Viaggiare in un armadio Ikea

10 Luglio 2014

Ci sono libri che incuriosiscono per via della loro storia editoriale, per il successo imprevedibile che hanno riscosso. Un autore esordiente, dalla biografia stravagante – è stato dj, assistente di volo e illusionista –, un’idea spassosa e senza pretese, la vicenda di un piccolo editore al quale esplode in mano un bestseller da più di 300.000 copie, i cui diritti sono poi stati venduti in tutto il mondo.

 

Sia chiaro, non c’è niente di male nel fatto che un libro diventi un fenomeno di costume. Al contrario. La cosa che stupisce di Romain Puértolas, un francese del Sud con origini spagnole, e del suo L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea (Einaudi, 2014) è che sia riuscito a mettere d’accordo pubblico e critica, anzitutto in Francia. Si è parlato di libertà assoluta, di lingua fantasiosa, di dialoghi degni dei più abili sceneggiatori, di un’ironia di cui si sentiva il bisogno.

 

Le peregrinazioni di Ajatashatru Lavash Patel che viaggia dall’India verso l’Europa per acquistare un letto di chiodi Ikea, ultimo modello, salvo poi incontrare una bella francese, rimanere chiuso in un armadio, in un camion, su una mongolfiera (per citare solo alcuni episodi) e girare così tutta l’Europa e non solo, pare che oltralpe abbiano fatto innamorare tutti. La simpatia istintiva verso il fachiro e la sua presunta purezza però non bastano a ripagare le aspettative.

 

È una favola e come tale la prendiamo, eppure le soluzioni narrative che, di volta in volta, l’autore mette in atto sono talvolta scontate. Il desiderio segreto di diventare scrittore, che all’improvviso e senza ragione si impadronisce del protagonista, e le descrizioni dei migranti alla ricerca di una vita più dignitosa, ad esempio, rischiano di apparire poco efficaci: benché i fatti raccontati siano originali si ha l’impressione di qualcosa di già letto, di vecchio.

 

La costruzione di uno sguardo altro, che avrebbe potuto condurre più in profondità il viaggio picaresco dell’indiano non pare abbastanza sviluppata, nonostante se ne intuisca il tentativo. In particolare, le osservazioni sugli Europei da parte del fachiro non esercitano l'effetto straniante che ci potremmo aspettare. Anzi, l'autore rimane abbastanza aderente ai cliché, persino sui francesi. Stesso discorso vale per i personaggi secondari: la donna dei sogni del protagonista, una specie di milf che cerca di sedurlo all'Ikea, è un personaggio che avrebbe potuto creare un cortocircuito interessante rispetto alle attese del lettore.

 

Il suo ruolo nella storia è invece tutto sommato prevedibile, e così pure quello dell'amico migrante e della bella attrice dal cuore d'oro. Figure che restano tasselli funzionali al procedere della storia e accensioni di colore, in una vicenda in cui però non sono né lo sguardo né la voce narrante a dominare.

 

C'è poi un altro tratto che suscita perplessità, andando avanti nella lettura si percepisce una sorta di buonismo che permea l’intero libro. Il romanzo, che è stato addirittura definito engagé, mette in scena infatti anche un gruppo di clandestini che tentano la traversata tra Francia e Gran Bretagna. Eppure non c’è un vero momento di autenticità nel racconto, che sembra rimanere vittima di un approccio moraleggiante che toglie smalto alla narrazione. Ad esempio, il desiderio e la gioia nell’aiutare il prossimo che spalancano il cuore del fachiro, ribaditi più volte, corrono il rischio di risultare stucchevoli.

 

Ultima e fondamentale è la questione della lingua. L’invenzione linguistica del romanzo sta tutta nell’onomastica – Puértolas si diverte a storpiare i nomi con notevoli effetti comici –, per il resto però siamo di fronte a una scrittura media, priva di particolari picchi e che solo a tratti mostra ritmo e verve. Da questo punto di vista un maggior coraggio sulla pagina, senza per forza sacrificarne la scorrevolezza ma cercando una strada che tenesse uniti godibilità e intensità della lingua, avrebbe fatto guadagnare al libro parecchi punti.

 

Né vera originalità nell’intrattenimento né qualità letteraria, dunque. Una bella favola, questo sì, alla quale però è sbagliato chiedere più di qualche buon elemento picaresco e un paio di risate inattese.

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