Il gioco dei pianeti | 1

15 Novembre 2013

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Tutti osservavano soltanto ciò che conveniva immediatamente.

 

 

Veniva da uno di quegli strati sonori imprigionati in settori singolari sul fondo che sono le strade dei suoni sott’acqua. E’ un fenomeno particolare degli abissi, dovuto alla diminuzione di temperatura e all’aumento di pressione. I suoni entrano in certi solchi invisibili e corrono per centinaia di chilometri in un fantastico telegrafo. In questo strano concerto si immergeva la mia fatica piena di echi. Suoni che non esistevano più continuavano a ripetersi.

 

 

Un mondo fatto da un sasso enorme, coperto di velluto vivente, con la vita attaccata intorno o  appena discosta. Quel luogo immenso e lugubre era vivo soltanto lì.

 

 

Guardavo mentre la mia voce non se ne voleva andare. Fuori c’era uno splendido vuoto, con un animale assurdo preso in una trappola inutile.

 

 

Un’enorme massa scura si fece avanti. Il cuore mi diede un colpo e sembrò spaccarsi. L’oblò era occupato da una specie di manto semovente e nero su cui si muovevano delle piccolissime pinne.

 

 

Rimasi fermo a guardare. Dal fondo saliva, ogni 5-6 secondi, una grossa bolla d’aria di circa 40 cm di diametro. Era globosa e allegra, piena di vita. Saliva cambiando colore fino a rompersi al sole.

 

 

Era un mondo morto ed essenziale, pieno di rigore dimenticato e di inutilità colta, tenuto con riverente pulizia e con un desiderio di imponente esaltazione.

 

I testi sono estratti da Il prato in fondo al mare di Stanislao Nievo.

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