Speciale

Italia terra dei luoghi

15 Novembre 2015

Sono trascorsi quarant’anni dalla notte tra il 1° e il 2 di novembre in cui Pier Paolo Pasolini è stato assassinato a Ostia, un tempo lungo e insieme breve. La sua figura di scrittore, regista, poeta e intellettuale è rimasta nella memoria degli italiani; anzi, è andata crescendo e continua a essere oggetto di interesse, non solo di critici e studiosi, ma anche di gente comune. Pasolini è uno degli autori italiani più noti nel mondo. In occasione delle celebrazioni promosse dal Comune di Bologna, dalla Fondazione Cineteca di Bologna, e all’interno del progetto speciale per il quarantennale della morte, che si articola in un vasto e ricco programma d’iniziative nella città dove Pasolini è nato e ha studiato, doppiozero, media partner, ha scelto di realizzare uno specifico contributo. Si articola in tre parti. Interviste, lettere e poesie. Oggi proseguiamo con la seconda: lettere che scrittori e saggisti indirizzano a Pier Paolo Pasolini, come se lui potesse leggerle.

 

Pubblichiamo oggi uno degli interventi ricevuti dai nostri lettori.

 

 

Caro Pier Paolo,

lasciami essere sincero: ti ho amato e ti ho odiato, come credo tanti della mia generazione. Ti ho amato nella faccia insolente e disgraziata dell'accattone nelle strade abbaglianti delle borgate romane. Nel vitalismo coraggioso e disperato di Mamma Roma. Nel volto palestinese e giottesco dell'evangelista. Nel corpo bulimico del ladrone buono che muore in croce. Per me sono questi i tuoi film più belli ed emozionanti. Quelli che parlavano di un'Italia al presente e che non avresti più raccontato nei film successivi. Perché quell'Italia non c'era più, era venuto del tutto meno il soggetto della tua ispirazione, che ritrovavi magari nelle mura della meravigliosa Sana'a, appellandoti alla “scandalosa forza rivoluzionaria del passato”. Ora a Sana'a è solo morte e terrore.

 

Ti ho odiato quando in una tua poesia, divenuta famosa, avevi simpatizzato con i poliziotti negli scontri con gli studenti universitari di Valle Giulia, a Roma. A guidare l'attacco contro i poliziotti “figli dei poveri”, Pier Paolo, non furono i “figli di papà” del movimento studentesco, ma i fascisti di Avanguardia Nazionale capeggiati dal mostro Stefano Delle Chiaie. Sono andato a rileggerla quella poesia: è davvero una brutta poesia, intrisa di un livore quasi razzista verso quei giovani “borghesi” in rivolta e i loro “schifosi papà”. Io, figlio di un padre carabiniere e di una madre casalinga emigrati dalla Sardegna, vent'anni appena compiuti, studente lavoratore, stavo dalla loro parte. Che non vuole dire che stavo contro i poliziotti poveri cristi, ma semmai contro l'istituzione Polizia. Mi piaceva la tua voce, più che la tua scrittura. Ricordo che dopo poche pagine chiusi Una vita violenta e mai lessi altro delle cose scritte da te, e tanto meno su Il Corriere della Sera, il giornale dei padroni.

 

Ti ho vissuto come cineasta e uomo dell'oralità, della parola parlata – che rompeva la lingua stantìa  degli studi televisivi, quella liturgica delle interviste, era protagonista pensante di diversi tuoi film, –, ignorandoti del tutto come scrittore, saggista e poeta. Perdonami, ora che ti scrivo mi viene voglia di rimediare. Sei stato un testimone scomodo, scandaloso, della devastazione antropologica del Paese, che denunciavi così appassionatamente. Scomodo e scandaloso anche nella morte. Orfani della tua voce, la metastasi continuò, aggravandosi, senza incontrare molte resistenze. Il popolo divenne la pancia del Paese, cioè esattamente quello che stavi profetizzando inascoltato. E in realtà anche peggio, perché siamo arrivati al punto di rimpiangere quell'Italia tua, nostra, persino la famigerata Democrazia Cristiana di allora, che oggi non c'è più. Avevi visto giusto e lontano, anche per conto del mio sguardo miope, che non credeva molto alla tua teoria dell'omologazione degli italiani.

 

Era insolita e affascinante la tua voce, così mite nel dire cose atroci, sdegnata e gentile insieme, un po' come se volesse addolcire la gravità del tuo pensiero, scioglierla nell'affabilità dell'accento emiliano appreso a Bologna. A volte era un po' frettolosa e perentoria, tirata fuori dall'urgenza del dire, ma sempre chiara e onesta, riconoscibile, incapace di nascondersi e di nascondere. La tua voce era la tua bocca, i tuoi occhi, la tua faccia ossuta da boscaiolo, da campesino, da minatore, il tuo corpo. Dovremmo uscire dalla pancia, dal ventre molle e soffocante di questa nostra patria che non è una patria. Tendere l'orecchio, ascoltare le nostre voci e quelle dei nuovi italiani, della terra e del mare, delle piante e degli uccelli, innamorarci dei loro rinati suoni, riempire di altre parole l'aria vuota in cui galleggiamo come fantasmi muti. Farci voce e corpo.

 

Sì, ho 67 anni, e sono sempre più pessimista. Un uomo anziano con una discopatia più che incipiente. A vedermi sembro più giovane, al contrario di te, Pier Paolo, che hai vissuto tutta la vita che dovevi vivere in un tempo breve e senza mai risparmiarti. Una vita di cui ci hai fatto dono generoso e difficile da contraccambiare. E infine il tuo sguardo – il tuo sguardo febbrile dietro la macchina da presa appoggiato sulla città di Orte, in quel breve e bellissimo documentario prodotto dall'odiata Televisione. Allargavi l'inquadratura e la forma perfetta dell'antica città di Orte veniva deturpata da corpi estranei scagliati sui luoghi dalla cosiddetta società del benessere. Allora erano in pochi ad accorgersene – gli occhi ancora puntati sulle grandi fabbriche ormai morenti – e questa indifferenza diffusa all'estetica del paesaggio ti amareggiava profondamente.

 

Nell'esplorazione dei luoghi, caro Pier Paolo, oggi non saresti più solo. Abbiamo faticosamente iniziato a educare i nostri occhi, a ripulirli. Gente come te per la quale il modesto sentiero in pietra che conduce alla porta di Orte ha bisogno di cure e di amore quanto la Cappella Sistina. Se c'è una speranza possibile è che l'Italia torni ad essere la terra dei luoghi.

Ciao.

 

                                                                                            

Milano, 27.09.1015

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