Joseph Conrad: Niente di misterioso al di fuori del mare
«Come in tutta la buona narrativa della sua generazione, si sente che anche Conrad, quando fa le sue prove migliori, attinge a un fondo di memoria e d’emozione che si può chiamare col titolo di uno dei suoi romanzi, Gioventù»: così Cesare Pavese iniziava la sua Nota introduttiva (1947) a La linea d’ombra, andando a toccare, implicitamente, anche uno dei motivi di predilezione di molti lettori per Joseph Conrad (1857-1924), scrittore tra i più amati (e suggeriti) nelle stagioni giovanili, per aver fatto luce sull’avventurosa scoperta del sé e della vita.
Ma non basta questo attingere alla giovinezza, questo immergersi nelle dinamiche della formazione, questo far leva sul desiderio esaltante di emozioni per spiegare la longue durée dell’autore anglo-polacco; perché Conrad è, senza dubbio, un narratore godibilissimo e significativo anche nelle età più mature, e la ragione era stata ben messa a fuoco da Italo Calvino, in risposta a una domanda postagli da Nuovi Argomenti nel 1959: «Amo Conrad perché naviga l’abisso e non ci affonda». Qui, in una sorta di nitido cartiglio, c’è un distillato estremo della scrittura di Joseph Conrad e della sua poetica, capace di edificare nel racconto i mondi affascinanti e terribili, ma non senza speranza, di Cuore di Tenebra, Lord Jim, La linea d’ombra, grandi testi troppo spesso marginalizzati nell’etichetta dell’avventura.
Nel centenario della morte, la biografia dello scrittore polacco di nascita e inglese di adozione (e di penna) è scandagliata con perizia da Giuseppe Mendicino nel recente volume Conrad. Una vita senza confini (Bari-Roma, Laterza, 2024, 273 pagine, €19). Si tratta di un lavoro che, tuttavia, supera il confine biografico, unendo con acume il filo esistenziale con quello letterario, inscindibili in un uomo dalla vita estremamente ricca e intensa, costellata di viaggi per mare — dai 18 ai 35 anni — e di metodica e perseverante scrittura, sino alla fine della vita.
Mendicino segue le tracce della vita di Conrad, approdato dalla Francia in Inghilterra in cerca di fortuna, ma si dedica anche a un’indagine appassionata di poetica, come egli stesso dichiara: «Questa non è propriamente una biografia […] e neppure una introduzione alle sue opere: si è scelto di approfondirne solo alcune. È un invito, motivato e sufficientemente documentato, spero, a leggere i libri di Joseph Conrad». Così, in capitoli che scorrono come un romanzo (ma tale è parte della vita stessa dello scrittore), il lettore può seguire i viaggi in Oriente o in Africa del marinaio polacco in servizio su navi britanniche, per infine sostare nell’Inghilterra dell’Impero, crocevia di mondi e di culture, seguendo in tal modo il dipanarsi della sua vita familiare e, soprattutto, letteraria, che a quelle esperienze sulle onde degli oceani attinge continuamente, arricchendo con realismo le grandi costruzioni romanzesche.
Il libro accosta, dunque, alcuni affondi dedicati a selezionate opere, di cui viene data una breve sintesi ragionata (con richiami alla loro genesi e anche alla loro ricezione), con interpretazioni di natura più critica, che poggia le proprie considerazioni su puntuali riferimenti alla bibliografia sia in lingua italiana che in lingua inglese.
Il nucleo centrale della scrittura conradiana è costituito, per Mendicino, dalle narrazioni attribuite a Charles Marlow (Gioventù, Lord Jim, Cuore di Tenebra, Destino), personaggio e testimone degli eventi che intessono la trama dei testi, affabulatore e alter-ego, indispensabile filtro che distanzia l’autobiografia dalla letteratura: questi si configurano come due poli della poetica conradiana, uniti dal mare, oggetto di attrazione, nostalgia, vera ragione di vita: «Per un marinaio, non c’è niente di misterioso al di fuori del mare, signore e padrone della sua vita, e imperscrutabile come il destino. Per il resto, gli bastano una passeggiata o una bisboccia a terra, di tanto in tanto, al termine di un lavoro, per scoprire il segreto di un intero continente e per capire, di solito, che non valeva la pena conoscerlo»: è il ritratto che il narratore esterno di Cuore di tenebra dedica a Marlow, condensando così, in poche fitte righe, modi di affrontare la vita che il giovane Conrad ben conosceva, ma da cui, a differenza del vecchio marinaio, seppe prendere le distanze per un attracco sicuro a uno scrittoio nell’Inghilterra tra i due secoli— non trovando, però, in questa sosta inizialmente priva di certezze economiche, l’approvazione dello zio Tadeusz che, dalla lontana Polonia zarista, continuò fino alla fine a sostenere il nipote orfano, mantenendolo, incoraggiandolo, ma anche rimproverandolo per l’inconcludenza che spesso trovava nel nipote. Peraltro, sul rapporto affettivo tra zio e nipote Mendicino si ferma con finezza e con partecipazione, documentando con molte lettere la profondità del legame che diviene sempre più paterno e che radica a livello interiore l’esule polacco.
La parte finale del libro riguarda l’eredità di Joseph Conrad, tracciando una mappa degli echi e dei rimandi novecenteschi della sua opera nella produzione italiana: da Italo Calvino, che dedicò la sua tesi di laurea a Conrad, a Primo Levi, a Mario Rigoni Stern, a Dino Buzzati. Val la pena ricordare che Calvino, in quella che è l’ultima e la più frammentaria delle Lezioni americane, ossia Cominciare e finire— quasi chiudendo il cerchio aperto con la tesi — indicava in Conrad un nitido esempio di scrittore che «aveva certamente il senso di cosa può essere un inizio», citando gli incipit memorabili di Lord Jim e Cuore di Tenebra, quest’ultimo con le sue notevoli sovrapposizioni geografiche e cronologiche (Londra, il Tamigi, il Mediterraneo; l’oggi, Francis Drake, gli antichi Romani): «la storia e la geografia mobilitate a fare da cornice - anche la spettrale Bruxelles – al viaggio del vapore che risale il Congo...».
Ma davvero sono molti gli scrittori convocati da Mendicino per affinità, analogie, ora più implicite, ora più palesi, a cui andrebbe aggiunto anche Eraldo Affinati, che non a caso, nel suo recente e corposo libro Delfini, Vessilli, Cannonate. Autobiografia letteraria (Harper Collins, 2023) dedica un capitolo appassionato (e colmo di gratitudine) a Conrad, presentando una sorta di pellegrinaggio letterario compiuto nel 2019 sulla tomba dello scrittore, sepolto a Canterbury: «Ma allora perché, adesso, di fronte alla stele, dentro di me, si apre uno spazio così ampio, vertiginoso, quasi incontrollabile? È la distanza, come mi capita di dire spesso, tra l’informazione e l’esperienza. Lo vedi il fuoco? Accosta la mano, in modo da bruciarti. O almeno compi il gesto: nella nostra civiltà sarebbe già sufficiente».
Non manca nel volume di Mendicino un paragrafo cinematografico, a partire da Orson Welles, che tentò invano di realizzare nel 1939 un film su Cuore di Tenebra, fino al celebre Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, drammatico viaggio nel Cuore di tenebra del conflitto in Vietnam. Ed è sempre Welles a dichiarare, insieme alla passione letteraria per lo scrittore anglo-polacco, anche la possibilità, se non la necessità, della sua transcodificazione: «Credo di essere fatto per Conrad. Secondo me, ogni storia di Conrad è un film».
Della fascinazione per Conrad si occupa anche il capitolo finale del libro, in cui l’autore chiama a raccolta alcuni grandi scrittori che si sono letteralmente messi in viaggio sulle tracce del maestro: Jack London, che salpa verso l’Australia seguendo suggestioni conradiane; André Gide, in viaggio lungo le piste africane del colonialismo francese, che ausculta i battiti del continente portando con sé i testi di Conrad, per arrivare a una dura accusa contro il colonialismo predatorio, anche qui anticipato da alcune coraggiose denunce dello scrittore anglo-polacco: tema vivo e problematico, questo del colonialismo, a cui Mendicino non si sottrae, ricavando lungo tutto il suo volume elementi, richiami, dichiarazioni di Conrad per mostrare la sua distanza critica dall’imperialismo britannico, pur con i limiti di un uomo di metà Ottocento. Emerge così dalle pagine di Conrad. Una vita senza confini un’idea di letteratura che non è mai solo intrattenimento, ma che sa impegnarsi anche in una postura etica, nello scavo profondo e coraggioso del ‘cuore di tenebra’ dell’umanità. È il tema del male, dell’abisso che torna con insistenza nelle pagine di Conrad, come Calvino ricordava: quell’abisso su cui possiamo navigare senza affondare, che trova nell’universale immagine del mare una sua rappresentazione senza mediazioni: «C’è una certa quantità di cattivo tempo in giro per il mondo, e non di più; è giusto passarci attraverso» (Tifone).
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