Lessico amoroso / Psicoanalisi in televisione

5 Marzo 2019

La tv generalista italiana offre, in media, uno spettacolo desolante. Cerchi il peggio e lo trovi, a tutte le ore: puoi andare sul sicuro. E tutto procede tranquillo e senza intoppi. 

Capita poi che, per una sorta di svista, quasi un lapsus, in seconda serata, venga affidata una trasmissione a uno psicoanalista che ha rielaborato in modo personale l'eredità di uno dei grandi pensatori del Novecento: Jacques Lacan. Lo psicoanalista terrà alcune lezioni sull'amore in tv. Niente risse. Niente coppie più o meno scoppiate che litigano o piangono o si riappacificano o si mandano lettere. Niente ospiti sfatti. Niente nani e ballerine. Nessun orrendo servizio in stile Iene. Niente polemiche o attacchi. Niente toni sopra le righe. 

Che cosa c'è allora? Psicoanalisi. Letteratura. Poesia. Filosofia. Lacan, Freud, Roth, Pasolini, Shakespeare, Hegel. E la parola di uno psicoanalista, Massimo Recalcati, che mostra di saper usare lo strumento televisivo senza dover banalizzare il proprio discorso. Che mostra un pensiero in atto. Da casa il pubblico segue. Non cambia canale. Si appassiona. 

 

In una situazione come quella attuale, non solo televisiva, si dovrebbe gridare al miracolo. Più sobriamente, si potrebbe riconoscere la bravura di un pensatore che è in grado di produrre quella che Gramsci chiamava "socializzazione delle idee". Non sono molti oggi gli intellettuali in grado di farlo nello spazio della cultura di massa da cui, come insegnava Eco, nessuno può sfuggire. Preferiscono mandarsi segnali in codice, segni di riconoscimento, parole d'ordine che attestino l'appartenenza al gruppo o al sottogruppo, in una logica di circolazione autoreferenziale della parola. Stanno al loro posto. Ciascuno al proprio, che deve saper ben riconoscere, se vuole sopravvivere. Nessun rischio, nessun effetto di trasformazione delle stato di cose presente. Per questo siamo al punto in cui siamo. 

Sono arrivati i barbari? Forse. Ma il terreno è stato preparato con la massima cura da chi aveva il compito di presidiarlo. 

 

Opera di Christiane-Spangsberg.


In questa situazione il discorso di Recalcati, la sua strategia che si muove a più livelli nello spazio pubblico (produzione accademica e testi per un pubblico più vasto, lezioni magistrali e discorso televisivo, discorso clinico e lavoro per la costruzione di nuove istituzioni), dovrebbero almeno farci riflettere. Perché ci troviamo di fronte a un discorso e una strategia che rompono con l’autoreferenzialità del discorso intellettuale e penetrano nel vivo della società anche attraverso un livello di scrittura corale, plurale e collettiva che si fa istituzione. E’ il caso della creazione, da parte di Recalcati, nel 2003, di Jonas, un’istituzione orientata dalla psicoanalisi, diffusa su tutto il territorio italiano, animata dal desiderio di applicare la psicoanalisi al sociale, con particolare attenzione ai nuovi sintomi del disagio contemporaneo. 

Tutto questo, appunto, dovrebbe almeno farci almeno riflettere. E invece no. Abbiamo psichiatri online che danno di matto, e ingaggiano una battaglia sulle virgole in nome del sacro nome del Padre portato in televisione. Sacrilegio. Intellettuali che blaterano banalità sulla cultura in tv. L'ironia di chi non riesce ad accettare il buono di qualcosa senza prenderne le distanze. E non manca il raffinatissimo critico televisivo che ignora naturalmente tutto di Lacan e Freud, ma pensa sia un buon servizio reso alla cultura, o forse al proprio ego, ridicolizzare quell'uomo la cui parola ha troppo successo per non creare attacchi di gastrite qui o là. 

 

I barbari? Attenzione: perché è probabile che non siano sempre altrove, sempre altri. 

Sono qui, proprio al cuore di un discorso che si vuole intellettuale, colto, raffinato, sempre pronto a impartire lezioni, ma che sembra avercela a morte con la cultura come cosa viva: in grado di produrre effetti, trasformasi, contaminarsi e, così, generare altro. L’intero discorso della “difesa della cultura” andrebbe oggi interamente ripensato. Non solo, e non tanto, per i toni museali e cultuali fuori tempo massimo che spesso adotta; ma perché non è in grado di produrre la circolazione delle idee nella vita sociale, l’esposizione e la democratizzazione della cultura. Il discorso degli intellettuali, oggi, nello spazio delle democrazie contemporanee, è sempre più spesso funzionale alla difesa e alla produzione di una distinzione, per riprendere un’analisi fatta da Bourdieu, di un ethos di “classe” in contrapposizione al popolo: da qui un registro discorsivo sempre tarato sul rimprovero, l’accusa, la reprimenda e la lezioncina edificante da parte dei guardiani della cultura legittima. Da qui l’enorme sospetto, le accanite resistenze e la guerra aperta a chi rompe questo registro, a chi si muove a più livelli, a chi gioca con e nello spazio della cultura di massa rischiando di produrre una decostruzione della distinzione. A chi si fa avanti e parla. 

 

Alcuni anni fa Peeter Sloterdijk, polemizzando con il discorso filosofico che, per paura di banalizzarsi e involgarirsi, si rinchiude nell’accademia, scrisse che la filosofia deve ritornare nello spazio pubblico e “sugli schermi televisivi”. Per una semplice ragione: “Gli uomini chiedono in modo così pressante che cos’è la vita buona e consapevole. Chi crede di sapere la risposta o vuole rispondere con un’altra domanda deve ora farsi avanti e parlare” (Il filosofo nel castello degli spettri, in Aa. VV., Spettri di Derrida, il melangolo, 2010).

Non importa allora sapere perché oggi in questa Italia il successo del discorso di Massimo Recalcati faccia paura. È fin troppo evidente. Cerchiamo però di avere ben presente dove ci può portare questo modo molto discutibile, oltre che masochista, di svalutare tutto ciò che può farci un po' di bene. Cerchiamo di capire perché ci sia così difficile accettare in silenzio o con un sobrio grazie una cosa buona.

Si può fare di meglio? Certo. Si "può" sempre. Le possibilità sono sempre infinite. Ma spesso restano tali. Proviamo per una volta a misurarci con chi ha avuto il coraggio dell'atto, di un atto di parola in grado di lasciare un segno. 

Se pensare, come diceva Heidegger, è ringraziare, per parte mia dico semplicemente grazie a Massimo Recalcati.

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