Deborah Willis: l'amore naufraga su Marte

9 Novembre 2024

Il volto e la maschera. La banalità di essere e il fascino illusorio di apparire. Nessuno, forse, ha esplorato meglio di Luigi Pirandello questo ambiguo percorso. Nel racconto “La realtà del sogno”, datata 1914 e pubblicata nelle Novelle per un anno, lo scrittore di Agrigento annotava: “Fingiamo tutti spontaneamente, non tanto innanzi agli altri, quanto innanzi a noi stessi; crediamo sempre di noi quello che ci piace credere, e ci vediamo non quali siamo in realtà, ma quali presumiamo d’essere secondo la costruzione ideale che ci siamo fatti di noi stessi”.

Erano gli anni in cui lo scrittore siciliano metteva a fuoco, nella società dì inizio ‘900, il concetto che “nulla è più complicato della sincerità”. Convinto che, per stare comodi dentro la realtà, sia più facile adattarsi alla recita di uno, nessuno e centomila parti del copione che la vita propone. Dal momento che fingere un’identità eroica, fascinosa e roboante, bella da esibire agli occhi degli altri, può risultare assai più divertente che rassegnarsi a mostrare sempre e soltanto il proprio volto da normalissimo galantuomo.

Ma anche Pirandello, nella sua lucida lettura della commedia umana, era ben lontano dall’immaginare che, di lì a qualche decennio, la voglia scintillante e prepotente di apparire avrebbe finito per travolgere l’anonima tentazione di essere. Grazie a un mezzo di comunicazione e di intrattenimento di massa come la televisione.

L’irresistibile ipnotista catodico si è rivelato capace di imporre in fretta una strisciante omologazione, la dilagante spersonalizzazione che ha finito per dare corpo al timore di un‘alienazione di massa tante volte paventata da Pier Paolo Pasolini. Quella stessa mistificazione dell’essere in cui, a dettare le regole, sarebbe stata l’ansia sempre più prorompente di vivere 15 minuti di celebrità. Tempo minimo, ma irrinunciabile, che Andy Warhol profetizzò come destino futuro per le persone più anonime e insignificanti.

Non occorre soffermarsi, poi, sul fatto che i social network hanno perfezionato la reificazione ipertrofica dell’io, che Carlo Emilio Gadda definiva “il più lurido di tutti i pronomi”, regalando a ognuno di noi la possibilità di trasformarci nel protagonista assoluto di una vita del tutto effimera, intrisa di una prorompente e fasulla felicità, da esibire a beneficio degli altri.

Marciando spediti in questa direzione, è possibile, allora, che la ricerca di un posto in prima fila sul palcoscenico della vita richieda il sacrificio della vita stessa? Pur di non sparire nel gorgo incolore dell’anonimato? È uno dei temi attorno a cui Deborah Willis, la scrittrice canadese nata e cresciuta a Calgary, Alberta, ha costruito uno dei più folgoranti racconti contenuti nel suo libro Il buio e altre storie d’amore (tradotto da Costanza Fusoni, Paola Del Zoppo e Michela Sgammini per Del Vecchio Editore nel 2019). Cioè quel La mia ragazza su Marte, che in seguito ha deciso di riprendere, riscrivere e trasformare nell’omonimo romanzo, tradotto nel 2023 da Paola Del Zoppo per Bollati Boringhieri (pagg. 395, euro 19).

Come nei suoi racconti (altri piccoli gioielli sono contenuti nell’antologia intitolata Svanire, tradotta da Anna Baldini e Paola Del Zoppo nel 2012 per Del Vecchio Editore), anche nel romanzo La mia ragazza su Marte Deborah Willis non intende mettere in scena una storia dominata da un teorema predefinito. No, la scrittrice canadese preferisce puntare lo sguardo su una realtà assai simile alla nostra. Meticcia, liquida, in continua mutazione. Concedendosi soltanto un leggero sfasamento temporale, per essere più libera di analizzare e descrivere le inquietudini che l’hanno spinta a inventare la storia.

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Per questo, La mia ragazza su Marte potrebbe trovare modi diversissimi per essere raccontato. Di sicuro è la storia d’amore di Amber e Kevin, uniti da un’attitudine da nerd e dalla grande passione per la coltivazione casalinga di marijuana. Rapporto di coppia solido e fragile al tempo stesso, visto che lei si annoia e prova un gran desiderio di inventarsi un’altra vita. Di essere protagonista di qualcosa di grande, di emozionante. Mentre lui la crede felice così, nella loro bolla dove combattono una guerra sorniona, e armata con gli arzigogoli dell’utopia, contro il mondo.

Ed è proprio dentro gli interstizi di quell’amore così solido, e minato dallo spettro dell’insoddisfazione, che si insinua il canto delle sirene di un folle reality show. Il progetto MarsNow sta selezionando candidati disposti a imbarcarsi per un viaggio senza ritorno alla volta di Marte. Un suicidio programmato, è evidente, dato che il pianeta rosso non offre possibilità di sopravvivenza per gli umani.

Eppure, il colpo di genio dell’asfissiante battage pubblicitario è quello di raccontare la gloria immensa che attende nello spazio i due prescelti al viaggio interstellare. Usando i toni dell’epica, che li renderà immortali. Che li isserà su un piedistallo come autentici e coraggiosi pionieri di un futuro trasferimento di migliaia di individui in un mondo nuovo. Quando la Terra non sarà più un luogo abitabile.

Avvincente e apocalittico, attento alle sfumature del cuore umano e implacabile verso chi sta distruggendo il nostro pianeta, inventando sciagurate e irrealizzabili soluzioni alternative di sopravvivenza, La mia ragazza su Marte è un piccolo gioiello che sa stare in perfetto equilibrio tra raffinata capacità di scrittura e intelligenti ibridazioni con la cultura pop. E che allunga un affettuoso sguardo sullo stile di vita di chi si sottrae ai riti ossessivi della società. Pur senza smettere di proporsi come glaciale punto d’osservazione su chi specula sulle vite degli altri, mentre indossa la maschera del benefattore, del promotore di sempre nuove forme di intrattenimento. Profeta del nulla mediatico, dalle mani apparentemente pulite, che si rivelerà cinico profittatore capace di pensare soltanto al proprio tornaconto. Anche a costo di diventare spacciatore di morte.

“Quando ho scritto il racconto La mia ragazza su Marte sapevo già che sarebbe, poi, diventato un romanzo – spiega Deborah Willis, che è stata ospite di Pordenonelegge –, perché conteneva la migliore idea che mi sia saltata in testa da quando ho iniziato a scrivere. Forse, addirittura la mia migliore idea in assoluto. Proprio perché portava dentro di sé i riferimenti a un pianeta misterioso come Marte, le dinamiche dei reality televisivi, l’indifferenza verso la Terra ormai al collasso. Nella storia, poi, i personaggi sono così veri che, in parte, si portano dentro anche qualcosa di me”.

Il racconto è stato una prova generale del romanzo?

In effetti non mi sentivo pronta per espandere il racconto in un romanzo. Così, per anni, mi sono dedicata a scrivere tutta un’altra storia, andando incontro a un totale fallimento. Quando ho capito che quella strada narrativa era completamente sbagliata, che mi avrebbe condotta solo a perdere tempo, mi sono resa conto di essere terribilmente in ritardo. Il mio editore, infatti, voleva che gli consegnassi un romanzo. E io? Avevo perso due anni senza combinare niente di buono.

E allora?

Panico totale. Non avevo un manoscritto pronto da potergli sottoporre. Poi, mi sono ricordata di questo racconto scritto dieci anni prima. Che stava lì ad aspettare, dentro la mia testa. Ho capito subito che era quella l’idea giusta per il romanzo, perché appena mi sono messa al lavoro ha iniziato a fluire come se l’avessi progettato da tempo nei minimi dettagli.

Uno dei temi forti del romanzo è l’estrema difficoltà, del tutto contemporanea, di chiudere un rapporto d’amore?

Sì, sta diventando sempre più difficile spezzare i legami d’amore tra esseri umani. È senz’altro uno dei temi forti del romanzo. Si innesca una lotta sottile e continua tra i due protagonisti quando sta per finire la loro storia, perché nutrono ancora sentimenti molto forti l’uno per l’altra. Eppure, tutto questo è normale quasi sempre se una relazione sta per finire. Quando ho incontrato a Roma Paola Del Zoppo, la traduttrice italiana del romanzo, mi ha confessato di aver desiderato fino alle ultime righe del testo che Amber e Kevin restassero per sempre insieme.

L’amore che si spegne tra Kevin e Amber rispecchia la catastrofe climatica che sta avanzando inesorabile?

La storia d’amore rispecchia senza dubbio la catastrofe climatica che stiamo vivendo. Per continuare il loro rapporto, infatti, dovrebbero essere disposti a cambiare in maniera radicale. Ma non capiscono esattamente quale sia la strada giusta da percorrere. Proprio come succede al nostro mondo, adesso. Sappiamo che così non si può continuare. Ci arrivano dei segnali sempre più terrificanti. Eppure, perdiamo tempo a interrogarci su quale sia la soluzione che potrebbe portare a salvare la Terra e noi stessi. Il fatto è che, ormai, ci risulta quasi impossibile rinunciare a abitudini ormai consolidate.

Viviamo dentro una bolla piena di illusioni, come i due protagonisti del romanzo?

Stiamo vivendo prigionieri di un sogno da 150 anni. Abbiamo continuato a illuderci che saremmo riusciti a superare, a scardinare i limiti che ci ha imposto la Natura. Anche se, quando rientriamo nella realtà, sappiamo benissimo che tutto ciò non sarà possibile.

E intanto, trionfano i falsificatori della realtà.

I reality televisivi sono il trionfo della falsificazione, della negazione della realtà. Del prevalere dell’apparire sull’essere. Quando ho scritto La mia ragazza su Marte, Donald Trump era presidente degli Stati Uniti. E io ero sconvolta nell’ascoltare ogni giorno la quantità di bugie, di mistificazioni dei fatti che riusciva a inventare. Adesso, andiamo incontro a nuove elezioni negli Stati Uniti. E la quantità di falsità che si raccontano nella campagna elettorale si è moltiplicata.

Ma allora, quello di Kevin e Amber è un sogno impossibile?

Sicuramente Kevin incarna il desiderio che io provo spesso: di allontanarmi dal sistema in cui stiamo vivendo. Però sappiamo bene che questa è una via di fuga del tutto irreale. Così lui cerca di aggrapparsi a una morale tutta sua, finendo per perdere Amber. Sarà il mondo che sta fuori della porta di casa a impedirgli di portare avanti questo eretico stile di vita. Penetrando dentro il suo guscio, sottraendogli la ragazza. Lui stesso, alla fine, dovrà cambiare. Cercando di rompere il suo isolamento, facendo posto a nuove amicizie, ad altri rituali.

Il desiderio di apparire, di diventare una star della tivù, può offuscare la paura di morire.

Penso che, oggi, tantissimi sarebbero disposti a imbarcarsi in questo viaggio verso Marte. Cioè, verso la morte sicura. L’idea del racconto è generata da una notizia di cronaca. Diceva che alcune persone, in America, si erano associate per creare un reality dedicato alla selezione di candidati da lanciare in orbita verso Marte. La cosa incredibile è che all’annuncio avevano risposto migliaia di persone. Allora mi sono chiesta: com’è possibile che ci sia qualcuno disposto a rinunciare alla propria famiglia, al sole, all’acqua, ai prati fioriti, per trasferirsi su un pianeta dove mancano del tutto i requisiti per la vita? Forse perché si sono fatti conquistare dalle bugie che vanno raccontando personaggi come Elon Musk?

La lingua del romanzo è un perfetto impasto tra suggestioni letterarie e riferimenti alla cultura pop?

Sono stata costretta a eliminare molti altri riferimenti alla cultura pop. Perché parecchie mode nascono e si eclissano in maniera rapida. Però ho voluto lavorare molto, divertendomi, sull’impasto linguistico del romanzo. Sono riuscita a far convivere una prosa più letteraria con lo slang che si usa nei messaggi dei telefonini, nelle mail o nei post dei social. Credo che la sfida più ardua l’ha affrontata la mia traduttrice italiana, che ha fatto davvero un lavoro egregio.

Notizie di cronaca, come spunto di base, ma anche tanta documentazione sui viaggi spaziali.

Ho letto tantissimo su Marte. Però, poi, mi sono ritrovata a scrivere la prima stesura del romanzo in una sorta di trance creativa. L’ho completata in tre settimane. In quella fase, ero talmente assorbita dal lavoro sulla storia che non ho potuto più aggiornare le mie letture sui viaggi interstellari. Ero terrorizzata di non riuscire a rispettare la scadenza con l’editore. Poi, però, nella fase di revisione della storia ho ripreso a documentarmi su Marte e dintorni.

E adesso, come proseguirà il suo percorso di scrittura?

Gli ultimi tre anni li ho trascorsi completamente fagocitata da mia figlia, a cui ho dedicato tutto il tempo disponibile. E non sono riuscita proprio a scrivere. A volte penso che, piano piano, potrei riprendere a lavorare su una serie di nuovi racconti. Perché richiedono meno tempo, e uno spazio più piccolo del mio cervello. Anche se poi, a ben pensare, cimentarsi con la short story non è così facile: devi trovare la trama giusta, un buon inizio, un’ottima fine. Inoltre, se decidi di dare forma a dieci prose brevi è categorico essere pronta a inventare dieci mondi diversi.

Niente romanzi per un po’?

Quando hai scritto un romanzo sei come un drogato che prova per la prima volta qualcosa di veramente forte. Non puoi più tornare indietro. Anzi, non vedi l’ora di lanciarti di nuovo in quell’avventura. Ma se devo essere sincera, la mia vera sfida attuale è proprio quella di trovare il tempo per ricominciare a scrivere.

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