Da un tunnel all’altro

28 Agosto 2014

Il più delle volte, l’immaginario collettivo associa al treno idee (progresso tecnologico, avanzata della civiltà occidentale, mistero e avventura, apocalissi anarchica, deportazione, etc.) abbastanza lontane dall’uso statisticamente più rilevante che l’essere umano ne fa, ossia il pendolarismo casa-lavoro: che è, certamente, tema assai poco ‘letterario’ e, ahimè, neppure degno dell’attenzione dei mass media, dai tempi felici del Viaggio in seconda classe di Nanni Loy.

 

Ancor meno dotato di appeal mediatico è il tema della costruzione di una linea ferroviaria, che pure è impresa affascinante non fosse altro che per l’enorme numero di vite e competenze che vengono coinvolte, dalla progettazione alla realizzazione e poi all’uso. Eccezione rilevantissima è, come tutti sanno, la TAV Torino-Lione, per le implicazioni politiche derivanti dalla mancata accettazione del progetto da parte delle popolazioni locali e dallo sviluppo conseguente di movimenti di protesta anche clamorosi.

 

C’è però un’altra TAV che, più al riparo dai clamori mediatici ma con un coinvolgimento non meno importante delle istituzioni e della popolazione emiliana, si è, nell’arco di un ventennio, realizzata: la linea appenninica dell’Alta Velocità che unisce Bologna a Firenze. Al racconto documentario di quest’impresa è dedicato il nuovo libro di Gianni Cascone, Un treno che attraversa la democrazia. Generazione di un’opera, l’opera di una generazione (Bologna, CLUEB, 2013, pp. 375, €22).

 

La definizione “racconto documentario” non è scelta a caso perché si tratta di un libro fitto di dati, informazioni, riferimenti a leggi e a progetti, fotografie; e tuttavia questo materiale documentario scorre sotto gli occhi del lettore appunto come un racconto, garantito dalla scrittura di Cascone e dalle tante testimonianze a cui l’autore dà voce: esperienze, ricordi (talvolta di minima cronaca, talaltra di decisioni cruciali), valutazioni che appartengono ai protagonisti dell’impresa – tecnici, amministratori, progettisti, operai – e che evidentemente meritano tutti (con autentico senso della democrazia) spazio e considerazione.

 

 

Ogni decisione sulle ‘grandi opere’ è frutto di scelte politiche, e di quest’aspetto il libro dà conto, ricostruendo il clima entro il quale tali scelte maturarono (i primissimi anni Novanta, gli ultimi governi del pentapartito – con le opinioni, forse giuste ma inascoltate, dei ministri Andreatta e Preti); ma soprattutto dà conto della successiva battaglia combattuta dall’ASL di San Lazzaro di Savena affinché i lavori si svolgessero in condizioni di sicurezza effettiva e non solo burocraticamente garantita. Decisioni e battaglie che sarebbero rimaste soltanto agli atti, senza approdare alla coscienza e alla memoria collettiva, se, appunto, un libro non fosse intervenuto a tramandarle.

 

In tal senso, Un treno che attraversa la democrazia è anche un lavoro metodologicamente impeccabile sull’utilizzo delle fonti orali, mai prevaricate dall’autore che, tuttavia, non rinuncia a far sentire il proprio timbro, inconfondibile per chi già conosce gli altri libri di Gianni Cascone, la sua asciuttezza di ‘mappatore’ e ‘descrittore’ del territorio, maturata negli anni dei laboratori di Grafio (i cui materiali approdarono a pubblicazione presso Giunti e Derive/Approdi) e nella sintonia profonda con la ricerca di Dario Voltolini e Giulio Mozzi, che, nei primi anni Duemila, andava nella stessa direzione.

 

E non vorrei mancare di segnalare che, ad apertura e chiusura del libro, emerge un tratto ben tipico della scrittura di Cascone, ossia la forte componente visiva. Che, in questo caso, detta alla sua penna un cortocircuito iconico incentrato sulla rievocazione di una fra le immagini più potenti e suggestive della storia del cinema, ovvero l’immagine della galleria nell’episodio Il tunnel del meraviglioso film Sogni di Akira Kurosawa (un film, guarda caso, del 1990).

 

Sulla soglia di quel tunnel onirico, così come a bilancio della costruzione della TAV, una vita umana, quella del soldato Nogushi, morto fra le braccia dell’ufficiale sognatore di Kurosawa: Nogushi è come se incontrasse – all’imbocco del tunnel – quella del solo operaio morto nella costruzione della parte emiliana della TAV Bologna-Firenze.

 

Una vita è una vita: ma basta pensare a immani tragedie, come quella dei minatori maremmani narrati da Luciano Bianciardi e Manlio Cancogni o a quella dei morti di Marcinelle recentemente riportati alla memoria da Paolo Di Stefano, e alle catastrofiche previsioni statistiche di inizio lavori, per concludere, con Cascone, che “comunque le grandi opere comportano grandi sacrifici e la sicurezza di chi lavora è una conquista giornaliera, non può mai essere data per acquisita una volta per tutte”.

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