Speciale
Oggetti d’infanzia | Mezzaluna
Attizza fisicamente, intriga, bella, panciuta, misto d’arma celeste e cavallo a dondolo. Soppiantata da robot tritatutto, i bambini d’oggi non conoscono il potere seduttivo che ha esercitato sulla mia generazione, ci siamo caduti tutti. Quale piccolo aiutante di cucina non ha voluto provare a maneggiarla? In molte case italiane credo sopravviva ancora rintanata in qualche cassetto, conservata come puro oggetto di culto.
Da me è sul muro di fronte ai fornelli della minicucina dove ogni utensile appeso si guadagna il posto sgomitando, niente è lì per caso. Aò... pare de sta’n barca, ha detto l’amico Buggi valutando lo spazio angusto mentre annusava il sugo. Lei se ne sta lì mezzonascosta, infrattata tra coperchi, coltellacci e padelle, usata, maltrattata, dimenticata. Resiste stoica, regina dormiente della salsa verde, il legno panciuto dei pomelli secco e un po' schiantato, la lama opaca che traballa ed esce dalle sedi.
Non ci contiamo più, non la vediamo neanche, eppure è lì, all’altezza degli occhi, a portata di mano. La tiro giù e mi scappa un sorriso perché torno nella cucina di Gerva quando il lesso bolliva in pentola e venivamo spediti da mia nonna nell’orto a far incetta di prezzemolo. Era uno dei lavoretti destinati a noi bambini, che ci piacesse o no, così come raccogliere frutta e verdura e mazzi di fiori per adornare la casa nelle festività o per l'arrivo di nostro padre da Milano.
Santina metteva il prezzemolo a bagno in una bacinella d’alluminio, lo sciacquava dalla terra cambiando l’acqua più volte, poi cominciava il lavoro noiosissimo di separare le foglioline dai gambi. Le nostre piccole dita spulciavano i rametti sul piano di marmo del tavolo fino a farne un grande mucchio, le foglie bagnate s’appiccicavano come avessero la colla e dovevi scrollarle continuamente, venivano i nervi.
E finalmente arrivava la parte più bella. Radunata la montagnola sul tagliere, brandivo la mezzaluna e zinzinzin in una direzione, zinzinzin nell’altra... la lama dondolava ipnotica affondata nel verde, cavalcavo praterie prendendo raggi sempre più ampi, con la mano tiravo vicino i fuggiaschi, zinzinzin... zinzinzin..., la piramide calava trasformandosi in poltiglia, pulivo la lama col dito, ne usciva un profumo inebriante, il sugo verde tingeva il legno del tagliere, Tocca a meee!, incalzavano gli altri, Ok, un attimo!
Non avrei mai smesso, era come impugnare un pezzo di cielo, lo spicchio di luna scintillante che fissavo di notte affacciata alla finestra. Luna crescente gobba a ponente, luna calante gobba a levante, il nonno ci aveva spiegato tutte le fasi, il moto di rivoluzione intorno alla terra, i nomi dei pianeti, le distanze, ci trasferiva la passione per l’astronomia con esempi pratici, il sole era sempre un’arancia che lui stringeva tra le mani forti, la terra, la punta d’una matita.
Ai tempi andavo a cercare sull’atlante i luoghi descritti da Salgari, mi perdevo a studiare le mappe e le bandiere dei vari paesi, lì ritrovavo l’amica mezzaluna con una stellina accanto a farle compagnia, allora non sapevo fosse il simbolo della fede islamica, mi piaceva il disegno, facevo fantasiosi accostamenti tra cielo, cucina e terre esotiche. Dice Luciano che da loro a Cremona la luna crescente la chiamavano “luna turca”, Va che ghè la löna türca!
Anche i pirati della sua infanzia avevano la mezzaluna tra i denti, lui nei film all’oratorio li vedeva così, partivano all'arrembaggio sciabola alla mano e mezzaluna in bocca. Cercò di emularli con quella di casa, ma avevi voglia a stringere! La lama pesantissima s’inclinava implacabilmente verso il mento compromettendo la ferocia voluta. La nostra dev’essere la stessa, viene dalla cucina di sua madre. Non ricordavo quanto fosse malridotta, La restauriamo?
Ho nutrito d’olio il legno dei pomelli, lui ha estratto la lama d’acciaio e carteggiato le parti arrugginite dell’innesto rimontandola con un paio d’energiche martellate, una trecciolina di filo d’ottone stretta sui colletti e via, le abbiamo restituito un po’ di dignità. Per festeggiare, bis di salsa verde. Luciano alla maniera di suo nonno Roberto, cuoco del reggimento in guerra e d’un albergo a cinque stelle fino alla pensione, io seguirò la ricetta di mia nonna Bruna, regina assoluta del castello. Senza lesso: stiamo cercando di diventare vegetariani.