Giuntina
Un giorno mio padre mi chiamò e mi mostrò un libro che conteneva i nomi di tutti gli ebrei che avevano combattuto “per la Patria” nella Grande Guerra. “E poi” mi disse con amarezza “nel 1938, con le leggi razziali, la Patria li ha ringraziati”. Ma anche lui, come tanti ebrei italiani, nel 1938 avrà probabilmente pensato che la bufera sarebbe passata, che il licenziamento della moglie dalla scuola pubblica, l’impossibilità della sua bambina di frequentarla, che insomma l’infame “persecuzione dei diritti” dei cittadini ebrei era soltanto un grazioso omaggio del dittatore italiano a quello tedesco… Poi scoppiò la guerra, arrivò il 25 luglio, l’8 settembre e soprattutto il 16 ottobre, la grande retata degli ebrei romani svoltasi sotto le finestre del papa (che non andò alla Stazione Tiburtina a tentare di fermare i carri bestiame per Auschwitz). Allora finalmente gli ebrei capirono che anche in Italia non c’era salvezza. Mio padre cercò di fuggire con la famiglia in Svizzera ma al confine fu fermato dalla polizia fascista, rispedito a Firenze, poi a San Vittore e infine ad Auschwitz, dove la moglie e la bambina furono subito eliminate nelle camere a gas. Lui, sfruttato come tipografo, riuscì a salvarsi. Quando tornò non trovò la Patria ad accoglierlo, ma solo la sua Tipografia Giuntina, la sua unica vera patria. E quindi, malgrado tutto, rimase in Italia, trovò la forza di risposarsi e di farmi nascere.