Alberto Prunetti, letteratura della working class
Non si può cogliere il senso dell’ultimo libro di Alberto Prunetti, Troncamacchioni (Feltrinelli, 2024) senza ricordare il percorso compiuto dai suoi precedenti che messi insieme costituiscono un vero e proprio filone tematico/culturale. I titoli: Amianto. Una storia operaia (Alegre, 2014); 108 metri. The new working class hero (Laterza, 2018); Nel girone dei bestemmiatori. Una commedia operaia (Laterza, 2020); Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class (minimum fax, 2022).
Quella di Prunetti è una ricognizione meticolosa della realtà di una working class nostrana così come si è articolata nell’ultimo secolo a partire, con Amianto, dalla storia famigliare scritta da chi è nato e cresciuto accanto alla durezza della vita operaia del padre, Renato, saldatore trasfertista, vero working class hero di "Un mondo dentro il mondo. In queste lande straniere [...] che i giusti vedono passando dalle auto e dai treni, dove un'altra vita sogna", per dirla con il Suttree di Cormac McCarty.

Poi la disgraziata combriccola di 108 metri, avventure e disavventure di ‘cervelli in fuga’ che nettano cessi, si ubriacano e rubacchiano in giro per l’Inghilterra thatcheriana, fino al rientro ‘trionfale’ tra le acciaierie di Piombino, quelle con le rotaie di 108 metri.
Con la “commedia operaia” di Nel girone dei bestemmiatori, Prunetti chiude una trilogia con cui riepiloga la sua ‘commedia’ tra generazioni. Il padre perde la vita per una malattia ai polmoni conseguenza del lavoro nelle acciaierie di Piombino, e il figlio scrittore e traduttore, che emigra e scopre la Gran Bretagna come una degradata landa della new working class, per tornare amaramente nella realtà di abbandono e turismo di massa della sua terra. Come ha scritto Marco Ambra: “Un’epopea maremmano-labronica, fatta di ferro, acciaio, elettrodi, sale e amianto. Un mondo di acciaierie e domeniche nei campetti di periferia, di sanguinose economie domestiche e, soprattutto, lotta di classe. Un racconto di padri e figli(e), intimo e allo stesso tempo prosaico come Turgenev ci ha insegnato” (laletteraturaenoi.it, 30 ottobre 2020)

Infine, con Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class, Prunetti predispone l’impalcatura culturale del tema della letteratura working class. Per letteratura working class – scrive l’autore – si intende una letteratura «attorno al tema del lavoro (salariato e domestico) e di una accurata (ma non necessariamente realistica) rappresentazione della vita working class, della sua cultura e resistenza al potere» (p. 14). L’idea è chiara: la realtà empirica dei lavoratori necessita di una amplificazione assoluta che, accanto alla liberazione economica, la ponga al centro di un nuovo processo emancipativo culturale. Per una letteratura che esca dalla stretta area marginale assegnatale dall’economia editoriale a vantaggio dell’enorme diffusione di una spicciola sociologia neoliberista. Ma su questo tema cruciale torneremo dopo.

Troncamacchioni è un nuovo episodio di questa letteratura. Anzitutto il titolo: «Anda’ a troncamacchioni» vuole dire «tirar dritto per la propria strada», «andare di prepotenza per la via prescelta, infischiandosene del giudizio altrui», spiega Roberto Barzanti nella sua recensione (“Corriere fiorentino”, 20 gennaio 2025), è “Una locuzione dialettale maremmana, comprensibile senza problemi soltanto nel triangolo Piombino-Follonica-Massa Marittima”. La vicenda, punteggiata da finzioni, è la ricostruzione di fatti reali “esposta in forma romanzesca ma […] ancorata al metodo del lavoro e del mestiere dello storico, con un uso di fonti archivistiche, giornalistiche e bibliografiche rielaborate in chiave narrativa” (p.143). Una serrata successione di eventi, di resoconti di polizia, documenti ufficiali d’archivio tutti ordinatamente elencati in bibliografia. Si legge, ma le emozioni scorrono tra diversi registri, in una emulsione immaginativa particolarmente efficace. Vanno “a troncamacchioni” Domenico Marchettini detto il Ricciolo, uno «accanitamente contrario al regime» come stava scritto nei verbali di polizia, Curzio Jacometti, soprannome Prete o Pretaccio in memoria dell’educazione acquisita nel seminario di Volterra, Chiaro Mori, un minatore anarchico detto Chiarone, capace di versificare alla maniera dantesca. Sono i “condottieri” di una banda di ribelli dediti a furti, ammazzamenti e attentati per lo più nelle case dei ricchi. Un’armata composta di disertori, anarchici-e-comunisti, una trentina di persone che nel 1919 si fermeranno al tribunale militare di Firenze. È l’inizio del biennio rosso, l’Italia ha già a che fare con le prime squadracce fasciste.

È tutto vero, “anche se è letteratura” (p.144), dice Prunetti. Ecco: quanto può il mero racconto dei fatti senza l’elaborazione “chimica” della coscienza? La Storia dice i che cosa e i come, ma è la Letteratura che spiega i perché. La sacrosanta istanza militante della letteratura working class non è in discussione, naturalmente. Si tratta semmai di arricchirla di un’ulteriore riflessione che riguarda la potenzialità dei mezzi espressivi. La narrazione di per sé è un accessorio indispensabile alla costruzione oggettiva dell’immaginario. E soltanto quando il costrutto mentale si “ipostatizza” in racconto, solo allora avremo una nuova ontologia.

Non so quanto io stia parlando ”da un piedistallo intellettualoide piccolo borghese, forse pure di sinistra, forse pure in buonafede, ma comunque elitario”(la deliziosa espressione si trova nella recensione al libro di Emiliano Pagani, Micromega, 14 marzo 2023), il fatto è che quando si affronta la vicenda umana con i suoi valori assoluti (la lotta contro la sofferenza) non si può sostituirla con la vicenda sociale e politica. Il mero scrupolo identitario non è la spiegazione dei perché. E questo anche la letteratura working class, credo, dovrebbe esplicitarlo. Serve ricordare quanto il bieco Céline è servito a spiegare come sono fatti gli uomini? E le infinite narrazioni (finzionali o meno) della letteratura ebraica? Innovare la scrittura working class, metterla nel nostro tempo, ma occorre elevarne il tasso letterario, uscire dalle secche del documento storico.

E per quanto riguarda questo libro mi chiedo: a quando il film? Sì, perché Troncamacchioni di Alberto Prunetti è un libro che chiama una drammatizzazione, una messa in scena profonda fatta di immagini forti, di una colonna sonora grave e squillante, di atmosfere che la realtà prodotta dalla mente può sprigionare con energia possente, quella propria della lotta per la sopravvivenza, dell’onestà primaria di chi afferma la giustizia contro la violenza dello sfruttamento e della sopraffazione. Mi chiedessero un paragone formale direi The Brutalist di Brady Corbet, ora al cinema, con un fenomenale Adrien Brody.
