Il dentro e il fuori / Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi

22 Maggio 2019

Se negli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale il neorealismo si occupò di illustrare una nazione in ginocchio nella crudezza un po’ romantica delle sue condizioni di estrema povertà e arretratezza, il movimento artistico degli anni Settanta esplorò invece, in modo quasi esasperante, la condizione intellettuale del Paese, ponendo il pubblico dinanzi a sollecitazioni visive e sensoriali mai percorse prima.

Fu una rivoluzione per l’ambito del costume borghese dell’epoca tanto incisiva quanto quella del movimento del ’68, forse anche di più. Erano gli anni in cui l’emergente artista serba Marina Abramović e l’artista tedesco Ulay, attraverso l’opera icona dell’arte performativa Imponderabilia (Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, 1977), tanto per citare una delle più forti performance per il cattolico pubblico italiano, misero in evidenza una questione tanto intima quanto pubblica: l’interazione dell’individuo con il “corpo”, il proprio e quello dell’altro: il privato con il pubblico, il dentro con il fuori

 

Nuove figure in un interno, la mostra in corso allo CSAC di Parma, curata da Paolo Barbaro, Cristina Casero e Claudia Cavatorta nell’ambito del Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”, si sviluppa attraverso una serie di opere che affrontano proprio la rappresentazione di questa dicotomia che si rivelerà in maniera prorompente e contrastante al tempo stesso. 

L’esposizione appare subito come un dialogo tra l’esterno e l’interno, inteso qui come rappresentazione della relazione tra l’individuo, con tutte le sue apparenti innocue contraddizioni, e la collettività vissuta come condivisione della lotta per il bene comune. 

Due sono gli autori immediatamente visibili al pubblico perché esposti in cornice: Luigi Ghirri con la famosa serie Identikit (1976-78) che ritrae la sua libreria personale e Giovanni Chiaramonte del quale viene proposta una serie di immagini pressoché inedita, Finestre (1978), scattate dall’interno di altrettante abitazioni private.

 

Luigi Ghirri, Identikit, 1976-78, C Print, mm215x299.

 

Giovanni Chiaramonte, S.t., da “Finestre”, 1978, C Print, 240x305 mm.


Carla Cerati, Paola Mattioli, Gianni Berengo Gardin, Guido Guidi, Marzia Malli, Mario Cresci, Luciano D’Alessandro e Giovanna Nuvoletti si trovano invece all’interno delle cassettiere dell’Archivio, le loro immagini sono nascoste alla vista dello spettatore che le deve scoprire aprendo i cassetti contrassegnati dalla figurina di un occhio.

 

Diversi sono gli elementi che già solo attraverso questa modalità di esposizione ci conducono a una analisi del guardare. Innanzitutto le fotografie esposte al di fuori dei cassetti rappresentano due situazioni interne: una biblioteca privata e la veduta di un esterno filtrata da una finestra. Entrambe sono frutto dello sguardo dell’autore il quale mostra una visione intima di ciò che in qualche modo gli appartiene creando una sorta di autoritratto: i libri che delineano l’identikit dell’autore nel caso di Ghirri e ciò che in quel momento sceglie di ritrarre Chiaramonte oltre la finestra dell’ambiente in cui si trova (il fuori da dentro). Entrambi sono autori di genere maschile e questo non è privo di importanza in quanto l’introspezione, il guardare con la propria sensibilità interiore, non è in quegli anni prerogativa del fotografo maschio che si trova piuttosto in prima linea. Abbiamo quindi a che fare con una versione femminile dello sguardo maschile

Le fotografe donne, invece, sono chiuse nei cassetti (anche alcuni uomini per la verità, ma noi qui vogliamo occuparci principalmente delle “fotografe”). Sia Carla Cerati sia Marzia Malli entrano in una situazione che non appartiene loro da un punto di vista personale poiché ritraggono interni (le famiglie che abitano le case di ringhiera la Cerati e la preparazione a un matrimonio la Malli) dove entrambe mostrano il loro punto di vista interiore che osserva fuori da sé. Rispetto ai due precedenti lavori vi è qui la volontà di mostrare cosa avviene in una determinata situazione domestica e privata, dalla quale però le autrici prendono in qualche modo distanza: l’osservazione è esterna, diventa pubblica.

 

 

Carla Cerati, S.t., da Donne di ringhiera, 1977, stampa fotografica in bianco e nero, 398x300 mm.


Marzia Malli, s.t. (matrimonio), 1977-78, stampa fotografica in bianco e nero, 175x238 mm.


La perfetta sintesi dell’elemento esterno (il fuori) con quello interno (il dentro) è data però dal contesto fotografato da Paola Mattioli con il suo famoso lavoro “Le immagini del NO”. Il “NO” del titolo fa riferimento al referendum cardine di quegli anni, quando la maggioranza degli italiani votò affinché la legge che introduceva l’istituto del divorzio venisse mantenuta. Paola Mattioli affronta qui il tema con un doppio registro linguistico, altamente contrastante, utilizzando il bianco e nero per il reportage più classico e il colore per ritrarre le case occupate del quartiere Gallaratese di Milano dipinte con colori primari, opera dell’architetto comunista Carlo Aymonino.

All’interno dei cassetti che racchiudono le immagini di Mattioli, notiamo almeno due diversi livelli di scoperta. Il primo riguarda la consapevolezza intellettuale di usare un linguaggio preciso, il colore, per ritrarre altrettanto consapevolmente una situazione; il secondo mostra come la fotografa riesce a unire l’esterno con l’interno senza dover necessariamente “cercare una storia”, un nesso, ma addirittura cambia stile. 

Dall’analisi che Mattioli stessa fa delle sue immagini attraverso un video esposto in mostra, veniamo introdotti in una lettura molto precisa degli elementi evidenziati nelle fotografie. La bandiera rossa posta all’ingresso dell’abitazione occupata ad esempio riflette il senso non soltanto della lotta collettiva ed esterna (il fuori) è altresì posta a difesa di un interno umano che racconta la quotidianità di una famiglia (il dentro). 

 

Paola Mattioli, s.t., da “Immagini del NO”, 1974, Cprint.


Lo scenario è quindi quello di un esterno collettivo in cui ci si prepara a manifestare e si mostrano i simboli del contrasto elettorale e un interno privato dove il materasso è posto per terra in un angolo, le pareti sono ricoperte di una tappezzeria molto semplice, un bambino piange perché cadendo si è rotto un dente. L’interno diventa quindi “una situazione di occupazione estremamente umana e precaria – dice l’autrice – testimonia l’umanità della lotta”. 

 

Paola Mattioli, s.t., da “Immagini del NO”, 1974, Cprint.


Lo stupore che la fotografa esprime nel descrivere la situazione oggettuale della famiglia qui ritratta indica il carattere ideologico dell’associazione privato/politico (e dunque pubblico); ma la sua capacità di osservare ci fa capire in qualche modo che i due aspetti non necessariamente collidono.

Nel momento in cui il reportage, passando dall’utilizzo del bianco e nero che ritrae le situazioni di lotta collettiva – dove gli individui appaiono “anonimi” (sono il fuori che resta dentro) – giunge a una situazione “privata”, l’uso del colore trasforma gli appartamenti occupati e gli individui stessi in “visibili” (sono il dentro che esce fuori). 

Il fuori generalizzato, seppure identificato chiaramente, diviene così il dentro personale e le due condizioni giungono a sovrapporsi. Ma tale sovrapposizione durerà lo spazio di pochissimi anni. 

 

Il tema della relazione con il corpo attraverso la sua evidenza anonima prima e visibile poi affrontato all’epoca, colloca lo sguardo del fruitore in una dimensione ben precisa e consapevole, quella della posizione dell’essere umano nel contesto collettivo. L’affievolirsi dell’esperienza di quegli anni la cui causa primaria è in massima parte riconducibile all’espansione della TV commerciale e alla caduta dei muri a difesa del comunismo, ben presto partorirà miliardi di immagini impregnate di ipervisibilità provocando l’effetto contrario a quello rivoluzionario d’allora: la capitolazione del senso a favore del nulla. La Fine delle trasmissioni.

 

Nuove figure in un interno, nell’ambito dell’edizione 2019 di Fotografia Europea dal titolo Legami. Intimità, relazioni, nuovi mondi. CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione, dal 13/05 al 21/07/2019.

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