Benedetta gioventù

3 Luglio 2014

Passeggiando tra i banchi del mercatino dei vecchi libri in piazza Diaz, la seconda domenica di ogni mese a Milano, può capitare – è capitato – di trovare un libro strano e che non è manco un libro vecchio. Si tratta di un libro nuovo. Nel senso che è appena uscito. Ha il formato di un piccolo album da disegno, la pagina più larga che alta. In copertina appaiono tre ragazzi e un salto: ognuno di loro ne prende un pezzo: pronti, partenza, via!

 

 

Il libro è intitolato Benedetta gioventù. La fotografia perduta e ritrovata di Fano Galofaro dal 1972 al 1976. Autore risulta Valentino Ronchi, poeta, narratore, ma anche libraio, il libraio che sotto la terrazza Martini, dentro il mercatino dei vecchi libri, me l’ha venduto. Non potevo che trovarlo così, perché la tiratura di questo volumetto edito da Contrephotediteur, terzo titolo della collana «rebours à», conta ventuno (21) esemplari. Numerati e autografati.

 

 

 

Fano Galofaro, all’anagrafe Epifanio Fano Galofaro, è stato fotografo (Premio Pistoia Fotografia 1974) e forse lo è ancora, sceneggiatore, filmmaker di corti, ma soprattutto è un attore (ha lavorato con Lizzani, Steno, Montesano, Castellano e Pipolo ecc.).

«Per cinque pomeriggi» racconta Ronchi nella breve introduzione del libro, «tra marzo e aprile dello scorso anno [il 2013, NdR], abbiamo aperto scatole di negativi e fotografie, seduti al tavolino di uno scantinato con vista terrapieno della ferrovia, a Milano in zona Città Studi. Un piccolo giacimento, un sussidiario illustrato della giovinezza: Amsterdam e altri viaggi d’iniziazione, il Festival di Re Nudo a Zerbo, Napoli, il militare. E tanta periferia milanese, quel mazzetto di vie dietro viale Argonne e prima dell’Ortica: piazza Guardi, via Botticelli, via Valvassori Peroni, il tracciato del treno fino a Lambrate, l’Idroscalo, acqua e sterpaglie. E giovani, ragazzi e ragazze, che vi si muovono perfettamente a loro agio per questi luoghi».

 

 

 

Il libro contiene ventidue fotografie (più altre due tra prima e quarta di copertina), scattate in quei cinque anni dei Settanta dichiarati in copertina. Tre sezioni: «Zerbo Settantadue», «Amsterdam Settantaquattro», «Noi non siamo la Grecia». Belle le foto da Zerbo, quattro anni prima che il Re Nudo prendesse la più nota – anzi leggendaria – sede del Parco Lambro; belle quelle da Amsterdam; belle e singolari, ma forse è più calzante l’aggettivo anomale, le foto da Milano. Una di queste ritrae un giovane con una copia del Corriere della Sera dell’8 gennaio 1976 stretta tra le mani, tenuta sotto il mento. Occhiello: «[…] una crisi tra le più drammatiche degli ultimi anni». Titolo: «[…] si è dimesso». Sommario: «[…] I democristiani confermano la chiusura al partito di Berlinguer». In basso, la fotografia di Aldo Moro, premier dimissionario. L’analogia (ante litteram) con l’immagine che diverrà icona a partire da un paio d’anni più tardi, con Moro protagonista tra il simbolo delle Brigate Rosse e la copia della Repubblica intitolata «Moro assassinato?», è semplicemente inquietante.

 

 

Il titolo della sezione milanese prende in blocco lo slogan di un cartellone immortalato nell’ultima fotografia pubblicata nel fascicolo: «L’ITALIA NON È LA GRECIA | ALT AL FASCIO». Lo slogan, che ai tempi (ante ’74 immagino) doveva riferirsi all’ombra lunga della Dittatura dei colonnelli (dati i rapporti del governo greco con la destra italiana dell’epoca), evoca oggi altre corrispondenze, lascia che risuonino altre disarmonie, ora di carattere economico. Come direbbe Rodolfo De Angelis in quella canzone degli anni Trenta: ah… la crisi…

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