Da soli 

24 Ottobre 2024

Eppure faccio ancora fatica a parlarne. Figuriamoci in pubblico, davanti a tutti. Questa è la modalità che negli ultimi trecento anni ha caratterizzato l’approccio culturale al tema del “sesso solitario”, insomma, della masturbazione. Un muro altissimo edificato nel ‘700 che solo negli ultimi cinquant’anni gli uomini sono stati in grado di sfondare, ma non di demolire completamente. Le virate culturali nella società umana a volte avvengono all’improvviso, quando qualcuno accende un faro su un aspetto consistente del vivere che nessuno prima aveva osservato in profondità. Così è avvenuto per il sesso solitario. 

Tutto comincia, meglio, tutto si esplicita nel 1712 con un piccolo librino anonimo di ottanta pagine dal titolo smisurato che contiene la sua tesi: Onania; or, The Heinous Sin of Self Pollution, and all its Frightful Consequences, in both SEXES Considered, with Spiritual and Physical Advice to those who have already injured themselves by this abominable practice. And seasonable Admonition to the Youth of the nation of Both SEXES… [Onania; o, L'atroce peccato dell'auto-inquinamento e tutte le sue spaventose conseguenze, in entrambi i SESSI, con consigli spirituali e fisici a coloro che si sono già feriti con questa abominevole pratica. E un'ammonizione opportuna alla gioventù della nazione di entrambi i SESSI...]. L’autore, identificato in seguito nell’inglese John Marten, è un medico ciarlatano incriminato più volte per oscenità per opere di pornografia medica soft, che con Onania segna di fatto la storia culturale moderna inventando ”una nuova malattia e un nuovo meccanismo pressoché universale, altamente specifico e assolutamente moderno, per generare sensi di colpa, vergogna e ansia” come dice lo storico statunitense Thomas W. Laqueur, autore di un corposo studio su questo nuovo male planetario, Sesso solitario. Storia culturale della masturbazione (il Saggiatore, 2024, pp. 547, trad. Monica Luci).

C’è addirittura una sorta di “formula magica” mercantile dietro al successo smisurato di Onania: Marten fa circolare il libro accompagnandolo a indicazioni farmacologiche adeguate a curare i disastri della nuova patologia. Ma Onania comincia a circolare vorticosamente anche nelle conversazioni in società, della “malattia” si parla moltissimo, sempre più. XVIII, XIX, XX: tre secoli di chiacchiere e discussioni e teorizzazioni senza giungere a una chiarezza definitiva. Sarà perché, come sottolinea lo psicoanalista Vittorio Lingiardi nella prefazione al libro di Laqueur, “la traiettoria del solitary sex sfiora molti corpi, più o meno celesti: dialoga con ogni espressione umana, dalla letteratura alla tecnologia, e con ogni biografia, essendo un argomento di cui ogni persona, anche chi si astiene, è esperta”. Sarà perché su questo siamo davvero e sempre da soli.

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Laqueur mette insieme una vastissima quantità di materiali per ricostruire l’evolversi del tema da pratica sempiterna e sommersa di tutta l’umanità a “moderno” fattore degenerativo. Una produzione culturale dell’Illuminismo – accolta ben presto dall’Encyclpédie di Diderot e d’Alembert – per cui il “sesso solitario” era visto come insubordinazione, spreco, dissipazione contro il profitto socio-economico del nascente mondo borghese. “Il vizio privato – scrive Laqueur – è il peccato di un’epoca che creò un’idea di società che fungeva da intermediario tra lo Stato e il singolo individuo e di un’economia basata sul desiderio di possedere sempre di più”.

Persino la lettura dei romanzi divenne una fonte di turbamento di un ordine che pareva acquisito. Dice Laqueur che “l’energia culturale di certi tipi di lettura e di libri – prodotti essi stessi del mercato, fondamentali per la creazione del desiderio e per la sua gestione etica, basati sulla solitudine, la fantasia, il libero sfogo dell’immaginazione e la capacità di soffermarsi su di sé – era l’energia culturale del sesso solitario”. I pericoli dell’instabilità del commercio erano meno minacciosi dei romanzi (del “romanzismo”, come si diceva) perché “Nessun rassicurante principio di realtà governava il mondo dei romanzi” (p. 327). Sesso solitario è una “Storia culturale”, e la cultura editoriale, dimostra Laqueur, ha un ruolo decisivo sul “modo in cui la masturbazione divenne la sessualità primaria della modernità” (p. 336). 

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Con Freud si supera sostanzialmente il modello medico-organico invalso per dare spazio a un paradigma psicologico completamente nuovo. “L’autoerotismo – sintetizza Laqueur – non è più un vizio mortale, ma il terreno di prova per l’eterosessualità. La masturbazione è una fase evolutiva, nel senso sia di qualcosa da attraversare sia di qualcosa su cui costruire” (p. 423). L’analisi del pensiero freudiano che lo storico americano propone è articolata e mostra come essa recepisse la sensibilità del suo tempo, di un’epoca in piena evoluzione, mettendo, tra altro, definitivamente a fuoco le diversità delle declinazioni al femminile e al maschile dello sviluppo della sessualità. 

Per una diretta associazione mi viene in mente quanto scriveva Stefan Zweig in Eros matutinus negli anni Trenta del Novecento (in Il mondo di ieri: ricordi di un europeo, postumo1946, Mondadori, 2024, trad. di Lavinia Mazzucchetti) ricordando la metamorfosi che permise il passaggio dalla rigidezza dell’etica asburgica alla serenità della conquista di un’emancipazione sociale. “Non ci volle molto perché noi scoprissimo che tutte le autorità alle quali avevamo prestato fiducia, la scuola, la famiglia e la morale pubblica, nel campo sessuale si comportavano con strana insincerità, non solo, ma in esso da noi esigevano segretezza e ipocrisia” (p. 64). “La gioventù odierna gode l’età felice con legittimo slancio, con freschezza e spensieratezza. Ma la fortuna maggiore in questa fortuna mi sembra il fatto che essa può rimanere sincera verso sé medesima, verso i suoi naturali sentimenti e desideri. [Una] grande trasformazione liberatrice, per la quale la generazione d’oggi è sciolta da ogni angosciato avvilimento e gode con pienezza quel che fu a noi negato in quegli anni [inizio ‘900]: la serena disinvoltura e la sicurezza di se stessi” (p. 83).

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Dallo stigma illuministico, pienamente condiviso da Rousseau e Kant, pian piano l’autoerotismo entra nella dimensione della normalità sociale. Fugati i fittizi pericoli per la salute, duri a morire, si giunge agli anni Sessanta, una sorta di valico storico che immette la/le società in un’altra dimensione, anzi, marcusianamente, in un’unica dimensione. Superate talune riserve freudiane sull’evoluzione della sessualità femminile, masturbazione e soddisfazione sessuale del rapporto etero/omosessuale si pongono sullo stesso piano senza più alcun dubbio. Una conclusione che il rapporto Kinsey del 1948 (Il comportamento sessuale dell’uomo) e del 1953 (Il comportamento sessuale della donna) può suffragare su base oggettiva aprendo la strada ad altri studi che non fanno che consolidare la definitiva liberazione sessuale. Ricordiamo almeno il celebre Noi e il nostro corpo: scritto dalle donne per le donne del 1971, tradotto in sedici lingue (e un’edizione in Braille) per un totale di più di quattro milioni di copie vendute fino al 1995.   

“A partire dagli anni settanta – sostiene Laqueur –, il sesso solitario venne considerato un modo per riscattare il sé dai meccanismi che regolavano la società civile e dall’ordine sessuale patriarcale all’interno del quale l’Illuminismo e i suoi successori lo avevano collocato. Divenne il simbolo dell’autoregolazione e dell’autocontrollo anziché del loro declino. La storia della masturbazione è quindi la storia dell’immaginazione, della solitudine e della segretezza, del privato e del pubblico, degli eccessi, della dipendenza e del controllo in momenti diversi del nostro processo di sviluppo di un’etica sessuale individuale, una volta che essa non poteva più essere ritrovata nella religione e in un ordine sociale organico” (pp. 299-300).

Dopo arrivò il Web: una sorta di ratifica ontologica, una dimensione in cui le antropologie si incrociano e la sessualità è priva di confini, dall’amore alla violenza. Forse qui sta il punto cruciale di tensione, in questo mare pieno di tutto in cui l’individuo può toccare con mano la sua solitudine, l’unica “sostanza” umana che ci muove verso l’altro. Se è vero che la solitudine è la dimensione del contemporaneo (vedi Il sale della solitudine) sembrerebbe che, demoliti i perbenismi sette-ottocenteschi, il sesso solitario diventi quasi il riconoscimento intimo della dimensione dello stare da soli oggi. Con l'aria pesante che tira, l'aria della solitudine endemica, sta a noi stabilire, in questo contesto, ciò che ci fa stare meglio, se la lonliness (l’isolamento) o la solitude (lo stare in pace con se stessi), per dirla con gli inglesi. Di sicuro la partita sempre più spesso ci troviamo a giocarla da soli. Con un’avvertenza, che Lingiardi ricorda nella prefazione, regalataci dal grande saggio Woody Allen (in Io e Annie): “Non parlate male della masturbazione: è fare sesso con qualcuno che amiamo”.

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