di vantaggi economici immensi e convincenti, lo rese lecito. C’è come una lunga parentesi, una sospensione nell’Ottocento: le nuove istanze sociali orientavano i costumi verso il merito del lavoro piuttosto che sulla fortuna, e contro il gioco di fortuna, “la più immorale fra le tante imposte dello stato”, Francia e Inghilterra si risolsero ad abolire le lotterie pubbliche. Tra i documenti esposti c’è l’editto con cui Giuseppe Garibaldi, divenuto dittatore delle Due Sicilie, l’11 settembre 1860 abolì il lotto, ma il decreto, con l’annessione, fu sospeso dal regno d’Italia prima di diventare esecutivo. Dopo il pudico Ottocento, il Novecento, in una sorta di effetto rebound, esalta il gioco di fortuna grazie al rapidissimo sviluppo delle tecnologie sempre più raffinate, dalla Liberty Bell, la prima slot machine (che porta il nome della campana dell’indipendenza americana) dei primi del secolo, alle attuali novità mensili dei giochi proposti, sino alle giocate continue tramite applicazione su smartphone. Lo ripeto: la terza impresa economica italiana della nostra epoca! È davvero lontana la schedina del Totocalcio giocata il sabato pomeriggio dai nostri genitori.
“La partita è sempre aperta – osserva Ortalli –: tra giocatori, pulsioni, industrie, autorità, interessi finanziari, preoccupazioni, necessità di garanzie sociali e quant’altro. Il problema sarà quello di sempre: come garantire il giusto equilibrio tra le incomprimibili pulsioni innate e le necessità di una loro corretta gestione.”
C’è una scena del film The Square (di Ruben Ostlund, Palma d’oro a Cannes nel 2017) in cui il Museo d’Arte Contemporanea di Stoccolma propone, nel contesto di un sontuoso ricevimento promozionale presso l’alta società svedese, la performance di un uomo-scimmia, che in un silenzio religioso si muove tra i tavoli provocando animalescamente i presenti in un crescendo di angoscia che esplode quando, davanti a una vera e propria aggressione ai danni di una signora, i signori uomini si trasformano a loro volta in belve pronte a uccidere il performer. Come a dire che la pulsione della ferocia animale non si ferma anche nel più elevato dei contesti sociali e culturali, tema del film.
Che cosa accadrebbe nella nostra società generalmente turbata se per un istante spegnessimo il gioco d’azzardo? Se solo per un attimo la gente si trovasse senza più l’amato gratta-e-vinci, la sala corse, il jackpot settimanale o la roulette? Il giocatore d’azzardo, scrive Massimo Recalcati, offre un ritratto estremo e inquietante del caos ingovernabile in cui viviamo. La sua dipendenza patologica verifica ciò che Freud sosteneva, e cioè che l’uomo non è padrone di se stesso. Perché “siamo agiti da una spinta che non possiamo domare né con la nostra ragione, né con la nostra volontà” (Elogio del caos. La forza della vita contro l’algoritmo, “Repubblica”, 9 novembre 2017). I am what I do dice lo slogan di una campagna pubblicitaria appena avviata da un grande marchio della telefonia che, al di là delle facili ironie, si rivela assai acuto.
Quando lo Sato biscazziere saprà trovare il giusto equilibrio e diventare il Grande Super-Io che regoli questo bagno di irrefrenabili istintualità individuali ben concimate dalla copiosa ignoranza culturale? Quanto potrà sopportare un moderno proletariato (lumpen e mittel) immerso nelle tristi acque del “gioco di fortuna” e nell’instabilità irrevocabile della nuova organizzazione del lavoro?
In un quadro di dilatazione della manipolazione sociale, anche il gioco di fortuna probabilmente si configura come una concrezione di quella che il post-foucaultiano Byung-Chul Han chiama l’illusione di essere liberi, "oggi – dice – crediamo di non essere soggetti sottomessi ma liberi, crediamo di essere un progetto che si delinea in maniera sempre nuova, che si reinventa e si ottimizza. Il problema è che questo progetto, nel quale il soggetto sottomesso si libera, si rivela esso stesso una figura della costrizione" (Elogio della distanza, in “Doppiozero” del 28 settembre 2015).
Difficile dire come andranno le cose in futuro per la dimensione collettiva, ma per quella individuale penso sia sempre preferibile il Totò di ‘A schedina ‘A speranza, testo con cui si chiude la mostra:
Si avesse già pigliato ‘e meliune
A st’ora ‘e mo starrie già disperato.
Invece io sto cu ‘a capa dinto ‘a luna,
tengo sempre ‘a speranza d’ ‘e ppiglià.