Speciale
La voce poetica delle donne che operano nel mondo della cultura / Le voci in/visibili delle donne
Per quanto idealizzata, la meritocrazia nel mondo dell’arte non si è ancora materializzata. L’emarginazione di alcune voci, come quelle delle donne artiste, è una realtà globale e il contesto africano non fa eccezione. I fattori che determinano l’esclusione delle voci delle donne sono molteplici e complessi. Dalle distorsioni insite nel linguaggio alle diseguaglianze economiche, dagli stigmi culturali alla misoginia, dal pregiudizio di genere alle dialettiche centro/periferia e molto altro ancora.
Inoltre, in un momento in cui le economie africane si adoperano per l’eliminazione della povertà e si avviano verso uno sviluppo economico globale, l’invisibilità forzata e il pregiudizio verso le voci che prestano la loro mente e il loro corpo al bene comune sono un elemento problematico. Dove sono le voci delle donne e la loro espressione all’interno della vita pubblica?
Nel 2016 Another Africa ha lanciato la serie “In/Visible Voices of Women”, ideata da Clelia Coussonnet e Missla Libsekal, con l’obiettivo di volgere lo sguardo alle donne che operano nel mondo della cultura ed esplorare – attraverso le loro suggestive voci – ciò che caratterizza la nostra epoca. Anziché imporre una selezione di temi prestabiliti e puntare a sovvertire etichette consolidate, la serie parte dal concetto di “in/visibilità” e lascia che siano le voci di queste stesse donne a definire il messaggio, arricchendo in tal modo il corpus esistente di materiali sulle donne artiste. Attraverso la loro pratica e il loro impegno, emergono dunque alcune delle questioni più urgenti e rilevanti che appartengono alla nostra realtà contemporanea.
La serie di interviste inaugurata nella primavera del 2016 coinvolge artiste legate al contesto nordafricano francofono.
lettera27 e Why Africa?, in collaborazione con Another Africa, sono liete di ripubblicare questi contributi. A seguire, il primo articolo della serie.
Quali sono oggi le questioni più urgenti che riguardano le donne, in particolare coloro che operano in ambito artistico?
Pubblicato da Another Africa il 7 marzo 2016 in Art & Culture, Interviews
Cosa trattiene oggi le donne dall’esercitare il proprio potere? È possibile identificare i fattori che impediscono o ostacolano la piena partecipazione delle donne alla vita pubblica? Per quanto gli elementi in questione possano essere molteplici o complessi, si avverte l’urgenza di riappropriarsi degli spazi, di guardare alla propria storia in maniera diversa, di aprire nuove dimensioni.
Abbiamo chiesto a undici donne fenomenali – intrepide docenti universitarie, artiste, scrittrici e curatrici – di contribuire alla serie di testimonianze in sei parti dal titolo In/Visible Voices of Women. Attraverso una variegata raccolta di pensieri e opinioni, emergono alcune delle questioni più urgenti che riguardano le donne in generale, la loro condizione di invisibilità e la necessità di divenire visibili.
Quali sono oggi le questioni più urgenti che riguardano le donne, in particolare coloro che operano in ambito artistico?
Malala Andrialavidrazana
La condizione delle donne varia sensibilmente a seconda della struttura sociale in cui si trovano; sembrerebbe inconcepibile parlare di drammi, sofferenze e abusi fisici, o di lotta contro la discriminazione, in ambito professionale.
Eppure, in tali contesti, le donne si trovano ancora oggi ad affrontare le medesime forme di disprezzo, scarso riconoscimento e assenza di diritti che appartengono a comportamenti arcaici. È sufficiente considerare gli stereotipi di genere sulle donne nei media per comprendere come il nostro sguardo contemporaneo continui a nutrirsi di pregiudizi retrogradi.
La persistenza di queste rappresentazioni finisce inevitabilmente per investire con estrema arroganza anche gli aspetti più banali della vita quotidiana, senza che questo sollevi alcuna domanda. Né sull’atteggiamento condiscendente delle strutture in questione né sulla mancanza di volontà nel riformare questi sistemi che proteggono potenziali predatori.
In maniera analoga, diverse forme di molestia rimangono sotto silenzio. Ciò può essere dovuto a un sentimento di imbarazzo o alla mancanza di supporto, o perfino alla paura di mettere a repentaglio un ambiente che è sempre stato a rischio per le donne.
Tuttavia, date le dimensioni del predominio maschile, le donne devono agire in prima persona per ridurre le disparità, la violenza, le ingiustizie e le insicurezze che le affliggono. Nonostante l’assenza di politiche che regolino il settore artistico (come pure altri ambiti), le donne devono continuare a lottare con determinazione per pretendere il riconoscimento e la legittimazione del proprio lavoro e accedere a uno status consono al proprio talento e alle proprie competenze.
Devono tenere a mente che è necessario prima di tutto lottare per migliorare il contesto in cui vivono: solo così saranno in grado di liberarsi e andare avanti serenamente sia nella sfera professionale che in quella privata.
Laureata in architettura, Malala Andrialavidrazana fonda la sua ricerca artistica soprattutto sul concetto di frontiera e sulle interazioni in contesti interculturali. Utilizzando come mezzo principale la fotografia, indaga ciò che accade dietro le quinte, alternando spazi privati e questioni globali, con l’obiettivo di esplorare l’immaginario collettivo. E inventa un nuovo linguaggio che guarda fermamente alla Storia senza venir meno all’impegno sociale. Esaminando gli spazi interstiziali tra una moltitudine di qui e ora, Malala dà vita a un’opera aperta nella quale non esistono confini.
Angèle Etoundi Essamba
Le donne si trovano, ancora oggi, ad affrontare numerosi problemi legati a questioni di genere e sono spesso costrette a riconsiderare le loro stesse ambizioni. Le questioni più urgenti, oggi, riguardano l’istruzione e le opportunità di lavoro. Ma vi sono anche problemi legati alla violenza e alla salute. In Africa, in particolar modo, le pressioni culturali e sociali (sposarsi, farsi una famiglia) costituiscono delle forti barriere per le donne che operano in ambito artistico.
Angèle Etoundi Essamba (nata in Camerun, cresciuta in Francia) si è laureata alla Photo Academy di Amsterdam, dove vive attualmente. Le sue opere sono state esposte per la prima volta ad Amsterdam nel 1985 e hanno fatto il giro di musei, istituzioni, gallerie, festival e biennali d’arte in Africa, Europa, Stati Uniti, America Latina, Emirati Arabi e Asia. L’opera di Essamba si colloca a confine tra sociale/genere e arte, coniugando una fotografia dall’impronta umanistica con un forte attaccamento ai valori comunitari. Il suo impegno artistico è soprattutto rivolto al tema dell’identità della donna africana. Le sue parole d’ordine sono: orgoglio, forza e consapevolezza.
N’Goné Fall
Visibilità. In Africa, molte donne smettono di lavorare quando si sposano o hanno un figlio. Sembra impossibile essere artista e al tempo stesso moglie e madre. In alcuni paesi, la pressione sociale è molto forte e le donne sono costrette a scegliere.
Opportunità. Le artiste hanno tuttora meno opportunità (mostre, programmi di residenza, conferenze, pubblicazioni).
Percezione. In alcuni paesi africani, ci si aspetta che le artiste si occupino essenzialmente di arte decorativa (bellezza) e il pubblico africano rimane perplesso se la loro opera è troppo concettuale e/o minimalista. Il pubblico occidentale, e in una certa misura anche i professionisti dell’arte in Occidente, si aspettano che esse affrontino principalmente tematiche femminili. La sfida è quella di sfuggire ai cliché.
Libertà. A causa di tutto questo, le artiste non hanno vita facile. Molto spesso, devono giustificare ciò che fanno e perché, e devono rispondere a domande ridicole che nessuno si sognerebbe mai di fare a un uomo.
N’Goné Fall si è laureata con lode all’École Spéciale d’Architecture di Parigi. Curatrice indipendente, saggista e consulente per le politiche culturali, dal 1994 al 2001 è stata direttrice editoriale della rivista d’arte contemporanea africana Revue Noire, con sede a Parigi. Ha curato numerose pubblicazioni sulla fotografia e sull’arte contemporanea e diverse mostre in Africa, Europa e Stati Uniti. È stata tra i curatori degli incontri di fotografia africana di Bamako nel 2001 e della Biennale d’arte contemporanea di Dakar nel 2002. Come consulente per le politiche culturali, redige piani strategici, programmi di orientamento e report valutativi per istituzioni culturali e fondazioni d’arte africane e internazionali. Dal 2007 al 2011 è stata Professoressa Associata presso la Senghor University di Alessandria d’Egitto (Dipartimento di Industrie Creative). È tra i membri fondatori del collettivo GawLab di Dakar, una piattaforma di ricerca e produzione nel campo dell’arte pubblica e delle tecnologie applicate alla creatività artistica.
Tamar Garb
Visibilità e ascolto rimangono le sfide più importanti. Ancora oggi esistono innumerevoli piattaforme e dibattiti pubblici all’interno dei quali le donne sono invisibili. È stata un’iniziativa femminista online promossa in Finlandia a incoraggiarmi a “puntare il dito” contro i “dibattiti con soli uomini” e a nominare e denunciare pubblicamente i partecipanti. Facciamo lo stesso anche per le mostre. Inizierei con “Beauté Congo”, una mostra organizzata di recente presso la Fondation Cartier di Parigi, che vorrebbe farci credere che le donne in Congo esistono solo per via del loro seno e del loro fondoschiena, per stuzzicare e stimolare un’economia sessuale eteronormativa.
L’assenza delle donne in qualità di artiste si accompagna alla loro ipervisibilità come oggetti sessuali, simboli, allegorie e proiezioni irreali. Questa versione della storia nasce dal tipo di domande che poniamo e dall’inevitabilità (e prevedibilità) delle giustificazioni addotte: non vi erano donne “abbastanza brave”, “abbastanza importanti” o “abbastanza note” da invitare. E se anche fosse (ma è tutto da dimostrare), allora è la domanda a essere sbagliata. Uno sguardo più ampio/autocritico alle domande che poniamo può contribuire a contrastare le teleologie canoniche e gli interessi personali mascherati.
La questione che, a mio parere, si pone con maggiore urgenza ad artiste, critiche, scrittrici e curatrici è quella di guardare alla nostra storia con occhi diversi, affinché le voci delle donne non vengano più messe a tacere, affinché gli archivi siano riorganizzati per dare spazio all’operato delle donne e affinché il modo in cui ci interroghiamo sulla nostra storia fornisca l’occasione per abbracciare in maniera più inclusiva ciò che esiste nella realtà, non solo per ciò che concerne il passato, ma anche nel presente.
Tamar Garb è una curatrice e storica dell’arte. Insegna storia dell’arte alla University College London (UCL) e ha curato le mostre “Figures and Fictions, Contemporary South African Photography” (V&A, Londra, 2011) e “Distance and Desire: Encounters with the African Archive” (Walther Collection, Ulm, New York, Berlino, 2013-14). È autrice di diverse pubblicazioni, tra cui: The Painted Face: Portraits of Women in France 1814-1914 (YUP 2008) e The Body in Time (Washington 2008).
Euridice Getulio Kala
Il Rinascimento della Donna Nera, l’oggettivazione e la Super (Uber) Donna
Da Sarah Baartman a Lupita Nyong’o, la donna nera ha subito, nel corso dei secoli, una violenta e alquanto riduttiva rappresentazione nel linguaggio visivo. È stata raffigurata essenzialmente come oggetto di desiderio, repulsione e soppressione. Per approfondire questo tema, mi sono messa a guardare del porno lesbo e mi sono resa conto di quanto questi film “a basso costo” siano legati all’articolazione del corpo nero di cui sopra. Concepire la donna nera come oltredonna e superdonna può aiutare a comprendere le ragioni per le quali vi è un tale numero di voci di donne nere che non compaiono nella storia in qualità di autrici, ma unicamente come soggetto-oggetto.
La donna nera, in particolare, non ha ancora cominciato a dar voce alla propria storia, poiché le cose da chiarire sono così tante da costituire quasi un deterrente. E questo è un problema o un ostacolo da superare. Quello che vorrei suggerire è di by-passare completamente la prassi che oggi le donne devono seguire per poter esistere e praticare la propria arte.
Così facendo, potranno forgiare un linguaggio nichilista con cui raccontare se stesse, lontano dagli stereotipi attraverso i quali viene rappresentato il corpo [femminile] nero, e seguire una nuova onnipresente direzione, decidendo di partecipare al dibattito senza assumere il ruolo di vittima. Accettando il potere che in maniera astratta le viene attribuito, la donna nera può così avanzare verso un mondo nel quale le manifestazioni delle sue azioni si articolano attraverso un linguaggio completamente nuovo.
Occorre sottolineare come la funzione principale della donna sia stata, e sia tuttora, quella di aprire nuove dimensioni. È stata Eva, infatti, a essere curiosa; è lei l’avventuriera, colei che per prima ha infranto le regole.
* Superuomo/Superdonna si riferisce al concetto di Übermensch (superuomo o oltreuomo) introdotto da Friedrich Nietzsche. La definizione di oltredonna da me proposta allude a un modello superiore di donna che riconosce le sue qualità passate, by-passando sistematicamente i modelli che è stata in grado di superare attraverso la sua lotta.
Euridice Getulio Kala (nata a Maputo, Mozambico, nel 1987) è un’artista e vive attualmente a Maputo. Al centro della sua ricerca artistica sono le metamorfosi, le manipolazioni e le trasformazioni storico-culturali avvenute tra la fine del Quattrocento e i primi del Novecento, e le loro ricadute sulla realtà contemporanea. Kala utilizza spesso la sua storia personale per approfondire i suoi temi di ricerca: la sua vita a Johannesburg, i trascorsi da donna sposata e l’attività da femminista. Per dar voce alle proprie idee, utilizza diversi strumenti espressivi: dalla performance ai video, dai testi scultorei alla fotografia e all’installazione. Ha studiato fotografia e ha esibito le sue opere in Sudafrica, a Maputo, Amsterdam, Dakar (Off), Apt, Lisbona e Douala, partecipando inoltre a diversi programmi di residenza per artisti, sia in Africa che nel resto del mondo.
Traduzione di Laura Giacalone.
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