Omaggio ad un maestro / Il Sartre di Franco Fergnani

1 Ottobre 2019

Un maestro

 

Franco Fergnani ha insegnato Filosofia morale all’Università di Statale di Milano per trent’anni, tra i primi anni settanta e l’inizio del nuovo secolo, diventando per molti di coloro che ebbero la fortuna di ascoltare le sue lezioni un vero maestro. Il padre avvocato, Enea, fu militante anti-fascista; catturato dovette subire la reclusione prima a San Vittore e poi, una volta deportato, nel campo di Mauthausen. Di questa sua drammatica esperienza è testimonianza il suo notevole libro titolato Scordatevi di essere vivi. In questa tormentata narrazione appare anche, in un breve squarcio, il figlio Franco, a quei tempi sedicenne, che dovette subire anch’egli una breve e traumatica prigionia nel carcere di San Vittore di Milano che lasciò sulla sua vita una traccia indelebile. 

Gli studi filosofici di Franco Fergnani avvennero sempre alla Statale di Milano sotto il magistero di Antonio Banfi. Dopo aver insegnato in diversi licei milanesi e nel liceo classico Stabili-Trebbiani di Ascoli, nel 1971 ottenne la cattedra di Filosofia morale presso la stessa Università dove insegnerà ininterrottamente sino al 2000. In questo trentennio è stato probabilmente la voce filosoficamente più significativa del nostro paese nella lettura dell’opera di Sartre del quale curò, tra gli altri numerosi testi, l’ultima edizione di L’essere e il nulla. Al filosofo francese dedicò diversi dei suoi corsi universitari e il suo lavoro più significativo titolato La cosa umana, del quale questo libro, che appare nella collana che ho l’onore di dirigere, ripropone il primo intensissimo capitolo dedicato a una rilettura del romanzo filosofico La Nausea

 

Sartre giusto erede di Heidegger?

 

Il Sartre di Fergnani è allievo ed erede radicale di Heidegger. Nella sua prospettiva ermeneutica non è possibile intendere l’itinerario del pensatore francese se non si considera a fondo l’impatto che su di lui ebbe la lettura di Essere e tempo di Heidegger. È la sua opzione di fondo: il magistero di Essere e tempo è imprescindibile per leggere il Sartre di Fergnani. Anzi, secondo la sua interpretazione, Sartre è stato il più fedele erede della lezione di Essere e tempo, tradita invece da altri lettori, ma soprattutto – altra tesi capitale che orienta la sua interpretazione di Sartre – da Heidegger stesso. Non a caso se Heidegger ha decisamente misconosciuto la filiazione di Sartre dalla sua opera, Fergnani, con Sartre, non ha mai risparmiato all’Heidegger successivo a Essere e tempo, al cosiddetto Heidegger della “svolta”, la critica di aver abbandonato il piano etico dell’esistenza per rivolgersi alla centralità ontologica dell’essere reintroducendo una figura del grande Altro – l’Essere – erede, in ultima istanza, del Dio della metafisica più tradizionale. Diversamente l’existence del Sartre di L’essere e il nulla è una ripresa filosoficamente fedele dell’Existenz teorizzata in Essere e tempo da Heidegger stesso, sebbene l’Heidegger della Lettera sull’umanismo avverta, com’è noto, l’esigenza di differenziare con decisione la vocazione ontologica del suo pensiero dall’esistenzialismo sartriano. Ecco il tradimento del padre verso il figlio: Sartre era agli occhi di Fergnani il figlio giusto di Heidegger nonostante Heidegger rigettasse questa discendenza con decisione. Dalla Lettera sull’umanismo in avanti l’Existenz di Essere e tempo era divenuta Ek-sistenz, l’Ek-sistenza, l’essere fuori, l’accedere nell’apertura dell’essere, nella sua Lichtung. Il rifiuto da parte di Heidegger di considerare Sartre come giusto erede non poteva essere più netto. Non siamo, scriveva nella Lettera sull’umanismo, “su di un piano in cui vi sono soltanto uomini” – come invece affermava Sartre in L’esistenzialismo è un umanismo – ma su quello in cui “vi è principalmente l’essere”. 

 

Questa dichiarazione appariva come una sentenza. Quante volte l’ho sentita variamente commentata da Fergnani in aula, come se in essa si giocasse qualcosa di decisivo nel suo stesso modo di leggere la filiazione di Sartre da Heidegger. Perché il Sartre di Fergnani restava il vero erede dell’Existenz di Essere e tempo: la realtà umana è progetto, trascendenza, esposizione, non può essere confusa con una semplice presenza, il suo essere, come amava ripetere, “è “un essere delle lontananze”. L’Heidegger dopo la “svolta” diviene – agli occhi di Sartre e di Fergnani – un pensatore dell’essere che finisce per declassare ogni interesse “umanistico” per l’esistenza come metafisico. Sartre lo accuserà di alienare l’esistenza sotto il dominio anonimo e oscurantista di un Essere che non sarebbe altro se non la riedizione del vecchio Dio della metafisica: 

 

“il primato è l’iniziativa sono dell’Essere: il gettare, l’aprirsi, l’illuminare, il destinare e il donare, il rivelarsi e il nascondersi; è l’uomo, “dimorando nei pressi”, ha da porsi in ascolto, custodire con fedeltà e rendere testimonianza”.

 

Agli occhi di Fergnani l’interrogazione ontologica di Heidegger sulla verità dell’Essere finiva per surclassare la categoria dell’esistenza come Heidegger stesso l’aveva concepita in Essere e tempo. Se Heidegger vedeva nell’umanismo sartriano la perdita della differenza ontologica tra l’essere e l’esistenza e la conseguente riedizione dell’antropocentrismo proprio della tradizione metafisica che da Platone giunge sino a Nietzsche, Sartre vedeva nel primato dell’Essere sull’esistenza affermato da Heidegger un pensiero mistico che finiva per giustificare ontologicamente una alienazione della realtà umana, il suo assoggettamento ad un Altro oscuro e fonte di soppressione della libertà irriducibile della soggettività umana. 

 

La scoperta dell’esistenza: Fergnani lettore di La nausea di Sartre

 

Al centro del romanzo filosofico di La Nausea di Sartre è la scoperta dell’esistenza. Secondo Fergnani questa scoperta non coincide con l’esistenzialismo del pensatore francese ma lo precede. La Nausea non propone ancora una versione esistenzialistica dell’esistenza. Innanzitutto perché non ha già messo a fuoco la differenza che separa l’esistenza umana dalla esistenza delle cose che costituirà invece il cuore della ontologia fenomenologica di L’essere e il nulla dove Sartre fonda in modo rigoroso le categorie fondamentali del suo esistenzialismo. Ni La nausea l’esistenza non è il luogo della libertà, del progetto e della responsabilità assoluta. La sua prospettiva, come mostra con cura questo libro di Fergnani, è assai differente. In gioco non è la differenza tra l’”in sé” (la realtà delle cose) e il “per-sé” (la realtà umana) ma quella tra l’esistenza e l’essere. In gioco è, innanzitutto, la scoperta dell’esistenza dell’esistente, la scoperta della pura contingenza – priva di fondamento – dell’esistenza. In primo piano non è il “pouvoir de néantisation” del per-sé, la trascendenza della sua libertà, teorizzata ampiamente in L’essere e il nulla, ma “il fondo di ingiustificabilità del reale e della stessa presenza umana del mondo”. 

 

 

Franco Fergnani offre una lettura radicale de La Nausea mostrando come i riferimenti a Kierkegaard, Dovstosevskij, Céline, Kafka, Husserl e allo stesso Heidegger, presenti obliquamente, sotto traccia, nelle pagine del romanzo, servano a Sartre per incamminarsi verso la scoperta dell’esistenza come reale assoluto privo di senso, come l’evento di un eccesso che non può essere giustificato da nessun ordine simbolico. La nausea sartriana rivela così l’esistenza non come dono, luogo del senso, Ek-sistenza, non come esperienza di apertura e di trascendenza, ma innanzitutto come bruta fatticità, come protuberanza ingiustificata, “di troppo”. Non esiste, infatti, alcuna causa, alcuna ragione, alcuna necessità che governi l’apparizione dell’esistenza. La scoperta dell’esistenza che Sartre compie attraverso Antoine Roquentin – il protagonista principale del romanzo – è che l’esistenza sfugge ad ogni significazione, coincide con la sua assoluta presenza, con il suo più puro e bruto être-là. È quella che Fergnani definisce precisamente come “l’atmosfera disumanistica” e non semplicemente “anti” o “a” umanistica, diffusa ne La nausea. Nessuna retorica dell’Uomo alla Feuerbach o alla Comte – retorica che nel romanzo viene incarnata dalla triste e patetica figura dell’Autodidatta – può resistere al sisma esistenziale della nausea. Assai più radicalmente del carattere metodico del dubbio cartesiano e della epochè husserliana, il movimento della nausea è destrutturante. L’ordine del mondo non è semplicemente sospeso da un artificio teoretico, ma viene traumatizzato, letteralmente sconvolto, scompaginato nel suo ordine fondamentale. Nondimeno, ed è questo il cammino tracciato da Sartre che Fergnani ci aiuta a ricostruire, è necessario scoprire, svelare l’esistenza poiché nella nostra esperienza quotidiana del mondo essa tende ad essere occultata: l’esistenza è dappertutto, noi siamo solo esistenza, non esiste altro che esistenza, ma l’esistenza non si incontra mai, sfugge ad ogni rivelazione. L’eccedenza dell’esistenza non appare, non è percepita, è in una condizione di eclissi permanente.

 

È il suo paradosso: per un verso l’esistenza è un pieno al quale nessuno può sottrarsi, ma l’esistenza dell’esistenza non si vede, non è una evidenza, non si vive, si trova in una condizione – come l’Essere di Heidegger – di oblio paradossale. In questo senso Fergnani può accostare con profitto la nausea di Sartre che è una esperienza del corpo ad una sorta di “dubbio metodico” o di “epochè” fenomenologica attraverso la quale noi possiamo fare esperienza dell’eccedenza contingente dell’esistenza, possiamo scoprire l’esistenza che siamo e che ci circonda. È necessaria, infatti, una scoperta, una rivelazione che rompa quella cortina di “malafede” attraverso la quale gli uomini si difendono dall’impatto traumatico con la verità che la nausea porta a galla: l’esistenza non ha senso; la sua presenza è di troppo; la ragione non può assorbire e neutralizzare difensivamente la sua eccedenza anarchica. 

L’incontro con l’esistenza scuote il sonno borghese di coloro che credono nel primato del senso e nel “diritto di esistere”. Nella nausea in gioco è una apertura vertiginosa che ha come presupposto la frantumazione delle barriere mondane che ci separano dall’esistenza. La tranquilla cittadina di Bouville dove si svolge il racconto è la cifra di questa rimozione collettiva del carattere assurdo e contingente – infondato – dell’esistenza. I suoi abitanti, infatti, “non sanno di esistere”, scrive Sartre, vogliono credere all’esistenza come dono di Dio, come giustificata alla sua origine, non vogliono scoprire il carattere assolutamente ingiustificato dell’esistenza.

 

Gli abitanti di Bouville, quelli che Roquentin definirà i Salauds (gli sporcaccioni), vivono credendo di avere diritto ad esistere, vivono “sul piano di una metafisica del Mandato o dei Compiti”. Evitano in questo modo di assumere la verità della contingenza senza fondamento e dell’esistenza. La loro vocazione è quella dell’ordine e della stabilità. Essi oppongono la necessità regolare di una vita pianificata all’urto dell’eccedenza ingovernabile dell’esistenza. Essi non vogliono vedere che “l’inaudito l’imprevedibile sono sempre latenti sotto una crosta più o meno sottile di realtà ordinata e addomesticata”. 

Ma l’esistenza umana non è solo consegnata alla sua fatticità irredimibile. Nella sua lettura della nausea sartriana Fergnani esalta anche il polo della via estetica. L’esistenza umana non è solo una contingenza che si dà come “di troppo” e priva di senso, ma è anche “appello all’Essere, aspirazione alla Forma, passaggio all’immaginario in quanto anti-mondo, valorizzazione dell’oggettualità estetica”, possibilità di salvazione della vita, trascendenza rispetto alla fatticità invasiva dell’esistenza. È una opposizione chiave nella lettura che Fergnani ci propone e che spesso a lezione egli faceva risalire alla estrema prossimità di Sartre di La nausea con il Nietzsche della Nascita della tragedia – in particolare quello della Prefazione – secondo il quale l’esistenza del mondo poteva essere giustificata solo come “fenomeno estetico”. Se gli uomini e le cose vivono sommersi dall’esistenza, dalla sua totale gratuità e insensatezza, se essi sono esistenze egualmente di “troppo” e ingiustificate, “al contrario dell’esistenza, l’Essere – scrive Fergnani – si annuncia come ciò che è duro, secco, netto, strizzato dal grasso di ogni fatticità superflua, esterno al mondo dai contorni incerti delle linfe e degli sciroppi organici; è struttura di melodia, rigorosità del corpo geometrico, invenzione nella compiutezza delle linee e del ritmo” . L’essere si sottrae all’esistenza introducendo un tempo che non risulta intaccato dalla molle e informe fatticità dell’esistenza.

 

Mentre nell’ontologia dualistica di Essere e il nulla Sartre insisterà sulla doppia polarità costitutiva della realtà umana – divisa bipolarmente tra fatticità e trascendenza – che scinde, se così si può dire, internamente l’esistenza umana, in La Nausea la divisione è innanzitutto quella tra essere e esistenza. La salvezza non è nella trascendenza della soggettività, nella sua libertà radicale, ma nell’ aspirazione verso l’irrealtà estetica dell’immaginario. È una inclinazione dell’umano che ritroviamo anche nel protagonista di La Nausea. Roquentin vorrebbe fuggire dalla nausea dell’esistenza rifugiandosi in un mondo di carta, per poi scoprire però – impattando con il reale senza senso dell’esistenza – che il mondo delle spiegazioni e delle ragioni, il mondo della forma e delle immagini, non coincide con quello dell’esistenza. Non a caso questo motivo verrà ripreso dal Sartre più maturo, quello della monumentale biografia su Flaubert titolata L’idiota della famiglia. La fuga di fronte al carattere assurdo dell’esistenza avviene per Gustave attraverso la pratica della scrittura come edificazione di un “antimondo” capace di derealizzare il mondo reale, come negazione del mondo dell’esistenza nel nome della realizzazione dell’essere. Ma in La Nausea l’esistenza non è ancora una figura “esistenzialista”. Non è progetto, libertà, responsabilità, trascendenza che cerca di strapparsi dalle concrezioni fatticistiche che la insabbiano. Per Fergnani Sartre in La Nausea non congiunge ancora l’esistenza alla libertà, ma la inchioda ad una eccedenza che pare rendere impossibile la libertà se non nella forma del potere irrealizzante dell’immaginario e della aspirazione verso l’essere come menzogna sul reale dell’esistenza. Mentre ne La Nausea la scoperta dell’esistenza coincide con la scoperta di una eccedenza informe e ingiustificata, massa amorfa disgiunta dal senso che costringe alla capitolazione l’intero assetto valoriale della metafisica e del mondo borghese che su quell’assetto inconsciamente si costituisce, dopo La Nausea, seguendo la lettura di Fergnani, “l’identità concettuale tra esistenza e contingenza o tra esistenza e fatticità si spezza, le due nozioni vengono nettamente distinte… il termine esistenza viene riservato, di principio, alla realtà umana…”.

 

Nondimeno l’aspirazione all’essere di cui parla La Nausea come fuga dall’esistenza ritorna, in realtà, anche in Essere e il nulla e, per certi versi, in tutto il lavoro successivo di Sartre come una sorta di vocazione nostalgica che impregna fatalmente la natura umana del desiderio. Lo slancio del desiderio (désir d’être, in L’essere e il nulla) si rivela infatti aspirato dalla figura della totalità, a una sintesi sempre agognata e sempre impossibile, a un ideale di acquietamento e di regressione totalizzante. È la grande tentazione che attraversa l’umano e che anche la psicoanalisi incontra nella sua pratica: cancellare la propria mancanza, annullare lo scandalo dell’esistenza, la sua eccedenza, farsi desiderio d’essere, ovvero, pulsione di perdita nella spinta a congiungere essere e esistenza. Lo scandalo dell’esistenza è che pur essendo l’esistenza senza Dio, essa non cessa comunque di aspirare a Dio come simbolo di una sua totalizzazione impossibile e, in questa aspirazione, a negarsi come esistenza perseguendo il miraggio puro e compatto di una condizione d’essere sollevata dal suo peso. 

 

Questo testo apre il volume Jean-Paul Sartre, la scoperta dell'esistenza di Franco Fergnani, ultimo numero, appena uscito, della collana Eredi diretta da Massimo Recalcati.

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