Callas e Pasolini: un amore
“Signor Pasolini è vero che sposerà la Callas?”. Ai professionisti del pettegolezzo non sembrava vero: per una volta era consentito loro ficcare il naso negli affari dell’inafferrabile Pier Paolo. Perché finalmente si presentava l’occasione buona per demolire, a colpi di chiacchiere da osteria, lo scrittore, il poeta, il regista meno incline ad assecondare la roulette della maldicenza. L’uomo indifferente alle voci maligne che si addensavano alle sue spalle. L’intellettuale che si sentiva escluso dalla realtà del suo tempo. E proprio per questo non smetteva di indagarla, di metterla a nudo, con un’insaziabile fama di conoscenza e demistificazione.
Quell’occasione era arrivata, come un dono inaspettato ai professionisti della maldicenza, nel novembre del 1968. Quando PPP aveva stupito tutti accettando il suggerimento del produttore Franco Rossellini: sarebbe stato il soprano Maria Callas la sua Medea nel progetto di film tratto dalla tragedia di Euripide (dopo l’Edipo re da Sofocle).
Lo stupore dei giornalisti non era dettato solo dal fatto che la Callas aveva sempre respinto le avance del cinema. Ma, soprattutto, dalla certezza che la straordinaria voce lirica stava attraversando una fase davvero complicata della sua vita. Visto che lo straricco armatore greco Aristotele Onassis aveva deciso di scaricarla, senza fare troppi complimenti, dopo nove anni di convivenza. Per sposare la donna più corteggiata d’America: Jacqueline Bouvier, vedova di John Fitzgerald Kennedy.
Se non bastasse, sul finire degli anni ‘60, i più ascoltati esperti del bel canto avevano decretato per Maria Callas la fine imminente della sua carriera. Soprattutto dopo gli improvvisi attacchi di afonia e gli evidenti cedimenti della voce, che avevano accompagnato alcune esibizioni della Divina. Forse dovuti anche a un drastico programma di dimagrimento, che le aveva fatto perdere oltre trenta chili (la leggenda dice che della strampalata dieta facesse parte anche l’ingestione di un uovo di verme solitario), donandole una leggiadria in scena fino ad allora inimmaginabile. Ma togliendo alla sua estensione vocale quella potenza e quelle coloriture che anche i più feroci detrattori erano obbligati a riconoscerle.
Pasolini, insomma, l’aveva scelta in un periodo piuttosto complicato. E non era stato lì a offendersi quando qualcuno gli aveva riferito i commenti non certo lusinghieri della Divina sul suo enigmatico film Teorema: “Se n’è andata a metà della proiezione, scandalizzata”, sussurravano i bene informati.
Maria Callas, poi, non aveva mai fatto mistero delle sue idee. Ai giornalisti ricordava, ad esempio, che nel 1965 era già stata corteggiata per vestire i panni di Medea in un film di Carl Theodor Dreyer. Però, senza troppe cerimonie, aveva detto di no al maestro danese di Passione di Giovanna d’Arco, Vampyr e Dies irae.
Viene da pensare, allora, che Pasolini l’avesse conquistata perché non era entrato mai in rotta di collisione con lei. Nemmeno quando la Divina s’era dimostrata un tipetto battagliero, che confessava con ammirevole schiettezza: “La prima volta che ho parlato con Pier Paolo, non mi ha persuaso. Io ho attaccato gli intellettuali che sono troppo difficili e portano via la verità alle cose, stanno con il naso sui libri e non vedono la vita”.
E Pasolini? Non si era risentito per quelle parole. Anzi, in un’intervista concessa allo scrittore Jean Duflot aveva confidato di essersi trovato, per la prima volta, a pensare un film, a scrivere la sceneggiatura, sapendo fin dall’inizio che Medea sarebbe stata proprio lei: Maria Callas. Perché arrivava “da un mondo contadino, greco, agrario, e poi è stata educata per una civiltà borghese”.
Vedeva in quella donna, insomma, l’artista perfetta per vestire i panni della nipote del Sole, della maga che discendeva da Circe (oppure, secondo Diodoro Siculo, dalla potentissima Ecate). Della figura maledetta che ucciderà per amore suo fratello, che tradirà la sua gente per consegnare ai greci il Vello d’oro. E che, poi, finirà per ammazzare anche i suoi figli, vendicandosi del fedifrago marito Giasone. Perché quell’uomo era il simbolo stesso di un popolo che aveva smarrito irrimediabilmente il suo omphalos: il centro di gravità che permette di essere umani e divini al tempo stesso.
Ma com’era nata, da tutto questo intreccio di fascinazioni mentali e convergenze umane, la voce che Pasolini avrebbe sposato la Callas? Lo racconta molto bene la mostra Pier Paolo Pasolini e Maria Callas. Cronaca di un amore, curata da Silvia De Laude e Giuseppe Garrera, aperta fino al 24 marzo al Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia in Friuli (da martedì a venerdì dalle 15 alle 19, sabato e domenica anche dalle 10.30 alle 12.30).
Alle immagini in mostra si accompagna un originale e godibilissimo libro, che porta lo stesso titolo Pier Paolo Pasolini e Maria Callas. Cronaca di un amore, pubblicato da Ronzani Editore sempre a cura di De Laude e Garrera (pagg. 127, euro 26), che attraversa i giorni delle riprese di Medea insaporendoli con il ghiotto pettegolezzo nato sul set: ovvero, l’amore tra il regista e la sua estemporanea attrice. E lo fa spulciando le pagine dei principali quotidiani, ma soprattutto dei rotocalchi, non solo italiani. Nella caccia allo scoop, infatti, si ritrovarono intruppate sul finire degli anni ‘60 grandi firme come quelle di Natalia Aspesi (a cui “Il Giorno” abbinò il terrificante titolo “Perso il ricco tiranno Maria regina cattiva azzarda la strada dell’intelligenza”), Oriana Fallaci e Grazia Livi spalla a spalla con i professionisti del pettegolezzo arruolati nelle redazioni di “Novella 2000”, “Grand Hotel”, “Annabella”, “Tv Sorrisi e Canzoni”, senza trascurare il rusconiano “Gente” e il rizzoliano “Oggi”.
Nella caccia frenetica alla notizia si trovarono coinvolte anche testate più seriose come “L’Europeo” e riviste europee come le francesi “Match Paris” e “Noir et Blanc”, le spagnole “Ondas”, “Semana” e “Garbo”, oltre a “Il Progresso Italo-Americano”. Consentendo alla fascistissima truppa di “Il Borghese” di lanciare dardi avvelenati contro uno dei suoi bersagli preferiti: quel Pasolini dichiaratamente omosessuale e comunista che, malgré lui, si trovava ad alimentare la ghiotta favola dell’amore impossibile per il cuore infranto della Callas.
Perfino un poeta schivo e del tutto estraneo alla fiera della chiacchiera come Andrea Zanzotto, veneto di Pieve di Soligo, in una lettera indirizzata a Pasolini nell’ottobre del 1969 imbastiva una sorta di scherzosa poesiola che iniziava con “Ho sentito voci su un tuo matrimonio”. E proseguiva con una serie di beffardi consigli sul perché non dovesse farlo “né con uomo né con donna, né con creatura sovrumana né con scimmia brasiliana”, perché così sentenziava Nino Mura, il Duca della rosada di Rolle, come lo aveva soprannominato Giovanni Comisso. Una sorta di alter ego del poeta che fa capolino un po’ in tutte le sue raccolte di versi. Ed è protagonista assoluto dei Colloqui con Nino, rimasti per tanti anni sepolti tra le carte di Zanzotto, poi pubblicati nel 2005.
A credere nell’amore tra Pasolini e la Callas, sembrerebbe di capire, erano soltanto gli addetti ai pettegolezzi. E invece no. Tanto che Giuseppe Zigaina, pittore devoto al realismo figurativo e buon amico di Pier Paolo, scriverà un racconto intitolato L’anello. Per spiegare come avesse preso forma un simile equivoco attorno al regista e alla Divina.
Il fatto è, raccontava il pittore, che Pasolini sul set s’era davvero invaghito della totale dedizione di Maria al ruolo di Medea, della sconfinata disponibilità della cantante a sottoporsi a fatiche bestiali per rendere il suo personaggio indimenticabile. Lei aveva rischiato perfino di morire bruciata, quando gli abiti di scena erano andati a fuoco sul set a Grado. E spesso era svenuta dopo estenuanti ore di trucco e di ripetizione dei diversi ciak.
Pasolini era così ammirato da tanta professionalità e dedizione al lavoro di recitazione da provare il desiderio di scrivere una lettera a Maria: “Oggi ho colto un attimo del tuo fulgore, e tu avresti voluto darmelo tutto. Ma non è possibile. Ogni giorno un barbaglio, e alla fine si avrà l’intera, intatta luminosità”. E ancora: “Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poter essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia”.
Frasi che potevano dettare interpretazioni ambigue soltanto a chi le leggeva con malizia. Ma poi, quando nelle redazioni cominciarono ad arrivare le foto di Mimmo Cattarinich, che immortalavano la Callas e Pasolini a baciarsi come due appassionati amanti, o a tenersi per mano come fidanzatini, dentro e fuori il mondo del cinema prese prepotentemente forma la convinzione che la Divina fosse riuscita a convertire il poeta friulano a un amore meno scandaloso.
Ma non basta. Per suggellare quella straordinaria sintonia, mai provata da Pasolini in maniera così intensa nemmeno davanti alla spettrale carnalità di Silvana Mangano di La Terra vista dalla Luna, Edipo re e Teorema, il regista si consigliò con Zigaina per regalare alla Callas qualcosa che le ricordasse per sempre i giorni di Medea. E senza dare troppo ascolto alle perplessità dell’amico artista, decise di acquistare un anello: un’antica moneta di bronzo montata sull’argento.
La prima a lasciarsi fuorviare dal significato vero di quel regalo fu la Callas stessa. “Maria corse a mostrarmelo tra una ripresa e l’altra”, scriveva Zigaina. “Pensi che voglia dire che mi ama? chiese con l’eccitazione di una bambina. L’altro giorno mi ha detto che sono l’unica donna che abbia amato dopo sua madre. Ha detto perfino che se provasse attrazione per una donna, la proverebbe per me”.
Di lì a poco, il giornalista Giuseppe Grieco sarebbe andato a stuzzicare nientemeno che Susanna Colussi Pasolini. Ovvero, la madre più innamorata di suo figlio che esistesse in un paese di mammoni come l’Italia. E lei, senza pensarci su due volte, era andata dritta al punto: “La Callas è l’unica donna che mio figlio può sposare”.
Parole che avevano il peso di un sigillo papale su quella storia. Tanto che, pochi giorni dopo, la rivista francese “Noir et Blanc” non avrebbe esitato a esagerare. Decise di accompagnare, infatti, a una foto di mamma Pasolini e Maria, colte in un affettuoso conciliabolo, un’eloquente didascalia: “Déjà, entre elles, existe une affection quasi familiale”.
A quel punto, i dubbi di chi non avrebbe scommesso una lira su quella storia erano destinati a finire in un cassetto. Nelle redazioni, la parola d’ordine dei capiredattori adesso era: “Avanti tutta sull’amore Pasolini-Callas”. Senza dare più adito alle perplessità dettate dal fatto che il povero Pier Paolo, proprio in quel periodo, invece di pensare a Maria soffriva per il suo travagliato rapporto amoroso con il giovanissimo Ninetto Davoli.
Così, giorno dopo giorno, avevano iniziato a fioccare sui tavoli dei giornalisti sempre nuove foto dei due fidanzati colti in una pausa della loro romantica gita a Venezia. Oppure in vacanza a Tragonissi, ospiti nell’isola dell’Egeo del miliardario greco Perry Embiricos. O, ancora, stretti stretti sottobraccio a Caserta, con un sorriso grande così da esibire per il paparazzo di “Oggi”.
A condire le cronache romantiche, poi, non potevano mancare i commenti al veleno di chi non avena mai digerito le intransigenti staffilate corsare inflitte da Pasolini alla società dei consumi, ai politici corrotti, ai faccendieri che spadroneggiano in Italia. E se “Il Borghese” non avrà la fantasia di andare oltre i livorosi commenti sull’inguaribile preferenza di Pier Paolo per i maschi (“La donna vera non sconfiggerà i ragazzi del Porcile”), altri giornalisti cercheranno di mettere in imbarazzo il regista-poeta accusandolo di essersi rammollito davanti alla dolce vita del jet-set. Tanto che lui, negli Appunti per un’arringa senza senso inseriti nella raccolta di versi Trasumanar e organizzar, scriverà: “Frequentare il mondo dei ricchi è mancanza grave: / il codice non parla di pena, trattasi tuttavia di reato”. E ancora: “Un comunista che si rispetti evita certe compagnie”.
Non era soltanto Zanzotto, in quel periodo, a interrogarsi sulle amorose chiacchiere che inseguivano Pasolini. Laura Betti, autoproclamatasi “unica donna degna di stare al fianco di Pier Paolo” secondo quanto diceva il cugino Nico Naldini, non aveva preso affatto bene l’idea che il poeta-regista potesse convolare a nozze con la Callas. Tanto da regalare a Renato Barneschi di “Oggi” un titolo che sintetizzava tutto il suo fastidio: “Se sposa Pier Paolo la graffio”.
Rispondendo alle domande del giornalista, l’attrice, che aveva indossato malvolentieri i panni della servetta Emilia, in odore di agreste santità, in Teorema, esprimeva tutta la sua incredulità sull’ipotesi del matrimonio: “Non voglio crederci, mi pare francamente una prospettiva incredibile”. Poi, però, lasciava aperto uno spiraglio al dubbio: “Se la faccenda dovesse farsi veramente seria, se capissi che questo rischio c’è, non starei certo a guardare”. Insomma, a dirla tutta, non avrebbe esitato a sfoderare le unghie. “Per Pier Paolo rischierei anche di passare agli occhi della gente per una piccola tigre borghese”.
E mentre aspettava di capirci un po’ di più, Laura Betti era passata alle vie di fatto con Dario Bellezza. Sfoderando davvero le unghie di piccola tigre borghese. I dettagli dello scontro venivano descritti in una lettera spedita dal poeta romano il 14 agosto del 1970 a Pasolini. E lo stesso giorno anche a Enzo Siciliano, in forma leggermente diversa. Chiarendo che non era “solo per un bisogno di pettegolezzo provvisorio che ti scrivo, né per protestare le mie ragioni, ma solo per metterti al corrente dei fatti, dato che tu sei una delle pochissimo persone che mi vuol bene e che io amo”.
Chiacchierando con altri amici su una barca diretta verso le Isole Tremiti, Laura Betti “si è messa a fare il suo pezzo su di te, sul cagnolino della Callas. Io, debolmente, le ho fatto notare che molto di quello che ha avuto dalla vita, lo deve a te”. Immediata e violenta era stata la reazione dell’attrice, che aveva insultato Bellezza senza porsi freni: “Sta zitto frocio! Difendi la categoria! Poeta di terza tacca!”. La lite era degenerata quando lui l’aveva presa a schiaffi, mentre lei tentava di impossessarsi dei suoi occhiali per distruggerli.
E Pasolini com’era riuscito a non farsi travolgere da questo polverone? Semplice, aveva accuratamente evitato ogni commento. Solo gli amici più fidati, molti anni dopo la sua morte, avrebbero raccontato che grazie all’affetto di Maria, Pier Paolo era sopravvissuto a un periodo pieno di angosce e delusioni, non ultima quella di sapere che il suo amato Ninetto si sarebbe sposato.
Lui stesso ammetteva che l’intenso rapporto con la Callas aveva saputo allontanarlo dall’idea di farla finita con la vita. Tanto che, in una lettera, Pasolini era riuscito a esprimere il senso profondo di gratitudine che provava per la sua Medea. Arrivando a definirla “la donna che ho amato di più dopo mia madre”.
In un’altra delle numerose lettere, poi, le scriveva: “Cara Maria, stasera, appena finito di lavorare, su quel sentiero di polvere rosa, ho sentito con le mie antenne in te la stessa cosa che ieri tu con le tue antenne hai sentito in me. Un’angoscia leggera leggera, non più di un’ombra, eppure invincibile”.
Non deve stupire, allora, se Pasolini ha saputo attraversare la bufera Callas trincerandosi dietro un dignitoso silenzio. Ai giornalisti non smetteva di ripetere: “Considero le questioni sentimentali faccende strettamente private”. E ancora: “Ho già detto che non intendo rispondere alla domanda se sposerò Maria Callas. Sono cose troppo personali”. Del resto, il regista e scrittore sapeva bene che “sul piano artistico il matrimonio tra me e Maria c’è già stato. Abbiamo girato un film e ci siamo accorti di avere lavorato bene insieme. Forse ne faremo presto un altro”.
Quelle poche parole era bastate, però, a rimettere in caccia i professionisti del pettegolezzo. E se dalla Spagna arrivava la clamorosa notizia (poi smentita) che sarebbe stato lo stesso Onassis a produrre Pasolini per un “nuovo film tratto da un testo teatrale” con la Callas, visto che il matrimonio con Jacqueline Kennedy sembrava ormai traballare, il rotocalco italiano “Annabella” smorzava l’entusiasmo. Annunciando che nel Decameron la Divina non avrebbe trovato il suo ruolo.
La storia finiva lì.
Anzi, no, perché molti anni dopo, Dacia Maraini avrebbe confermato, in un’intervista a Eugenio Murrali del “Corriere della Sera”, il tormento d’amore confessato da Maria durante un viaggio in Africa: “Sperava di poter sposare Pier Paolo. Io provavo a dirle che mi pareva difficile. Sapeva che era omosessuale, ma pensava di poterlo cambiare. Era dolcissima in questo sogno infantile. Nella vita era candida e ingenua”.
Ma era davvero lei, il soprano più corteggiato del mondo, per cui Pier Paolo sarebbe stato disposto a rinunciare alla sua preferenza per gli uomini? A rileggere Oriana Fallaci sembrerebbe di no. Su “L’Europeo”, pochi giorni dopo l’assassinio di Pier Paolo sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975, infatti avrebbe scritto: “So che due volte, nella vita, hai provato ad amare una donna, restandone deluso. Ma non credo che una di queste due donne sia stata Maria”.
Eppure, dopo tutte queste chiacchiere, rimane indelebile il suono delle parole di Pasolini. Quelle che il regista e poeta affidò alla raccolta Trasumanar e organizzar, dedicandola in parte a Maria Callas. Dove dice: “Ho un affetto più grande di qualsiasi amore / su cui esporre inutilizzabili deduzioni. / Tutte le esperienze dell’amore / sono infatti rese misteriose da quell’affetto / in cui si ripetono identiche”.
Versi che corrono verso un finale di straziante bellezza: “Io credo / che questo affetto altro non sia che un pretesto / per sapere di avere una possibilità – l’unica – / di disfarsi senza dolore di se stessi”.
In copertina, Pier Paolo Pasolini e Maria Callas. Marechiaro di Anzio, 1969. Foto di Mario Tursi.