Speciale
La voce poetica delle donne che operano nel mondo della cultura / Le voci in/visibili delle donne
Nel 2016 Another Africa ha lanciato la serie “In/Visible Voices of Women”, ideata da Clelia Coussonnet e Missla Libsekal, con l’obiettivo di volgere lo sguardo alle donne che operano nel mondo della cultura ed esplorare – attraverso le loro suggestive voci – ciò che caratterizza la nostra epoca. Anziché imporre una selezione di temi prestabiliti e puntare a sovvertire etichette consolidate, la serie parte dal concetto di “in/visibilità” e lascia che siano le voci di queste stesse donne a definire il messaggio, arricchendo in tal modo il corpus esistente di materiali sulle donne artiste. Attraverso la loro pratica e il loro impegno, emergono dunque alcune delle questioni più urgenti e rilevanti che appartengono alla nostra realtà contemporanea.
La serie di interviste inaugurata nella primavera del 2016 coinvolge artiste legate al contesto nordafricano francofono.
lettera27 e Why Africa?, in collaborazione con Another Africa, sono liete di ripubblicare questi contributi. A seguire, il terzo articolo della serie.
Pubblicato da Another Africa l’11 aprile 2016 in Art & Culture, Interviews
Qual è il ruolo delle donne nella produzione dell’informazione e del sapere?
Malala Andrialavidrazana
Potrà sembrare una banalità, ma prima di assumere un ruolo da protagoniste, le donne devono tornare ad avere un’immagine positiva di se stesse, riacquistando consapevolezza del loro status di cittadine, con diritti, doveri e opinioni pari a quelli di ogni altro individuo. Devono ricordare che esse rappresentano quasi la metà dell’aria (del respiro) e dell’energia dell’umanità. E dunque hanno una grande responsabilità nel contrastare gli stereotipi e le disparità di genere che sono all’origine non solo dell’emarginazione di molte donne, ma anche della sofferenza che investe la società nel suo complesso. In poche parole, il loro ruolo è principalmente quello di correggere errori di valutazione che non sono più accettabili, portare allo scoperto sistemi di sottomissione, favorire una visione più aperta e promuovere l’uguaglianza in senso democratico. Per quanto arduo possa sembrare questo compito, è necessario affrontarlo perché le donne possano esprimersi liberamente e difendere la propria posizione ogni qual volta si renda utile o necessario.
Laureata in architettura, Malala Andrialavidrazana fonda la sua ricerca artistica soprattutto sul concetto di frontiera e sulle interazioni in contesti interculturali. Utilizzando come mezzo principale la fotografia, indaga ciò che accade dietro le quinte, alternando spazi privati e questioni globali, con l’obiettivo di esplorare l’immaginario collettivo. E inventa un nuovo linguaggio che guarda fermamente alla Storia senza venir meno all’impegno sociale. Esaminando gli spazi interstiziali tra una moltitudine di qui e ora, Malala dà vita a un’opera aperta nella quale non esistono confini.
Angèle Etoundi Essamba
Per loro stessa natura, le donne sono detentrici del sapere. Lo trasmettono attraverso la cura e l’educazione dei figli e grazie al ruolo fondamentale che esse rivestono all’interno delle loro comunità. Ciò si manifesta naturalmente anche in altri ambiti in cui l’informazione e il sapere assumono un’importanza decisiva, come il mondo dell’arte e del lavoro.
Angèle Etoundi Essamba (nata in Camerun, cresciuta in Francia) si è laureata alla Photo Academy di Amsterdam, dove vive attualmente. Le sue opere sono state esposte per la prima volta ad Amsterdam nel 1985 e hanno fatto il giro di musei, istituzioni, gallerie, festival e biennali d’arte in Africa, Europa, Stati Uniti, America Latina, Emirati Arabi e Asia. L’opera di Essamba si colloca a confine tra sociale/genere e arte, coniugando una fotografia dall’impronta umanistica con un forte attaccamento ai valori comunitari. Il suo impegno artistico è soprattutto rivolto al tema dell’identità della donna africana. Le sue parole d’ordine sono: orgoglio, forza e consapevolezza.
N’Goné Fall
Le donne hanno lo stesso identico ruolo degli uomini. Il compito di artiste e curatrici è quello di agire da intermediarie. Devono creare e condividere. Qual è la nostra visione del mondo, come lo percepiamo e come comunichiamo al pubblico il nostro punto di vista in qualità di artiste, curatrici e critiche d’arte? Come facciamo a dar vita a progetti che siano in grado di stimolare una riflessione nel pubblico? Continuo a credere che l’arte abbia il potere di influenzare il nostro modo di pensare, mettendo in discussione le società in cui viviamo. Potrebbe sembrare ingenuo, ma ci credo fermamente. E quando smetterò di crederci, tornerò a occuparmi di architettura.
N’Goné Fall si è laureata con lode all’École Spéciale d’Architecture di Parigi. Curatrice indipendente, saggista e consulente per le politiche culturali, dal 1994 al 2001 è stata direttrice editoriale della rivista d’arte contemporanea africana Revue Noire, con sede a Parigi. Ha curato numerose pubblicazioni sulla fotografia e sull’arte contemporanea e diverse mostre in Africa, Europa e Stati Uniti. È stata tra i curatori degli incontri di fotografia africana di Bamako nel 2001 e della Biennale d’arte contemporanea di Dakar nel 2002. Come consulente per le politiche culturali, redige piani strategici, programmi di orientamento e report valutativi per istituzioni culturali e fondazioni d’arte africane e internazionali. Dal 2007 al 2011 è stata Professoressa Associata presso la Senghor University di Alessandria d’Egitto (Dipartimento di Industrie Creative). È tra i membri fondatori del collettivo GawLab di Dakar, una piattaforma di ricerca e produzione nel campo dell’arte pubblica e delle tecnologie applicate alla creatività artistica.
Tamar Garb
Le donne hanno un ruolo fondamentale nel riscrivere la storia e imprimere un nuovo orientamento al sapere. Guardare attraverso gli occhi di una donna significa assumere una prospettiva alternativa a partire dalla quale porre domande e tracciare orizzonti di pensiero. Il femminismo ci ha insegnato che le narrazioni che abbiamo ereditato dal passato ci raccontano solo una storia parziale, una storia in cui le donne sono un mero strumento riproduttivo o un trofeo sessuale, piuttosto che esercitare un ruolo attivo. Storicamente, la sessualità femminile è stata assoggettata alla volontà di patriarchi e sfruttatori, asservita ai piaceri e ai bisogni di un’economia nella quale le donne sono oggetto di scambio tra gli uomini (mariti, padri, fratelli o clienti), mentre le loro necessità e i loro desideri sono spesso negati o ignorati. Molte donne, però, si sono opposte a tali ruoli circoscritti e hanno lottato insieme agli uomini per migliorare la propria condizione (e quella dell’umanità in generale), promuovendo un mutamento di prospettiva. È solo attraverso il pensiero femminista che è possibile far emergere queste storie di repressione e favorire un’espansione e rielaborazione del sapere. Attraverso la decostruzione di visioni riduttive legate alla “natura” o alle attitudini delle donne, è possibile interpretare gli eventi del passato, riconducendoli a specifiche circostanze sociali e ideologiche, piuttosto che a un destino “naturale” o alla volontà divina. Si apre dunque uno spazio per immaginare nuove forme di identità femminili, il cui potenziale non è più costretto all’interno di visioni storiche conformiste. L’arte contemporanea, così come la scrittura e la musica, fornisce una piattaforma essenziale attraverso cui immaginare ed esprimere nuove forme d’azione. E le artiste si uniscono oggi a scrittrici e cantanti nel dar voce a nuove forme identitarie provenienti dal continente africano o ad esso legate.
Tamar Garb è una curatrice e storica dell’arte. Insegna storia dell’arte alla University College London (UCL) e ha curato le mostre “Figures and Fictions, Contemporary South African Photography” (V&A, Londra, 2011) e “Distance and Desire: Encounters with the African Archive” (Walther Collection, Ulm, New York, Berlino, 2013-14). È autrice di diverse pubblicazioni, tra cui: The Painted Face: Portraits of Women in France 1814-1914 (YUP 2008) e The Body in Time (Washington 2008).
Euridice Getulio Kala
Donne da tenere in considerazione per affermare la propria (e la loro) individualità
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Euridice Getulio Kala (nata a Maputo, Mozambico, nel 1987) è un’artista e vive attualmente a Maputo. Al centro della sua ricerca artistica sono le metamorfosi, le manipolazioni e le trasformazioni storico-culturali avvenute tra la fine del Quattrocento e i primi del Novecento, e le loro ricadute sulla realtà contemporanea. Kala utilizza spesso la sua storia personale per approfondire i suoi temi di ricerca: la sua vita a Johannesburg, i trascorsi da donna sposata e l’attività da femminista. Per dar voce alle proprie idee, utilizza diversi strumenti espressivi: dalla performance ai video, dai testi scultorei alla fotografia e all’installazione. Ha studiato fotografia e ha esibito le sue opere in Sudafrica, a Maputo, Amsterdam, Dakar (Off), Apt, Lisbona e Douala, partecipando inoltre a diversi programmi di residenza per artisti, sia in Africa che nel resto del mondo.
Jessica Horn
In quanto parte dell’umanità, le donne partecipano tanto quanto gli uomini alla produzione dell’informazione e del sapere. La questione riguarda il riconoscimento di tale ruolo. Le donne africane sono detentrici di un sapere estetico e tecnico che investe ogni ambito, dalla narrazione alla tintura dei tessuti, dalla decorazione domestica alle percussioni, ai rituali, al canto, alla poesia, alla fotografia, al cinema. E molto altro ancora. Il sapere creativo di cui le donne sono depositarie è ancora da riconoscere pienamente e documentare. Come dice il proverbio: “Ogni volta che muore una griotte, brucia un’intera biblioteca”.
Jessica Horn è una scrittrice, attivista, interprete dell’ordinario; le sue radici si estendono dalle Montagne del Ruwenzori, nell’Uganda occidentale, allo Yankee Stadium di New York. Collabora da oltre quindici anni con ONG, iniziative di beneficenza e le Nazioni Unite su temi che riguardano la salute delle donne, i diritti umani e la lotta contro la violenza. Al centro della sua ricerca artistica e del suo impegno di attivista vi è l’idea dell’amore come forza in grado di produrre trasformazioni rivoluzionarie; ha partecipato al TedX Euston Salon ed è co-curatrice del blog “Our Space is Love”. La sua collezione di poesie Speaking in Tongues è inclusa nell’antologia The Mouthmark Book of Poetry. @stillsherises
Valerie Kabov
Non sono certa di aver compreso la domanda. Se parliamo di partecipazione all’interno dell’economia dell’informazione, allora si tratta di una questione interessante, ma non credo abbia a che fare con il genere. Mi riferisco all’accesso a internet e alla possibilità di utilizzarlo in maniera adeguata. Si tratta di un problema economico che riguarda tutti, a prescindere dal genere. La maggior parte della popolazione dello Zimbabwe ha un accesso limitato a internet. E la minoranza che gode di tale opportunità non può essere considerata rappresentativa. Questo è un problema perché condiziona la percezione del Paese a livello internazionale, con conseguenti implicazioni sulla sfera economica. Dal momento che più di metà della popolazione del Paese è rurale, si tratta di una questione del tutto rilevante.
Valerie Kabov è Responsabile dei programmi formativi e internazionali della First Floor Gallery Harare, nello Zimbabwe, che ha co-fondato nel 2009. Ha conseguito un Master in pratica curatoriale e arte moderna presso l’Università di Sydney e un dottorato in storia dell’arte (politica ed economia della cultura) presso l’Università Paris 1, Panthéon-Sorbonne. Lavora inoltre come avvocato, con più di dieci anni di esperienza in transazioni internazionali, occupandosi di mercati emergenti e proprietà intellettuale. In qualità di ricercatrice ed educatrice, i suoi interessi si concentrano, in particolare, sulla relazione tra locale e globale nel mercato dell’arte, sulle politiche culturali e sul coinvolgimento del pubblico. Ha fondato “Art & Dialogue”, un programma di formazione professionale continua per curatori e operatori culturali, che si propone di fornire le competenze necessarie per coinvolgere un pubblico eterogeneo e multiculturale, e collabora come editorialista con Art Africa Magazine.
Marcia Kure
Il ruolo delle donne e il potere che esercitano nella produzione e diffusione del sapere è molto limitato. Ma questo non vuol dire che le donne siano meno competenti degli uomini. Sebbene oggi il numero di donne che lavorano in ambito artistico sia cresciuto enormemente rispetto al passato, il peso della tradizione è ancora forte. Ad esempio, rispetto agli uomini, vi è un minor numero di testi critici scritti da donne su donne artiste, e ancor meno su donne artiste nere. Questo crea un problema di disponibilità di informazioni sulle artiste, che finisce inevitabilmente per influenzare ciò che di loro viene insegnato a scuola, incidendo inoltre sulla qualità e quantità di informazioni di cui dispongono curatori, galleristi e musei e che sono alla base dei loro processi decisionali. Per cambiare lo status quo è fondamentale favorire una maggiore informazione sulle artiste. Come mostrano numerose ricerche, le donne si sentono a disagio nell’affermare le loro opinioni in pubblico. E credo che questo dipenda dal fatto che ciò non fa parte del ruolo che la società ha loro assegnato. Inoltre, quando la propria voce è minoritaria, si tende a dubitare delle proprie competenze. Ciononostante, le donne devono riconoscere il valore del proprio sapere e far sentire la propria voce, poiché questo è cruciale per ottenere una società più equilibrata, sana e progressista.
Marcia Kure è un’artista nigeriana che vive e lavora negli Stati Uniti. Si è formata alla University of Nigeria e alla Skowhegan School of Painting and Sculpture (USA). Le sue opere sono state esibite alla XI Biennale di Dak’Art, in Senegal (2014), alla Trienniale di Parigi (2013), alla Biennale internazionale d’arte contemporanea di Siviglia (2006) e alla Biennale internazionale di Sharjah, negli Emirati Arabi (2005). Ricercatrice presso la Smithsonian Institution di Washington (2008), ha partecipato a un programma di residenza per artisti presso il Victoria and Albert Museum di Londra (2014) e ha vinto il premio Uche Okeke per il disegno (1994). Le sue opere sono esposte nei maggiori musei di Stati Uniti ed Europa e sono state incluse nella mostra “BODY TALK: Feminism, Sexuality and the Body in the Work of African Women Artists”, WIELS Contemporary Art Center, Bruxelles; Frac Lorraine, Francia; e Lunds Konsthall, Svezia (2015-16).
Mónica de Miranda
Il ruolo delle donne risente ancora di secoli di diseguaglianze di genere. Storicamente, la presenza delle donne nel mondo dell’arte (in qualità di artiste, spettatrici, critiche, collezioniste ed esperte) è limitata. Le donne sono state ammesse nell’arte per lo più come soggetti o, più propriamente, come oggetti a disposizione dello sguardo maschile.
Tuttavia, a partire dal secolo scorso, l’accesso delle donne all’istruzione superiore è aumentato notevolmente nei Paesi più sviluppati. Allo stesso tempo, importanti innovazioni scientifiche e tecnologiche hanno favorito la partecipazione delle donne in ambito artistico e culturale, come produttrici di conoscenza, direttrici artistiche, curatrici, artiste ed educatrici. Questa tendenza si è resa ancora più evidente negli ultimi trent’anni, grazie anche al riconoscimento del ruolo della scienza e della tecnologia nella società; studiose, produttrici culturali e artiste hanno sperimentato diverse modalità di produzione del sapere, evidenziando un mutamento nel ruolo che uomini e donne rivestono nella società e nel mondo dell’arte.
Il ruolo delle donne nella produzione dell’informazione e del sapere può essere pienamente compreso solo alla luce delle trasformazioni culturali e sociali di genere avvenute nel XX e XXI secolo.
Mónica de Miranda (nata a Porto, in Portogallo, nel 1976) è un’artista e ricercatrice di origini angolane. Ha conseguito un dottorato in arti visive presso la Middlesex University di Londra (2014), con il supporto della Foundation for Science and Technology. È tra i fondatori del programma di residenza artistica Triangle Network in Portogallo e ha fondato a Lisbona il centro di ricerca artistica Project Hangar (2014). Le sue opere sono state esibite a Lisbona, Londra, Amsterdam, Parigi, Madrid, Dubai, Roma e Singapore e sono state selezionate per la X edizione degli Incontri di Bamako, la XIV Biennale di Architettura di Venezia e la Biennale d’arte contemporanea di São Tomé e Principe. Ha inoltre partecipato a diversi programmi di residenza artistica nelle isole Mauritius, a Londra, a Maputo e in altri Paesi.
Suzana Sousa
Le donne hanno un ruolo fondamentale in questo ambito, operando come curatrici, storiche dell’arte, architette, designer, artiste e produttrici di eventi. Vi è forse un problema di rappresentazione e visibilità, ma non di mancanza di partecipazione femminile.
Suzana Sousa (nata a Luanda, in Angola, nel 1981) è una scrittrice e curatrice indipendente. Tra i suoi progetti curatoriali più recenti, “Seeds of Memory”, Padiglione Angola (Expo Milano, 2015) e “Love me Love me Not – Art from the Collection Sindika Dokolo”, Biblioteca Almeida Garreth (Porto, Portogallo). Collabora con Contemporary &, Art+Auctions (New York), Goethe Institute Magazine e Arterial Network/ Arts in Africa. Insieme a un gruppo di spiriti indipendenti angolani, ha creato il collettivo culturale Pés Descalços.
Traduzione a cura di Laura Giacalone.
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