Al Funaro “Aladino” di Matěj Forman / Maestria dell’illusione
Un teatro di marionette e ombre come una danza dei veli. Aladino di Matěj Forman appare e scompare da una sarabanda di paraventi mobili dalle forme orientaleggianti. Sono i negozi, le botteghe, gli empori che trasformano per un’ora la sala del Funaro di Pistoia nel gran bazar delle storie.
Un’atmosfera di trambusto, andirivieni di compravendite, accoglie il pubblico fin da subito: performer in nero e oro, scarpe a punta, fez, gilet e fascia, offrono il tè ai nuovi arrivati. I contratti sono chiusi o ancora da chiudere, ma l’importante non è questo, è ritrovarsi, passare il tempo insieme, parlare, aprirsi, mentre il fumo del tè sale e le parole ci ricongiungono con l’alto: la saggezza, la generosità.
La nebbia sottile di stasera racconta in prima nazionale Le mille e una notte e la favola di Aladino messe in scena dalla compagnia The Forman Brothers’ Theatre fondata nel 1992 da Petr e dal fratello gemello Matěj, figli del regista premio Oscar Miloš Forman. Una comunità di nomadi teatrali senza fisso palcoscenico né ensemble definito. Attorno a ogni progetto, infatti, si costituisce un nuovo gruppo, per creare il clima di lavoro necessario a trovare la forma narrativa più appropriata all’occasione.
Nel 2014, sempre su invito del Centro pistoiese, i Forman installarono lo chapiteau di Obludarium in piazza del Duomo, con tanto di rimostranze e polemiche da marciapiede: Aladino è meno rutilante, avvince con semplicità, stavolta al chiuso e al riparo di via del Funaro 16. La sua forza è tanto nelle espressioni che usa, quanto nell’ascolto che ottiene.
Narratore e voci dei protagonisti è Massimo Grigò, un benevolo e divertito imbonitore in abiti tradizionali orientali. Balzella da un capo all’altro della scena e si affaccia tra i veli, scostando anche, metaforicamente, il velum, la tenda che in origine separava, all’interno dei templi, la parte sacra riservata al sacerdote da quella pubblica dedicata al culto. In Aladino il possibile è l’impossibile, il visibile è l’invisibile: tutto è vero, anche quello che è finto, perché così dice la storia.
Le parole sono fondamento, motore e direzione del mondo sul palcoscenico. Ordine è il comando del re persiano Shahriyār che, tradito da una delle mogli, uccide sistematicamente le sue spose al termine della prima notte di nozze. Però, quando incontra Shahrazād tale ordine viene interrotto, a sua volta, da altre parole: le sue. Ogni sera la figlia maggiore del gran visir gli racconta una novella, ma rimanda il finale al giorno seguente, non potendo novellare con la luce del sole (il contrario esatto di Penelope con la sua tela).
Continua per ‘mille e una notte’, cioè per un periodo di tempo lunghissimo, infinito, finché il re, innamorato e pentito, le rende salva la vita. “Se racconti ti salvi”, come esortava Silvia Frasson nella città sotterranea del Museo Civico di Chiusi per OrizzontiFestival 2015.
Questa linea narrativa resta sullo sfondo di Aladino attraverso un teatro di ombre agito sul fondo. Shahriyār e Shahrazād sono figurine dal segno unico, preciso, sagome disegnate dalla luce sulla stoffa. Stanno dietro la fiaba, nel talamo nuziale, dove non può essere altro che notte, rischiarata da qualche stella nel cielo blu che li sovrasta e dal ‘fuoco’ del raccontare che li fa essere ancora vivi in due. Il centro è per Aladino, il figlio scapestrato del sarto Lutsciù o, a seconda delle versioni, Mustafà. Qui la notte può diventare giorno senza paura di essere l’ultima.
Il giovane fannullone fa disperare la madre, vedova del marito morto di crepacuore per le preoccupazioni dategli da questo figlio scansafatiche. Un giorno si presenta alla loro casa un mago proveniente dal Maghreb che si spaccia per uno zio: abbindola la madre con frutta e dolci, e la convince ad affidargli il ragazzino per farne un mercante di tessuti.
Aladino è una marionetta manovrata dal marionettista direttamente sul palco, senza l’ausilio di fili, il mago, invece, è uno stregone gigante, alto almeno quanto due uomini, una grande ‘maschera’ da negromante che si regge sulle spalle di un attore nascosto all’interno. Questa differenza di altezza e presenza dà concretezza visiva alla diversità di ruolo e visione: il mago domina Aladino, gli chiede di accompagnarlo fuori città, spingendolo quindi all’avventura, ad andare oltre ciò che conosce, ed è di nuovo lui a fargli trovare la famosa lampada.
La scoperta è il viaggio stesso e infatti la caverna che contiene il ‘tesoro’ si apre nel ventre del mega dromedario che l’ha condotto fin laggiù, tra due monti bassi e simili tra loro, separati da una valle piuttosto stretta. Uscito da quel buco grazie al potere di un anello donatogli sempre dal mago, si ritrova affamato e disorientato nel mezzo del gran bazar. Strofina allora la lampada per lucidarla e venderla al meglio e così evoca il genio, rappresentato soltanto da una brezza sottile che muove le tende degli spacci.
Il primo desiderio è riempire la pancia e immediatamente arrivano sul palco leccornie di legno per lui e frutta di stagione per noi. Il secondo desiderio sarà l’amore della principessa Badr al-budūr, una marionetta come lui, osservata mentre fa il bagno, con un vestito tanto trasparente da risultare praticamente nuda. La dichiarazione Aladino gliela fa attraverso Grigò, lui non ha voce e quello che ha da dire, comunque, è impacciato, comico, sconclusionato. Gli mancano le basi grammaticali, perché marina sempre la scuola.
“Sei una testa di legno” gli dice l’attore-narratore come prima di lui il Grillo-parlante con Pinocchio. Lo prende per ciò che è e forse, oltre che per i giochi di parole e gli errori, i bambini in sala ridono proprio per la situazione: un adulto parla con una marionetta come se fosse viva. Dunque, sono legittimati a crederci anche loro.
Aladino e Badr al-budūr si sposano e vanno a vivere in un palazzo, una reggia che è un enorme elefante di profilo. Volano e anche le lampade sul soffitto li seguono, salendo e scendendo come mongolfiere. Aladino respira insieme alla scenografia, alle luci, ai suoni. È teatro totale nella misura in cui la magia scaturisce dal concerto di tutte le dimensioni compositive, che perciò rifuggono il semplice decoro o accessorio. Si è sempre più incuriositi di capire cosa potrà succedere (di nuovo).
Il lieto fine è rimandato giusto il tempo dello scontro a morte con il mago, che a un certo punto ha rubato tutto, casa, famiglia e lampada, lasciando Aladino solo con il suo cammello. Il mago è più forte, ma Aladino è più agile e, inoltre, adesso è di carne e ossa, lo impersona un attore: bisogna uscire da sé per fare cose più grandi di noi, da marionette diventiamo “ragazzini perbene” di collodiana memoria quando prendiamo in mano il coraggio della nostra vita.
E Aladino è proprio l’affermazione della vita sulla morte, tanto che durante gli applausi finali torna pure il mago a cui era stata tagliata la testa. Nessuno muore per davvero, si può essere sconfitti, ma non si muore, altrimenti non si capisce la lezione e sono i cattivi, soprattutto, a doverla imparare.
Ma non è ancora il momento di uscire definitivamente di scena. Aladino e Badr al-budūr vengono guidati incontro ai bimbi seduti sulle panche in prima fila. Sembrano coetanei nell’ora di ricreazione, si presentano, chiacchierano, scherzano. Sanno che sono due marionette, eppure ci giocano insieme: è proprio questo la fantasia, giocare alla finzione con la realtà.
Poi vengono e, di conseguenza, veniamo invitati dietro le quinte, a toccare con mano il dromedario-caverna, l’elefante-reggia, a sorprenderci ancora di più per come ci hanno stupiti: maestria dell’illusione, un tutto fatto di ‘niente’, come le storie.
Aladino, intanto, è seduto sul tappetino davanti al primo affaccio a destra del gran bazar, le mani giunte sulle ginocchia inclinate verso l’uscita. Sta lì e sembra pensare al suo prossimo viaggio con serena ineluttabilità. Gli artisti di The Forman Brothers’ Theatre vanno e vengono, mentre la carovana continua ad andare avanti.
The Forman Brothers’ Theatre presenta ALADINO di Matěj Forman Narratore Massimo Grigò Regia Matěj Forman Scenografia costumi e marionette Josef Sodomka, Andrea Sodomková & Matěj Forman Musica Daniel Wunsch Coreografia Veronika Švábová Luci Petr Goro Horký & Tomáš Morávek Suono Philippe Leforestier Marionettista 1 Radim Klásek, Eleonora Spezi Marionettista 2 Tereza Hradilková Marionettista 3 Jan Bárta, Vít Maštalír Marionettista 4 Miroslav Kochánek, Jan Niesyt Direttore tecnico Josef Sodomka Produttore esecutivo Jakub Hradilek Costruzione e decorazione marionette Antonín Malon, Tereza Komárková, Martin Lhoták, Radomír Vosecký, Petr Horký, Vladimír Všetečka Produzione Theatre Jeu de Paume | Aix en Provence e Pilsen 2015
Visto venerdì 24 novembre 2017