I Sami, il popolo che segue le renne
«Tu non appartieni a me, appartieni a te stesso. Ti prendo solo in prestito.»
Sono queste le parole che Elsa, una bimba di 9 anni, rivolge al suo cucciolo di renna, Nàstegallu.
Siamo a Jokkmokk, nella parte più settentrionale della Svezia, dove i sami, ultimo popolo indigeno d’Europa, vive e pratica l’allevamento delle renne.
Le parole di Elsa portano il lettore a comprendere sin da subito quanto sia profondo il legame di questo popolo con la natura, un popolo di cui non esiste un censimento certo ma si parla di circa 80.000 persone che vivono divise dalle frontiere di Svezia, Norvegia, Finlandia e Russia.
La ragazza delle renne (Marsilio, 2024), di Ann-Helén Laestadius, scrittrice e giornalista di origine sami, si apre con un atto efferato: l’uccisione di Nàstegallu che ha come motivo scatenante la discriminazione e l’odio razziale che da sempre il popolo sami subisce da parte della società maggioritaria.
Un atto tanto più grave se si pensa che da sempre il popolo sami prende dalla natura ciò che serve alla sussistenza, e nulla più, nella convinzione forte e inscalfibile che nulla appartenga di diritto all’uomo ma che la sopravvivenza reciproca sia frutto di un equilibrio delicato da rispettare e mantenere.
L’uccisione della renna ci pone davanti a un’ingiustizia talmente palese e evidente che non possiamo ignorarla: nel libro, infatti, scopriamo l’indifferenza della polizia, la mancanza di attenzione e di volontà di perseguire crimini di questo genere. L’autrice sceglie la cornice di uno pseudo-thriller per raccontare in modo vivido e realistico la realtà contemporanea dei sami.
L’odio e l’indifferenza hanno radici profonde però, se pensiamo che sin dall’800 i cosiddetti “popoli evoluti” hanno sistematicamente tentato di ridurre il popolo sami al silenzio quando non di cancellarne l’esistenza: dapprima con un processo di cristianizzazione per culminare poi in un vero e proprio atto colonizzatore che porterà i Sami a essere privati dei loro diritti. Tra il 1800 e il 1900 molti Sami sviluppano un rifiuto verso la propria cultura e le proprie radici e d’altronde come riconoscersi in censimenti che sino al 1920 li etichettano come “anormali” e destinati all’estinzione?

L’odio razziale di cui Ann-Helén Laestadius racconta attraverso la figura di Elsa ha dunque radici antiche e lo scopriamo anche nelle parole della nonna di Elsa, che in più momenti cita “le scuole per nomadi”. C’è un momento, poetico e doloroso, in cui la Laestadius ci pone dinnanzi a un dolore sempre vivo, quello della privazione della propria lingua.
Elsa, suo padre e la nonna si trovano al commissariato per denunciare l’uccisione di Nàstegallu e la nonna è obbligata a parlare in svedese per farsi comprendere:
«Dov’è il bagno?» chiese áhkku ad alta voce.
Parlare svedese non le piaceva, faceva fatica con le consonanti e l’intonazione. Secondo lei a quella lingua mancava la melodia del cuore.
Durante l’epoca nazionalista, infatti, i Sami venivano strappati alla propria famiglia di origine per dar loro una nuova educazione e cancellarne dunque i tratti identitari.
Non può non tornare alla mente il primo libro scritto da un Sami, Johan Turi, allevatore di renne, che già nel 1910 ci racconta con parole semplici e potenti cosa significava essere sami in un mondo incapace di comprendere e accettare uno stile di vita diverso da quello conosciuto dai più. Il libro, tradotto in Italia da Adelphi con il titolo Vita del Lappone contiene un passaggio straordinario:
Sono un sami che ha fatto ogni sorta di lavoro e so tutto a proposito delle condizioni di vita dei sami. Mi sono reso conto che il governo svedese vuole aiutarci il più possibile, ma non comprende alcuni aspetti delle nostre vite poiché nessun sami può spiegar loro esattamente come sono le cose. E questa è la ragione: quando un sami si trova chiuso in una stanza non capisce granché, perché non può puntare il naso al vento. I suoi pensieri non scorrono perché ci sono i muri e la sua mente ci si trova rinchiusa. Ma quando un sami è fra le alte montagne, allora ha la mente chiara. Se si stabilisse un luogo di incontro su qualche alta montagna, allora un sami saprebbe far capire molte più cose.

Un punto di incontro che, non per volere dei sami, è sempre stato molto difficile da trovare e uno sguardo così diverso sul mondo da risultare inconciliabile e che troppo spesso ha portato a incomprensioni e vessazioni.
Nel prezioso romanzo della Laestadius infatti, la violenza, fisica e verbale, quella del presente e quella del passato, è un tema ricorrente: un filo rosso che attraversa la quotidianità di tutti i personaggi coinvolti sino a portare Lasse, il fratello minore di Hanna, zia della protagonista, al suicidio. Un giovane che viene raccontato come affascinante, ironico e pieno di entusiasmo, innamorato delle proprie tradizioni e della sua gente, che arriverà a togliersi la vita non potendo sopportare di non riuscire a proteggere e preservare lo stile di vita Sami.
La sua figura rappresenta un monito, un invito a riflettere sulla fragilità della propria cultura e sull’importanza di proteggerla e preservarla.
Un romanzo complesso e affascinante, ricco di figure che, nel dipanarsi della trama, ci conducono con maestria e delicatezza verso la comprensione dello stile di vita di un popolo la cui esistenza è strettamente legata al riconoscimento dei loro diritti, diritti che troppo spesso, ancora oggi, vengono violati.
Ma se da un lato l’urgenza dell’autrice è quella di raccontarci le ingiustizie cui il suo popolo è sottoposto, dall’altro ci troviamo davanti a un vero e proprio canto d’amore e di speranza nonché un racconto di come il popolo sami, pur mantenendo vive le tradizioni, sia profondamente consapevole delle nuove sfide che i tempi moderni portano con sé.

Il cambiamento climatico infatti, è un altro dei temi trattati dall’autrice che ci racconta di come le renne ad oggi fatichino a trovare il cibo in natura e debbano essere dunque nutrite con del mangime. Per un popolo nomade, da sempre abituato a seguire le proprie renne e non a farsi seguire, questa realtà significa immaginare un cambio radicale della propria vita: da nomadi a semi-nomadi quando non addirittura, in un futuro non troppo lontano, stanziali. A questo si aggiungono le attività estrattive, sempre più presenti, e che privano i Sami delle proprie terre in virtù di un progresso e del reperimento di materie prime che, per essere estratte, portano alla distruzione di quella realtà che il cosiddetto “mondo civilizzato” proclama di voler proteggere.
Elsa cresce e diventa una donna adulta che continua a lottare per i diritti della propria comunità ma che sempre di più si trova dinnanzi a sfide complesse e articolate.
Alla sua lotta, si uniscono altre figure: l’amica Minna, anche lei di origine sami, che, pur non appartenendo a una famiglia di allevatori di renne, condivide il dolore e la preoccupazione di Elsa e decide di studiare per diventare avvocato ed essere dunque una figura attiva nella difesa dei diritti del proprio popolo.
Colpisce poi la figura di una giornalista svedese, Lovisa Wikberg: vista dapprima come una persona incapace di comprendere il dolore della comunità Sami diventerà invece un’alleata preziosa nel denunciare quanto avviene. I suoi articoli metteranno in luce l’inadeguatezza e la mancanza di volontà delle autorità nel far luce sulle uccisioni delle renne che negli anni continuano a avvenire sotto gli occhi di tutta la comunità.
Parlando di giornalisti e più in generale di stranieri che supportano la causa sami, è possibile leggere i gialli di Olivier Truc, giornalista di Le Monde. Truc con i suoi romanzi, ha supportato e supporta la causa sami. Grazie alle storie di inchiesta da lui narrate, possiamo avere un punto di vista esterno e attuale focalizzato sulle sfide e sulla resistenza di un popolo fiero e profondamente legato alle proprie tradizioni.

Leggere il libro di Ann-Helén Laestadius però, significa immergersi in un’atmosfera potente e profondamente intima. La scrittrice ci regala infatti, dispensandole sapientemente in questo meraviglioso libro, informazioni e aneddoti che ci permettono di scoprire qualcosa di più della cultura sami, della vita quotidiana così come di quella spirituale e delle antiche tradizioni.
Un esempio particolarmente evocativo è il momento in cui Elsa, parlando del nonno, racconta:
Se si feriva però non era un problema, perché áddjá aveva il dono di fermare il sangue. Gli veniva naturale, come se niente fosse: gli bastava pensare che il sangue si fermasse e quello smetteva di scorrere. A sentire la mamma però non era il caso di parlarne troppo in giro, anzi, meglio non dirlo proprio a nessuno.
I guaritori, gli sciamani, sono ancora presenti nelle comunità sami. Figure che l’opera di cristianizzazione ha provato a cancellare ma che, grazie alla resistenza del popolo sami, sono sopravvissute conservando antiche conoscenze e memoria di un tempo passato, elementi preziosi che ancora una volta ci aiutano a comprendere la cultura di un popolo.
La ragazza delle renne è in buona sostanza, uno spaccato profondo e toccante che affronta temi universali come la discriminazione, la violenza e la lotta per la giustizia.
La storia di Elsa e della sua famiglia ci offre un punto di vista toccante e realistico della vita nel Sàpmi, invitandoci a riflettere sulle sfide e le speranze del popolo Sami nel mondo contemporaneo.

È un libro necessario perché ci ricorda che la violazione dei diritti umani può cambiare forma e metodo, può nascondersi meglio ma continua a essere estremamente presente e pericolosa e costringe a porsi domande fondamentali: come è possibile che nel mondo moderno ci sia ancora tanto spazio per la discriminazione e per l’odio razziale? Come è possibile accettare la violenza e non combatterla?
Ann-Helén Laestadius ci spinge a guardare meglio, più da vicino e con più attenzione ciò che è sotto gli occhi di tutti ma da cui troppo spesso si distoglie lo sguardo.
Per saperne di più
Il 16 febbraio alle h. 14.00 al Teatro Franco Parenti, l’autrice presenterà il suo libro nell’ambito del Festival I Boreali. Necessaria prenotazione. Nel 2024, da La ragazza delle renne è stato tratto un film omonimo per Netflix: Vita del lappone – Johan Turi. I libri di Olivier Truc.
