Fallire e vivere felici

16 Dicembre 2024

Non è il caso di inoltrarsi nel mondo che separa l’Io dal Sé, lasciamolo a chi può farlo con competenza. A noi credo sia utile semplicemente averne contezza per parlare con più lucidità del tema del libro appena uscito di Alain De Botton – con la School of Life, Fallire e vivere felici (Guanda, 2024, pp.204). Io è quando vengo al mondo, Sé è quando vado nel mondo. Nel compiere questa traiettoria ci scontriamo con difficoltà infinite imparando a conoscere le quali, diciamo, diventiamo adulti. Ma il gioco non finisce qui perché quella stabilità raggiunta può essere rimessa in discussione nel continuum della vita. Ecco il punto: come fare a mantenere l’equilibrio, a impedire che gli eventi del quotidiano lo danneggino? Prima di vedere da vicino il libro, vale la pena cogliere alcuni aspetti generali della proposta culturale di De Botton.

È bello sapere di poter contare su qualcuno che di mestiere ha scelto di fare “quello che ti aiuta in generale”.  Certo quelli che ci aiutano sono tanti, a cominciare dai medici per la salute e dagli insegnanti per la formazione, ma c’è anche chi lo fa, come dire, per tutto. E quando lo incontri diciamo che le chances di alzare la quota di serenità della tua vita si moltiplicano. Il Paperino disneyano l’aveva capito tanto tempo fa quando, al bisogno, si sedeva in poltrona e leggeva attentamente il suo Know How Book, il libro che ti spiega “come fare”. Di un Know How Book  tutti, ma proprio tutti, avremmo bisogno, fin da quando si comincia a sbattere da ragazzini contro l’irto muro dell’esistenza. Ancor più, ovviamente, se si ha la ventura di vivere in un’epoca in cui le forze contrastanti dell’esistenza sono amplificate oltre misura dai grandi cataclismi.  Paperino, certo, cioè il pragmatismo americano, per dirla in breve, ma in Europa, altro che Know how book, qui regnano ancora lo scavo morale, la caccia all’episteme, l’angoscia dell’origine… e la sfiga te la tieni, a meno di non annegarla nel gin (o nel cabernet). Si fa per dire, naturalmente, perché le armi di difesa ci sono, la psicoanalisi innanzitutto, ma nell’urgenza del quotidiano, di oggi pomeriggio o stasera, come si fa a non essere di nuovo tristi e sentirsi abbandonati? Come si fa a sopravvivere hic et nunc in modo anche solo appena accettabile?

La domanda è chiara e spietata e un europeo pragmatico come De Botton la affronta muovendosi tra la coscienza dell’instabilità costitutiva degli uomini e una “volontà di potenza quotidiana” possibile (mi perdonino i filosofi). I suoi titoli sono espliciti: Esercizi d'amore (1993), Come Marcel Proust può cambiarvi la vita (1997), L'importanza di essere amati (2004), Architettura e felicità (2006), tutti best seller (editi da Guanda). Presentando la sua iniziativa culturale con la School of Life l’autore ha precisato il senso del suo lavoro:  “L'intenzione è sfidare le università tradizionali e riorganizzare la conoscenza, orientandola verso la vita, e lontana dal sapere fine a se stesso. In parole povere, è un istituto che cerca di dare alla gente quello che penso le università dovrebbero sempre dare: un senso di orientamento e saggezza per la vita con l'aiuto della cultura” (Alain de Botton: I would advise a friend to travel alone (metkere.com/en). Nella rivista “Internazionale” appaiono i suoi podcast, (alcune “lezioni”: Come diventare una persona davvero interessante, Tre ingredienti fondamentali per una buona relazione, Dire grazie nel modo giusto è difficile ma importante, Perché siamo tutti difficili da amare). Dunque il suo non è un semplice proporre un codice di vita assoluto (quello che una volta chiamavamo occidentale), che non c’è (più), ma una riflessione costante sulla tensione tra il dato reale e il desiderio vitale, a prescindere da specifici usi e costumi storici. Il magma contemporaneo della salute mentale (vedi la eccellente illustrazione fatta qui in Doppiozero dagli psicoanalisti) si dà come sostanza imprescindibile entro la quale vivere si deve. E ancor più significativa appare l’istanza “educativa” nel nostro presente particolarmente traumatogeno.

Leggendo Fallire e vivere felici  si ha come l’impressione di stare giocando tra due schermi, e tu sei la consolle che li fa procedere: il primo ti fa vedere come sei (è quello che pensi della tua vita man mano che leggi) e il secondo ti mostra come dovresti essere (i comportamenti virtuosi da adottare). Insieme ti spiegano che sei A, ma anche B, e nell’equilibrio che si raggiunge tra l’uno e l’altro si dovrebbe cercare il propellente del vivere. È come imparare degli automatismi proficui in palestra dove si introiettano delle movenze che “fanno bene”, a prescindere dall’interiorità momentanea dell’atleta.

Siamo ben lontani dai manuali che prescrivono, e basta. Strumenti di asservimento a cui c’è chi si assoggetta in cambio di un nuovo Sé all’altezza delle performance più diffuse e dominanti. Un solo esempio, dicono di grande successo mondiale, di David Goggins, Niente può fermarti. Can't Hurt Me (Vallardi, 2023) che così viene presentato dall’editore: “Quanto spesso subiamo gli eventi invece di fare delle scelte? Ci sentiamo vittime della routine, delle aspettative degli altri, della nostra inadeguatezza? Eppure tutti possiamo diventare i protagonisti della nostra vita. David Goggins, atleta e motivatore di fama internazionale considerato l’uomo più duro al mondo, lo ha fatto.” La riflessione potrebbe qui allargarsi a dismisura, sui confini della ratio del nostro tempo. Ma tant’è…

In Fallire e vivere felici  c’è una prima parte dedicata al “fallimento reale”, alla gestione della cattiveria del mondo e dei media, al narcisismo, alla pietà degli amici, alla fatica di convivere con la propria hamartìa cioè con il proprio grande errore, alla capacità di reagire nel concreto all’infamia, all’incrinarsi delle relazioni amorose, alle cadute profonde (vedi Oscar Wilde), al pensiero di farla finita. Poi una seconda parte dedicata alle “proiezioni” virtuali del nostro malessere, alla “paura di”, al pensare al peggio. “Questo – dice l’autore – è un libro sul fallimento: sbagliare, deludere gli altri, rovinarsi la vita. È un libro da leggere nei momenti di disperazione: quando non riusciamo a smettere di piangere, abbiamo perso ogni speranza e ci vergogniamo troppo per chiedere aiuto”. Sia davanti al fallimento reale che alla paura di fallire, prosegue De Botton, “Il punto non è la felicità in quanto tale, ma piuttosto la perseveranza: l’obiettivo è essere una guida verso un’esistenza che, malgrado tutto, vi permetta di andare avanti, e in cui, ogni tanto, faccia capolino qualche piccolo piacere. Una vita in cui tornare a sorridere e in cui, magari, ci sia posto per un po’ d’amore e qualche risata, anche se il presente non prospettava altro che sofferenza”.

Un libro che ti dice che devi lavorare costantemente con tutta la tua complessità, le tue capacità di riflessione culturale, la forza di uscire dallo stallo negativo per smarcarti dall’avversario nocivo e tentare tu di tirare in porta. Per far sì che la forza del desiderio prevalga. Certo la dimensione individualistica (lasciatemelo ripetere, neocapitalistica) è un marchio del nostro tempo che mostra sempre più crepe a fronte di revisioni antropologiche ormai conclamate, le masse si fanno masse critiche e le dinamiche individuo/collettività si ripropongono con le urgenze drammatiche di nuove guerre e conflitti economici. Diciamo che i tempi impongono nuove sensibilità, che richiedono un nuovo individuo, un nuovo singolo che sappia fallire e vivere più felice.  Così conclude Alain De Botton: “Perdiamo fin troppo tempo a scalare o sognare le vette del successo mondano. È giunta l’ora di impegnarci per diventare membri di una società improbabile ma ben più importante: quella dei bravi falliti. Individui che davanti al disastro sanno essere gentili, empatici, delicati, spiritosi, umili e riconoscenti. Persone sempre pronte ad aiutare altri esseri umani vulnerabili e sofferenti che sono stati maledetti dalla sorte e che, per il momento, faticano a trovare una ragione per vivere. La loro è senza dubbio una storia di redenzione e di successo degna di questo nome”.   

Insomma, il Know How Book va bene, ma ci vogliono anche Qui, Quo e Qua!

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