Philippe Sands. La strada verso est / Gestire la memoria

27 Gennaio 2018

Fare i 'conti con il passato' è un'operazione complessa e delicata, impostata in particolare su due momenti cruciali. Il primo è la ricostruzione di quanto avvenuto, il secondo è la risposta del presente rispetto al passato.

Il saggio di Philippe Sands, professore di diritto, La strada verso est (Guanda 2017) affronta entrambi i profili con un taglio non consueto.

L'accertamento del passato è il lavoro cruciale dello storico e del giudice. Essi devono 'vedere dietro', assumere la 'retrospettiva' come criterio fondante attraverso modalità tipiche, e cioè la testimonianza orale e i documenti, ora anche con le prove scientifiche (impronte digitali, DNA ad esempio). È che porta alla ricostruzione del tempo, che riannoda i fili perduti, che trasforma i ricordi in narrazione come osserva Ricoeur.

Sands interpreta questo ruolo rammemorativo attraverso 'microstorie' con cui si presentano sulla scena, attraverso foto, cartine, documenti, persone con il loro carico di storie che spesso si intrecciano, più o meno esplicitamente, con il diritto della loro epoca.

Già il titolo fa riferimento a una strada della cittadina di Zolkiev nei pressi di Leopoli (Lwow, Lemberg, Lviv, Lvov), oggi in Ucraina, nella quale sono avviluppate le origini e le vite dei protagonisti, in un crogiuolo complesso e multietnico che era la Galizia inizio novecento, provincia dell'impero austroungarico.

 

E così la ricerca della storia familiare dell'autore, la cui famiglia materna e in particolare del nonno Leon era appunto originaria di quella cittadina, si incrocia con quella di due giuristi, divenuti protagonisti della rifondazione del diritto internazionale del secondo dopoguerra. Si tratta di Hersch Lauterpacht e Raphael Lemkin, entrambi ebrei ed entrambi studenti nella facoltà di Giurisprudenza a Leopoli.

L'autore nel 2010 riceve l'invito a tenere una conferenza sui crimini di guerra e sul genocidio proprio in quella facoltà e da quel momento inizia un viaggio che lo porta nella terra dei suoi antenati per la prima volta, in Ucraina dove si era verificato un fenomeno di rimozione della tragedia del popolo ebraico. 

Quel primo viaggio apre la strada a un secondo più ampio e lungo che durerà sei anni e lo immergerà nella storia rimossa della sua famiglia e degli ebrei cancellati dallo sterminio. 

 

 

Non solo: tra questi compaiono anche i due insigni giuristi sopra citati e altre persone legate all'autore, gente comune come i suoi nonni e i bisnonni, le famiglie dei due famosi giuristi, la vita suntuosa di Hans Frank, giurista avvocato ingoiato dal nazismo e divenuto governatore generale della Polonia. Le vicende quotidiane degli attori mostrano il lento e inesorabile passaggio dal primo nazionalsocialismo all'invasione tedesca e allo sterminio. I due giuristi sopracitati, Lauterpacht e Lemkin, sono travolti dal precipitare della situazione che li costringe all'emigrazione e alla fuga, mentre le loro famiglie sono annientate dalla Shoah. 

L'autore avvolge il nastro della storia, colpito dalle reticenze del nonno Leon ('da lui non ho saputo nulla di quanto accaduto prima del 1945 se non che era molto complicato'). E con una genuina sete di conoscenza si immerge in archivi (note e citazioni sono veri macigni), testimonianze, foto custodite per decenni in una città che ha cambiato pelle "rimanendo un calice di bile dove identità ed origini sono questioni complesse".

 

E questo reticolo di storie, talune personali come quella della mamma dell'autore lasciata da entrambi i nonni a una misteriosa persona che la porterà ad emigrare e che Sands riuscirà ad individuare, fa riemergere il passato, lo rievoca, lo ricostruisce con un'angolatura particolare che diviene collettiva.

Il saggio però non si esaurisce in questo momento 'retrospettivo'. Con quelle microstorie Sands si rivolge anche alla sua cultura giuridica per affrontare il secondo, gigantesco tema che riguarda come risolvere i 'conti con il passato', e cioè come gestire la memoria rispetto al presente e soprattutto al futuro.  

L'autore non si diffonde in riflessioni sul ruolo dei vincitori rispetto ai vinti, sulla spinta alla vendetta oppure al perdono, sul ricorso alla mediazione come avvenne in Sud Africa oppure all'oblio come sanzionò l'amnistia italiana del 1948.

Il suo interesse principale è far lievitare, in questa Europa devastata e insanguinata, la discussione che ha fatto nascere il nuovo diritto internazionale, nella cui cornice deve collocarsi la nuova Europa.

Non solo: quel diritto internazionale fornisce le premesse per costruire un agire regolato che superi istinti primordiali e assegni all'apparato giudiziario il compito di disciplinare i sentimenti del risentimento, dell'odio e talora della vendetta.

 

E così nella seconda parte del saggio i due giuristi sopracitati entrano in gruppi di studio per elaborare le accuse che sfoceranno nel processo di Norimberga. Non concordano però sulle categorie giuridiche a fronte dell'uccisione di migliaia di persone appartenenti allo stesso gruppo, ebrei o polacchi. Per Lautenpacht si tratta di un 'crimine contro l'umanità' se l'uccisione fa parte di un piano sistematico dando la prevalenza all'individuo. Per Lemkin invece si tratta di genocidio per tutelare così non solo gli individui in quanto tali, ma in quanto membri di gruppi nazionali o etnici.

Il processo di Norimberga si svolgerà dopo aver risolto problemi procedurali (quale procedura e di quale paese adottare?), formazione del Tribunale (fu militare e composto da otto giudici, due per ciascuna delle quattro nazioni vincitrici), formulazione delle accuse e divisione tra i pubblici ministeri (agli USA il reato di cospirazione, alla GB quello dei crimini di pace, alla Francia quello dei crimini di guerra, all'URSS quello dei crimini contro l'umanità).

 

L'autore non si intrattiene su altri problemi pur ugualmente vivi, in quanto ricorda la preparazione e la celebrazione di Norimberga come un evento deciso e irrevocabile. Forse in altra occasione si affronteranno alcuni aspetti legati a Norimberga. Ad esempio l'ingresso dei Tribunali nel giudicare la storia e quindi i criteri per ricercare le prove nell'un ambito e nell'altro. Oppure la specifica struttura del processo di Norimberga rispetto ai principi giuridici generalmente accettati, quali l'irretroattività essendo i reati introdotti dopo la commissione dei fatti, l'imparzialità avendo giudicato le potenze vincitrici, l'autonomia essendo stato il Tribunale di derivazione governativa. Oppure ancora le differenze tra svariati Tribunali incaricati pur sempre di giudicare uomini e fatti, quali quello su Eichmann, su Saddam, su Milosevic (tra gli ultimi, Marquand e Melloni, La storia che giudica, 2008).

Nel contempo però implicitamente Sands ammette che il linguaggio giuridico è funzionale ma non sufficiente su temi così epocali. E infatti fa conoscenza del figlio di Frank, quell'avvocato fedele al nazismo che governò la Polonia negli anni più bui e fu impiccato a Norimberga. Incontra il figlio, Niclas, si intrattiene con lui anche a proposito del di lui padre e sente dall'interlocutore la condanna implacabile del genitore. Si incontrano nel 2014 nell'aula di Norimberga, la n. 600, quasi a significare la continua e inesausta ricerca di un senso che trascende i protagonisti coinvolti. Per cercare di ricordare il passato rielaborando la memoria senza ingessarla ma proiettandola nel futuro, in una comunità civile dotata di unità verso ieri e di intenti identici per domani. Del resto, come osservava Nietzsche, "l'esercizio della memoria è strettamente connessa a quella dell'oblio".

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