Intervista a Alexandra Irimia / Il risveglio della Romania

24 Aprile 2017

Nonostante i riflettori della stampa internazionale si siano spostati altrove, il risveglio collettivo della coscienza civile in Romania avvenuto nei mesi passati continua a mietere i suoi frutti. Anche in questi giorni continuano le partecipatissime manifestazioni politiche contro la corruzione, completamente auto-organizzate ed autogestite dai cittadini rumeni che hanno dato prova di grande coesione, solidarietà e soprattutto efficacia nell'ideare una protesta omogenea e trasversale alle varie aree politiche e alle molteplici realtà sociali presenti nel loro paese.

 

Ma come si organizza un'azione di piazza efficace nel 2017? Quali sono i retroscena di una protesta pacifica che ha impedito che la corruzione fosse resa legale dalle istituzioni stesse?

Come è nato e come si è espresso il malcontento verso la palese corruzione dello stato rumeno? Quali sono i mezzi, i luoghi e le entità coinvolte? Lo abbiamo domandato ad Alexandra Irimia, dottoranda e assistente di ricerca presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Bucarest e attivista coinvolta fin dall'inizio nell'organizzazione delle proteste.

 

“Il malessere che anima le proteste è partito molto lontano”, dice Alexandra.“All'indomani della caduta del comunismo il potere è stato rilevato dalla ex-nomenklatura sovietica del regime di Ceausescu che lo ha mantenuto per i successivi 27 anni, fondando l'antenato del PSD di oggi, il partito socialdemocratico, ad oggi ancora il partito più forte nel paese. Le loro politiche, basate su un sistema di corruzione endemico, hanno contribuito a fare della Romania un paese sottosviluppato dal punto di vista dell'istruzione, della sanità pubblica e delle infrastrutture. Date le condizioni di prostrazione generale nessuno protestava, sia a causa dell'apatia e della sfiducia nella politica, e sia per le misure populiste che premiavano il silenzio con benefici piùo meno grandi in cambio. Le cose sono cambiate nel 2014 con le proteste violente per l'affaire Rosia Montana, quando il governo voleva concedere a una compagnia fantasma canadese i permessi per estrarre oro dalle montagne di questa pittoresca regione dei Carpazi usando il Cianuro, e nel 2015, quando è scoppiato un incendio in un locale undergorund dal nome Colectiv, in cui sono morti 64 giovani a causa della condizione di illegalità in cui doveva agire illocale per sopravvivere. In queste due occasioni, i semi del coinvolgimento civile hanno cominciato a crescere e germogliare e a tutti è diventato manifesto che ‘la corruzione uccide’, slogan delle prime rivolte e di quelle recenti. Nel 2016 ci furono le elezioni ma nulla cambiò. Solo due settimane dopo la sua presa in carico, ignorando le proteste e i ripetuti avvertimenti da parte delle istituzioni nazionali e internazionali, il ministro della giustizia, Florin Iordache, preparò due decreti di emergenza volti a de-criminalizzare la corruzione che furono approvati dal governo all'una di notte del 31 gennaio scorso, aspettandosi che data l'ora la notizia sarebbe passata in sordina. Si sbagliavano.”

 

Quella stessa notte circa in quindicimila sono scesi in strada e si sono riuniti di fronte al palazzo del governo, chiedendo l'abolizione del decreto di emergenza e le dimissioni di un governo che usa metodi ignobili per proteggere i suoi leader. Da allora in tutta la Romania sono scoppiate le proteste, con dimostrazioni di piazza dai numeri impressionanti, arrivando a coinvolgere anche 500.000 persone . Dopo sei giorni il decreto è stato ritirato e il ministro della Giustizia si è dimesso sotto la pressione della piazza.

 

La geografia dei luoghi non è secondaria. “Ci siamo mobilitati da subito radunandoci a Piazza Victoreie, davanti al governo, al grido di Rezist! , la parola d'ordine della rivolta anticorruzione”, dice Alexandra, “persone da tutte le città della Romania sono venute a Bucarest per prendere parte alle proteste, ma anche i molti rumeni che abitano all'estero si sono spontaneamente mobilitati e sono scesi in piazza nelle città di tutto il mondo. Chi ha dei negozi o dei locali in centro ha portato tè e pasti caldi ai manifestanti che chiedevano le dimissioni del governo sotto la pioggia o la neve. Persone comuni hanno offerto ospitalità a chi veniva da fuori, i genitori hanno portato ai cortei i loro bambini per insegnare loro le regole base della democrazia (sono state organizzate addirittura delle proteste di soli bambini) e molti hanno installato sedie e scrivanie per andare a lavorare lì di giorno con i loro computer e mantenere la presenza in piazza invece di andare in ufficio. Insomma, si è creata una solidarietà collettiva, capacità di autogestirsi e ricca di spirito d'iniziativa, a tal punto che ha cominciato a girare una battuta che dice che il governo stesso è il più grande organizzatore di eventi della Romania, quando agisce contro i suoi stessi cittadini”.

 

 

Ovviamente, come in ogni mobilitazione di massa dei nostri giorni, il ruolo giocato da internet e dai social network è stato fondamentale. Le proteste sono organizzate attraverso gruppi pubblici virtuali, nati spontaneamente, “senza leader o partiti che li rappresentano o liguidano” ci tiene a precisare Alexandra. “Non appena le persone hanno cominciato ad incontrarsi per strada e a scambiarsi idee, sono nate numerosissime iniziative su internet, creando, ad esempio, una piattaforma che permette di tenere monitorate le spese, il budget e le decisioni del governo, o anche la diffusione dell'uso di nuove applicazioni come Slack, che aiuta la gestione di gruppi online, o le applicazioni che permettono di mandare messaggi anche senza la connessione dati, che viene meno quando molte persone si concentrano tutte in un punto, come accade puntualmente durante le affollatissime manifestazioni”. Esistono gruppi Facebook di confronto di ogni tipo: Timişoara Civica, da cui si convocano le assemblee e si arriva ad accordi comuni , Geeks for democracy, Coruptia ucide, Lawyers for democracy, #Rezistența, 600 000 for democracy e così via, ognuno con il suo specifico ambito di discussione e d'azione.

 

È interessante notare come la presenza della violenza sia stata minima in tutte le proteste con un'unica incursione avvenuta da parte degli hooligans e sfociata in scontri di piazza, che si sospetta sia stato un patetico tentativo del PSD stesso per screditare il movimento. La folla espelle dai cortei chi è lì per cercare lo scontro e la polizia ha sempre funzionato da servizio d'ordine, semplicemente allontanandoli. “Nessuno vuole che si ripeta quello che è successo durante la Rivoluzione del 1989 quando la rabbia popolare travolse il regime del dittatore filosovietico. Tutti i rumeni hanno ancora vivo il ricordo di quelle mille persone innocenti che sono morte e per cui nessuno è mai stato indagato o tanto meno processato”, continua Alexandra. “A chi avanza dei dubbi sulla possibile presenza di elementi nazionalisti o conservatori in questa protesta vorrei dire: c'è ben poco spazio per le dispute ideologiche quando la classe politica non si comporta in maniera trasparente, mente quotidianamente ai suoi elettori e cerca di decriminalizzare chi ruba il denaro pubblico. È vero che chi protesta viene da realtà diverse, benestanti come appartenenti alla classe media o poveri, di destra e disinistra, giovani, anziani e di mezz'età, ma è stata proprio questa la nostra forza e a renderci per la prima volta tutti uniti contro l'ingiustizia che ci opprime da sempre. Abbiamo fatto tutto questo senza che un leader o un partito si appropriasse del movimento e riponendo tutta la nostra speranza nella reazione della comunità internazionale: quale tipo di nazionalismo farebbe mai questo?”

 

In ultimo ci facciamo raccontare cosa è cambiato nel rapporto tra cittadini e Stato dall'inizio delle proteste. “Adesso sappiamo chi siamo, abbiamo preso coscienza della nostra forza come società civile e tutte le iniziative sono volte a tenere le azioni della classe dirigente strettamente sorvegliate dai cittadini. In questo momento, e per la prima volta nella storia,tutti i rumeni tengono monitorate da vicino le decisioni dei tre poteri, sia legislativo che esecutivo che giudiziario, e si cerca di mantenere alto il livello di attenzione di tutta l'opinione pubblica che reclama giustizia e trasparenza dal proprio stato. Le domande iniziali che hannofatto scoppiare le proteste sono ampliate e intensificate. Si continua ad agire attraverso petizioni, informazione, sit-in e manifestazioni più contenute ma mirate, e l' implemento dell'uso delle piattaforme on-line dove vengono registrate tutte le azioni e le spese delgoverno. Il 22 marzo si è tenuto un dibattito al Parlamento Europeo in cui si sono confrontati delegati inviati sia dal governo che dai manifestanti e l'Unione Europa ha ringraziato chi ha preso parte alle proteste per aver lottato in nome della democrazia e per aver riposto fiducia nei valori europei.

 

Un bilancio di come sia cambiata la percezione collettiva di tutti questi valori si può riassumere nella frase che uno dei bambini portati in Piazza Victoreie ha scritto per terra con il gesso: “Mia madre mi ha insegnato che non si mente e non si ruba. Che cosa vi ha insegnato la vostra?” conclude Alexandra.

La ricaduta del movimento rumeno nell'area balcanica è presto passata dall'encomio dei paesi vicini per il coraggio della popolazione rumena al chiedersi se non potesse essere d'ispirazione anche per i propri problemi nazionali. Tentativi di proteste contro la corruzione nei propri paesi e molte manifestazioni di solidarietà sono state organizzate nei mesi di febbraio e marzo anche in Albania, Bulgaria, Bosnia, Serbia e Montenegro, ed è di questi giorni la notizia delle proteste a Belgrado contro il governo di Vucic, accusato di aver vinto le elezioni grazie a brogli e di cui nelle strade si chiedono le dimissioni al grido di “lopov!”(ladro!).

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