I pericoli dell'ignoranza
Molti autori hanno fatto ricorso all’etichetta “società dell’informazione” per definire il mondo in cui viviamo. Forse, però, non è questo il tratto più caratterizzante di tale mondo, anche se è vero che siamo sommersi in misura crescente da notizie e messaggi di ogni genere. Ed è anche vero che, paradossalmente, tutto ciò, anziché dare vita a delle persone preparate e sicure di sé, sta creando delle persone che sono disinformate e disorientate. La questione dell’ignoranza costituisce però un problema sociale che ha una lunga storia alle spalle e può essere considerato “di sistema”, in quanto è causato da una molteplicità di fattori. Nessuna meraviglia allora che sia stata affrontata da parte di numerosi studiosi. Si aggiunge adesso Gianni Canova con il volume Ignorantocrazia. Perché in Italia non esiste la democrazia culturale, uscito presso l’editore Bompiani nella collana Agone diretta dallo scrittore Antonio Scurati. Canova è attualmente Rettore dell’Università IULM di Milano ed è uno studioso da sempre attento ai molteplici aspetti del linguaggio cinematografico. Anche in questo libro parla molto di cinema, ma si occupa soprattutto di un tema prettamente sociologico come l’ignoranza. E lo fa in maniera convincente, sostenendo nella prima parte del volume una posizione molto critica verso la situazione in cui ci troviamo attualmente.
La sua idea cioè è che oggi in Italia il problema dell’ignoranza si presenta come particolarmente grave e perciò va affrontato al più presto, dato che mina alle fondamenta il funzionamento dei principi di base della vita democratica. Purtroppo, al contrario, l’ignoranza nel nostro Paese viene addirittura considerata positivamente, mentre la competenza è diventata un disvalore. E ciò è condiviso dalla popolazione nel suo complesso, ma è condivisa anche dagli intellettuali e dalla classe dirigente. Il che è particolarmente grave, dato che queste persone, per il ruolo sociale che rivestono, dovrebbero cercare di promuovere la diffusione della cultura. Invece pensano snobisticamente che per un prodotto culturale avere successo sia qualcosa che vada a tutti i costi evitato. Perciò, anziché preoccuparsi di diffondere il piacere della conoscenza, trasformano la cultura in un oggetto noioso e poco accattivante.
D’altronde, la volontà di mantenere la popolazione nell’ignoranza sembra essere al centro di quel progetto populista che viene portato avanti da qualche anno da una fetta consistente del mondo politico contemporaneo. Mentre promette alle persone di farle partecipare, infatti, la politica oggi toglie loro quegli strumenti culturali senza i quali non sono in grado di raggiungere un reale livello di partecipazione. Conseguentemente, smantella l’istruzione pubblica (lasciando crollare il tasso di educazione fornita dalla scuola), indebolisce tutte le istituzioni culturali (privandole di fondi adeguati), ostacola lo sviluppo di un’informazione libera e, soprattutto, fa sparire dai media qualsiasi contenuto di tipo culturale. E nel contempo favorisce il progressivo installarsi all’interno della società di quella che qualche anno fa Massimiliano Panarari ha definito “egemonia sottoculturale” nel volume dal titolo omonimo, vale a dire un insieme ben assortito di cronaca nera, cronaca rosa, gossip e notizie sui vip che tende a dominare l’intero ambito culturale e ha progressivamente fatto scomparire la cultura media di qualità.
Per affrontare questo problema, Canova propone di prendere ad esempio dei modelli in cui sono stati felicemente coniugati la cultura e il mercato, come il design italiano e un certo tipo di cinema realizzato in Italia in passato. Quello che era firmato da autori di altissimo livello come Fellini e Pasolini e contemporaneamente da creatori di prodotti di genere ma indiscutibili sul piano qualitativo come Petri, Monicelli, Argento e Leone. Propone inoltre, nella seconda parte del volume, dei prodotti culturali di qualità provenienti da diversi ambiti dell’industria culturale italiana: i fumetti di Tex Willer, i romanzi polizieschi di Giorgio Scerbanenco, la serie televisiva La Piovra, le pellicole di Ettore Scola.
Canova fa una proposta che è pienamente condivisibile sul piano etico. È il caso di chiedersi però se essa sia effettivamente praticabile. D’altronde, non è un caso che i modelli che Canova porta alla nostra attenzione abbiano funzionato in epoche precedenti alla nostra. Perché il problema sollevato dall’autore non riguarda solamente il nostro Paese, in quanto viene generato da un sistema economico e sociale di tipo capitalistico che è operante il tutto il mondo occidentale. Un sistema che oggi tende a imporre una sempre maggiore diseguaglianza sul piano della distribuzione del reddito e che ridimensiona perciò ovunque la classe media, il principale mercato dei prodotti culturali medi di qualità.
Canova porta giustamente ad esempio la capacità dell’industria cinematografica francese di produrre un cinema al contempo colto e di qualità, ma anche tale industria ha visto negli ultimi anni indebolirsi notevolmente la sua capacità di realizzare dei film popolari e intelligenti al tempo stesso. E ciò appare sempre più evidente nella principale industria cinematografica occidentale: quella americana. La quale appare essere oggi fortemente polarizzata tra il cosiddetto “cinecomic”, cioè le pellicole basate sui personaggi dei fumetti e in grado di generare elevatissimi incassi in tutto il mondo, e il cinema indipendente e di qualità, rivolto a un pubblico d’élite. Sì è indebolita cioè, negli Stati Uniti, quello che rappresentava il principale elemento di forza di tale industria cinematografica: la capacità di dare vita a numerose pellicole popolari e commerciali, ma anche di ottimo livello qualitativo.
Deve preoccuparci, inoltre, il fatto che probabilmente in futuro l’attuale situazione peggiorerà ulteriormente, dato che l’uso crescente del Web sta spingendo sempre più gli individui a condividere un vero e proprio mito dell’opinione della persona comune. Un mito che tende a eliminare la necessità degli intermediari culturali (critici cinematografici, letterari, ecc.) ed è regolato da una specie di “dittatura della mediocrità”. Ovvero dal volere della massa, che si impone con la forza della sua quantità, grazie agli algoritmi dei motori di ricerca, i quali premiano tutto ciò che è maggiormente frequentato e dunque più popolare. Con il risultato finale che la massa degli ignoranti ha la meglio sulle persone che hanno studiato e che sono dotate di una reale competenza.