I luoghi mutevoli del sapere progettuale

23 Luglio 2013

L'età industriale, meccanizzata, caratterizzata dalla separazione (pensiamo all'idea di assemblaggio dietro i nostri prodotti o alla separazione dei saperi nell'educazione), sta lasciando il posto a nuovi equilibri tra le componenti della società in relazione ai loro organi culturali. È evidente come l'ubiquità e la relativa incorporazione del computing stia modellando le condizioni di parte dell'umanità che quindi si ritrova con una serie di rinnovati parametri su cui costruire anche una nuovo tipo di teoria della progettazione.

 

La diffusione della "fabbricazione digitale", ovvero quei processi che usano strumenti e macchine controllati da computer per fabbricare oggetti, stanno completando la figura del prosumer,  di Alvin Toffler (1970,1980), continuando sostanzialmente la mutazione già iniziata nel mondo dell'editoria, con la nascita dei blog ad esempio, dove gli utenti dell'infrastruttura mediatica, hanno potuto cambiare il loro ruolo da consumatori di contenuti a consumatori e produttori di contenuti. Abbiamo di recente iniziato a fare alcuni "giri di prova" nella realizzazione dei nostri prodotti personalizzati, e questo processo aumenterà man mano che si abbatteranno i muri tra l'idea del prodotto e la materializzazione dello stesso. Questo è un aspetto estremamente eccitante che ha a che vedere con una vera e propria digitalizzazione della materia (Gershenfeld, 2012), ripercorrendo il passaggio avvenuto dalla comunicazione analogica a quella digitale.

 

Il fatto che la fabbricazione stia uscendo dai luoghi istituzionali come le fabbriche e i laboratori, diventa evidente e sostenibile (non in tutti i casi, ovviamente) nella scala del design di prodotto. Di recente stiamo però assistendo anche ad un'apertura dell'architettura a queste tematiche, trasferendo logiche open-source nel mondo delle costruzioni. I DUS Architects, ad esempio, stanno lavorando ad una casa stampata in 3D, la cosa interessante non riguarda solo la questione tecnica, ma coinvolge il problema il problema più ampio della collettivizzazione della costruzione: "... architects are very fascinated by the mere technical opportunities that the machine offers, but we're fascinated more by the open source democratic idea of these printers. It democratises architecture." I DUS Architechts descrivono il loro processo proprio come un esperimento in costante crescita, dove il potenziale è dato dal coinvolgimento del pubblico. Il blog è la piattaforma in cui mettono a disposizione il materiale prodotto, che può essere liberamente testato o trasformato, di modo che il pubblico, da osservatore, diventa attore del processo sperimentale. La semplificazione del sistema produttivo permette a figure non professionali di accedere al sistema stesso. Il punto interessante riguarda questo processo di de-professionalizzazione in cui l'istituzione perde senso in favore di un'organizzazione collettiva, costituita da "contributors" e quindi governata da dinamiche totalmente diverse (Shirky) rispetto le "macchine burocratiche" che garantiscono la conservazione del sapere, o meglio, di un certo tipo di sapere.

 

Una forma primitiva di questa trasformazione è rintracciabile con l'avvento dei software che negli anni '80 hanno liberato i creativi dal vincolo di lavorare con tecnici informatici (dai software di grafica a quelli di progettazione e modellazione). Questa transizione ha generato negli anni alcuni problemi. Uno di questi è relativo al ruolo del professionista nel mondo della creatività, facendo credere che la  professionalità si limiti all'uso di uno strumento, dimenticando tutto l'aspetto culturale che sostiene una disciplina e la sua possibilità di progredire. Allo stesso modo ha contribuito a conformare i comportamenti, e quindi i prodotti.

 

I software sono quindi diventati in parte, depositari di teoria, perché definendo l'attività specifica per cui sono stati progettati, ne determinano anche l'azione intellettuale. Oggi molti software si dotano di strumenti, di librerie in grado di amplificare le proprietà della piattaforma di base, diventata limitante. La creazione di queste estensioni, è libera espressione di una collettività in cui c'è chi opera da pioniere costruendo un linguaggio estetico, funzionale, che poi mette a disposizione di tutti per modifiche e adattamenti.

 

Il limite del controllo sui comportamenti si evince anche da esperienze apparentemente ingenue come navigare nell'infinito spazio del web. Gli algoritmi progettati per questo o quello scopo, costruiscono la nostra tipica esperienza nello stesso: la rete è un contenitore di algoritmi che danno forma al nostro comportamento.

 

Il controllo, che è l'effettivo potere di strutturazione dello spazio virtuale degli algoritmi, è il prodotto di due elementi intrinseci nella struttura stessa degli algoritmi e che risiede nelle loro origini matematiche: sono sistemi complessi di negoziazione tra Automazione e Decisione (Jackson, 2013). Si tratta di elementi inscindibili se si vuole che l'algoritmo stesso sia efficace, qualsiasi sia lo scopo per cui è programmato. La sfera dell'automazione riguarda la capacità di convertire una procedura teorica in una procedura "effettiva" equivalente. Un algoritmo però deve essere anche progettato per decidere in relazione ad un particolare input o su un particolare risultato, valutando una serie di diverse alternative. Un buon algoritmo è la combinazione di questi due elementi, in cui dunque si automatizza la decisione, come se fosse fatta dall'utente stesso, se per esempio si tratta di una ricerca di libri in un negozio on-line. Bisogna però ricordarsi che sono comunque costruzioni astratte (per lo meno nelle loro origini),  sono rappresentazioni della realtà in cui noi siamo immersi, quindi l'algoritmo rappresenta uno strumento di controllo sulla percezione della realtà stessa.

 

Quando questa visione riduttiva della realtà è compatibile con la nostra esistenza, essa diventa realtà, una realtà in cui c'è ovviamente una perdita di autonomia, una realtà equivalente al progetto (che è per definizione un atto di semplificazione). Un obiettivo coerente con questo modello collettivo è pervenire a definire le proprie astrazioni, modificando le astrazioni altrui.

 

Gli strumenti aperti, nelle aziende di software così come nelle scuole, possono permettere di costruire un attore in grado di definire i propri strumenti tecnici e condividerli con altri, ma con il rischio imminente di essere manipolati. Ma dove risiederà la forma culturale? Stiamo preparando un futuro in cui il linguaggio tecnico (del software) incorpora quello culturale (delle intenzioni, delle aspirazioni)?

 

http://www.disguincio800.com/

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