Il finanziamento della folla

2 Novembre 2012

Parlare di crowdfunding oggi significa compiere necessariamente un’operazione di strabismo analitico, guardando a un fenomeno che, diffuso capillarmente un po’ in tutto il mondo digitalizzato, ha nella società americana il suo radicamento più forte, mentre sul territorio europeo e italiano in particolare vive una dinamica di affermazione fatta ancora di luci e ombre.

 

Il successo americano di questo fenomeno nell’ultimo anno ha portato il crowdfunding alla ribalta anche in Italia, suscitando l’interesse di giornalisti e addetti ai lavori dei settori della nuova economia digitale e del mondo del fundraising, alla ricerca di nuovi strumenti in un’epoca di crisi, e intenti a osservare con attenzione la nuova partecipazione sociale alimentata dal web.

 

Nell’aprile 2012 l’amministrazione Obama ha varato il JOBS Act (Jumpstart Our Business Startups), una legge che regolamenta per il mercato americano le pratiche di finanziamento per le start-up, incentivando l’allargamento della base possibile degli investitori di un’azienda in avvio. Il provvedimento, che ha raccolto sia commenti entusiastici che qualche clamorosa stroncatura (in particolare da coloro che temono che così si deregolamenti il settore rischiando una bolla speculativa), apre all’ingresso nelle aziende di investitori non accreditati, che contribuiscono con piccole quote alla fase di start up, e quindi facilita l’uso di strumenti come il crowdfunding per superare l’ostacolo della mancanza di grandi capitali in fase di avvio d’impresa.

 

Cosa sia il crowdfunding, in quali tipologie si articoli, quali siano le sue linee potenziali di sviluppo e come stia crescendo l’esperienza italiana: queste le domande a cui cercheremo di dare risposta nei prossimi paragrafi.

 

Le parole del crowdfunding


La definizione corrente di crowdfunding recita (trattandosi di un fenomeno web, dove altro trovarla se non in Wikipedia?): 
“[...] the collective cooperation, attention and trust by people who network and pool their money and other resources together, usually via the Internet, to support efforts initiated by other people or organizations”.

 

Le parole chiave di questa definizione sono senz’altro cooperation, trust, money, Internet. Ciascuna di loro ci serve a delineare meglio la filosofia del fenomeno.

 

Cooperation: l’unione fa la forza. L’idea alla base del crowdfunding è che per giudicare la qualità e la necessità di un progetto per la collettività non sia necessario sottoporlo prima a una élite giudicante che si colloca al di sopra del mercato (responsabili delle major, uomini di marketing, editori, pubblicitari, direttori artistici, produttori ecc.), ma che si possa parlare direttamente al suo pubblico potenziale. Sarà questo a stabilirne l’interesse e a decretarne il successo attraverso una mobilitazione diretta, che comprende contributo d’idee per il suo sviluppo, sostegno economico, passaparola verso altri possibili soggetti interessati. La cooperazione e la convergenza di un vasto numero di persone su un progetto fanno sì che la quantità (di apprezzamenti e di fondi raccolti) vada in un certo senso a determinare la qualità del progetto, invertendo la dinamica del mercato e determinando ex ante la produzione.

 

Trust: la fiducia. Il rapporto che si stabilisce tra consumatore e produttore è diretto, biunivoco, senza filtro. Per poter attivare questo circolo virtuoso di democrazia della produzione, la fiducia in colui che propone il progetto è basilare. Poiché grazie al crowdfunding non si è soltanto acquirenti di un prodotto già finito ma se ne diventa in qualche modo artefici, il circuito di fiducia deve necessariamente attivarsi. Si tratta di un passaggio psicologico che ha le sue difficoltà e che può concretamente determinare il successo o l’insuccesso di questo strumento.

 

Money: il crowdfunding prevede un passaggio di denaro tra un sostenitore e un progettista. Un meccanismo delicato da attivare, perché fa leva su una dinamica che non combacia perfettamente né con quella dell’acquisto, né con quella della donazione disinteressata, né con quella dell’investimento.

 

Il trasferimento di denaro, specialmente in epoca di crisi e di consumi centellinati, è un’operazione che prevede un forte coinvolgimento del sostenitore sul progetto, di natura emotiva (un progetto che incontra i miei interessi e le mie passioni profonde) o di natura utilitaristica (la produzione di un determinato oggetto o la realizzazione di uno specifico servizio hanno una ricaduta immediata sulla mia vita e colmano una mia necessità). Questi due atteggiamenti si polarizzano appunto nelle dinamiche del mecenatismo e dell’acquisto: si può dire che entrambe queste leve devono essere presenti in un buon progetto di crowdfunding, qualunque sia il suo tema, e che nessun progetto può davvero funzionare se non le usa entrambe per coinvolgere porzioni diverse del suo pubblico potenziale.

 

Internet: è lo strumento che ha consentito al fenomeno del fundraising di far esplodere il proprio potenziale di coinvolgimento sociale e che quindi ha portato di fatto alla nascita del vero e proprio crowdfunding.



Un po’ di storia


L’origine storica del crowdfunding si colloca alla fine degli anni ’90, con i primi siti web dedicati a campagne di raccolta fondi, principalmente per beneficenza, che utilizzavano la rete come strumento per ampliare le tradizionali campagne di fundraising.

 

Il consolidamento del social web a partire dalla metà degli anni 2000, con la nascita di Youtube e di Facebook, imprime la spinta necessaria alla nascita delle prime vere piattaforme di crowdfunding. Ad esempio Kiva, piattaforma di microprestito per imprese nei paesi in via di sviluppo, o Sellaband, piattaforma dedicata al finanziamento di progetti musicali (sulla scia del successo in quegli anni del social network musicale MySpace).

 

Tra il 2008 e il 2009 nascono le due principali piattaforme di crowdfunding al mondo per numero di utenti: Indiegogo e Kickstarter.

 

Queste due realtà negli ultimi tre anni hanno davvero tracciato un solco, lavorando a fondo il terreno in cui questa pratica viene coltivata. I numeri collezionati da queste due piattaforme (in particolare da Kickstarter) hanno portato il fenomeno fuori dal panorama degli addetti ai lavori, degli appassionati del web, a una platea più vasta. Il mezzo ha iniziato a svelare il suo potenziale, stimolando la nascita di epigoni, piccoli e grandi.

 

Le tipologie di crowdfunding
Le piattaforme di crowdfunding oggi esistenti al mondo sono circa 350 (si tratta di una catalogazione in costante aggiornamento e non esiste una fonte di dati univoca su questo). Si dividono principalmente in tre categorie:

 

1) crowdfunding per progetti creativi (piattaforme suddivise in due tipologie: le generaliste, che comprendono progetti di categorie creative diverse come arte, teatro, cinema, design, eventi, architettura, cibo, tecnologia, e le tematiche, che ospitano progetti di un solo settore). Fanno parte di questa categoria Kickstarter, Indiegogo, Eppela, solo per citare tre piattaforme oggetto di questo articolo. Chi finanzia un progetto non presta denaro né diventa azionista di una futura azienda: semplicemente offre una cifra a cui corrisponde da parte del progettista l’invio di una ricompensa, immateriale come un semplice grazie o materiale come un prodotto, un biglietto, l’invito a un evento. Il sistema funziona in modo trasparente grazie alla formula del “tutto o niente”: se il progettista non riesce a raggiungere la cifra di cui ha bisogno nel tempo che si è dato per la campagna di crowdfunding, le offerte tornano in possesso del sostenitore e il progetto non viene realizzato. Questo perché, in caso di raccolta fondi molto inferiore al necessario, il progettista non sarebbe in grado di onorare il suo impegno e corrispondere le ricompense promesse.

 

2) social lending peer2peer (sistema di microprestito da privati a privati, a titolo personale, con restituzione a tassi particolarmente agevolati per il progettista). Piuttosto famosa la piattaforma Zopa.

 

3) equity based crowdfunding (piattaforme che attraggono microinvestitori su un progetto, remunerando l’investimento con una quota di partecipazione azionaria e quindi un ritorno futuro sugli utili della start up nascente). In questo campo si segnalano GrowVC, SiamoSoci, Seedrs e molti altri.

 

La tipologia di crowdfunding che si è imposta come modello dominante sul mercato è senz’altro la prima, e questo grazie soprattutto a Kickstarter e ai suoi casi di successo (come il finanziamento per la realizzazione di Pebble, uno “smartwatch” che ha raccolto ben 10.000.000 di dollari). Kickstarter vanta in questo momento un numero di utenti superiore al milione e un rating dei progetti portati al successo in impennata costante da due anni a questa parte.

 

La forza di Kickstarter si basa su un doppio livello di successo. Da un lato si tratta di uno strumento ormai consolidato per il finanziamento di progetti culturali a medio/piccolo budget (cortometraggi, produzioni teatrali, produzioni musicali), per cui costituisce una reale alternativa ai meccanismi di produzione tradizionale. Dall’altro, si è rivelato perfetto per una sorta di pre-sale orientato a raccogliere fondi per la messa in produzione di oggetti su scale numeriche differenti a seconda del finanziamento ottenuto. Attraverso una campagna di crowdfunding ormai, dando come ricompensa per una determinata quota d’offerta il prodotto stesso del progetto presentato, si può facilmente effettuare un test di mercato ed innescare un processo di coinvolgimento delle reti sociali interessate alla fruizione di quel prodotto. In parole povere, si può verificare che la propria idea abbia un seguito e che le persone siano interessate ad acquistarla, chiedendo loro di sostenere la prima produzione e di fatto di preordinarne il prodotto in anticipo e con risultati stupefacenti.

 

Questo modello di crowdfunding apparentemente sembra non necessitare del ventaglio di possibilità che il JOBS Act ha aperto, semplicemente perché, basandosi sulle ricompense e non sul ritorno economico di un investimento, ha incentrato il suo successo su un’altra dimensione psicologica, più ludica ed emozionale. È una evoluzione del crowdfunding che fa leva ormai su principi molto simili a quelli del social commerce (interattività del cliente, condivisione delle informazioni sul prodotto, passaparola sui social, acquisto elettronico).

 

L’espansione così rapida del modello Kickstarter negli USA fa leva su una serie di elementi culturali e sociali che sono peculiari della società americana. In primis i numeri molto ampi di utenti on line e una digitalizzazione più ampia delle nuove generazioni. Senz’altro la maggior dimestichezza con le pratiche di acquisto on line, unita alla più capillare diffusione del pagamento con carta di credito o prepagata, largamente diffusa anche tra gli adolescenti. Infine, due elementi che fanno da sfondo, ma che comunque completano il quadro arricchendolo di sfumature: la cultura americana del self made man, dell’imprenditoria nata in un garage, e la costante interrelazione tra cultura mainstream e underground, che ha fatto sì che spesso l’industria culturale assorbisse e normalizzasse fenomeni dal basso trasformandoli in successi di pubblico.


 
L’esperienza italiana


E nel resto del mondo? Come dicevamo, il successo di Kickstarter ha portato alla nascita di una serie di epigoni. Non si tratta della banale copia di un modello a dimensione più locale: Kickstarter stesso, in un certo senso, è a dimensione locale, perché ospita progetti presentati solo ed esclusivamente da cittadini residenti negli Stati Uniti, anche se, ovviamente, i progetti possono essere finanziati da utenti di tutto il mondo.

 

Il 2 maggio 2011 in Italia abbiamo dato vita a Eppela, la prima piattaforma italiana di crowdfunding per progetti creativi. Volevamo portare sul mercato italiano uno strumento di finanziamento per i progetti che può innescare anche qui una vera e propria rivoluzione dei sistemi di produzione e di finanziamento, in un’Italia che presenta enormi difficoltà a declinare la parola crescita, soprattutto per il mondo della cultura (i tagli del settore e quelli agli enti locali hanno improvvisamente bruciato il terreno alle piccole realtà di autoproduzione nel settore del teatro, dell’arte e in molti altri) e anche per quello di settori tradizionalmente vivi e fertili come l’artigianato, la moda, il design.

 

L’attenzione che abbiamo raccolto sullo strumento da parte degli addetti ai lavori è stata alta. Molto più contenuta quella del vero e proprio mercato, degli utenti comuni. È come se tutti quei fattori di successo elencati prima, che hanno portato a una crescita immediata del crowdfunding negli Stati Uniti, qui fossero ancora tutti da sviluppare: scarsa digitalizzazione della popolazione (e dati ancora insufficienti per quanto riguarda l’accesso al web), poca attitudine all’acquisto on line (secondo le statistiche del 2011, il settore più frequentato dell’e-commerce italiano è ancora quello del gioco d’azzardo on line), poca dimestichezza con gli strumenti di pagamento elettronico. Inoltre prevale spesso un’attitudine psicologica di chiusura, una certa difficoltà a cogliere le novità del mercato e a direzionare le proprie scelte verso prodotti che non siano omologati al sistema culturale maggioritario.

 

È tutto così drammatico? Non crediamo. Un anno di vita del progetto ci ha dato anche molti segnali positivi e soprattutto la sensazione che, forse anche grazie alla crisi, i prossimi saranno mesi cruciali per una possibile inversione di tendenza culturale anche nel nostro paese.

 

C’è senz’altro la volontà da parte dei soggetti privati di essere sempre più coinvolti nella creazione di un proprio mercato, delle idee e dei prodotti, di non essere più passivi consumatori. Anche in questo la crisi e l’approccio più critico e consapevole ai consumi giocano un ruolo importante.

 

Inoltre: l’Italia è terra di associazioni e cooperative. La tradizione del territorio è incline alla cooperazione per raggiungere un risultato comune. Le reti sociali locali sono vive ed hanno dato spesso prova di poter compiere grandi imprese. Nuove energie possono entrare in gioco e il web può essere lo strumento perfetto per convogliarle ed amplificarle.
Il design, la moda, la cultura sono da sempre tratto distintivo della produzione intellettuale degli italiani. Le nuove esperienze, come quella dei makers, degli artigiani digitali, delle produzioni cinematografiche low budget, dimostrano che è possibile riconvertire un atteggiamento produttivo attraverso nuovi strumenti e nuove potenzialità.

 

Il crowdfunding è senz’altro uno di questi. A noi, e a chi lo userà, il compito di intercettare un cambiamento che può rivelarsi storico.


 
Sitografia


http://en.wikipedia.org/wiki/Crowd_funding
http://www.nytimes.com/2012/03/11/opinion/sunday/washington-has-a-very-short-memory.html?_r=3&partner=rssnyt&emc=rss
http://www.kickstarter.com
http://www.indiegogo.com
http://www.eppela.com
http://uk.zopa.com
http://www.growvc.com
http://www.siamosoci.com
http://seedrs.com
http://www.kiva.org
http://www.web-target.com/case-studies/775-equity-based-crowdfunding
Per i dati annuali del 2011 di Kickstarter http://www.kickstarter.com/year/2011



Questo articolo è uscito originariamente su Tafterjournal n. 48 - giugno 2012.
Lo riproponiamo adesso nell'ambito del progetto cheFare.
Chiara Spinelli, l'autrice, è project manager del partner di cheFare Eppela.

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