Il ripensamento del soggetto / Sartre secondo Recalcati

16 Aprile 2021

Nel 2000 Slavoj Žižek pubblica una delle sue opere più rilevanti dal punto di vista teoretico: The Ticklish Subject, tradotta in italiano con il titolo Il soggetto scabroso. L’intento del libro è quello di riportare il soggetto al centro di una scena filosofica e culturale che su tutti i fronti, dal poststrutturalismo al postmarxismo, dai sostenitori heideggeriani del pensiero dell’Essere alle femministe, ha lavorato per esorcizzarlo. La posta in gioco di questa operazione è chiara: non si tratta di tornare semplicemente al soggetto cartesiano come soggetto pensante trasparente a se stesso, ma di metterne in evidenza il nucleo eccessivo disconosciuto: “Ovviamente non si intende ritornare al cogito nella forma in cui questo concetto ha dominato il pensiero moderno (il soggetto pensante trasparente a se stesso), bensì mettere in luce il suo opposto dimenticato, il nucleo eccessivo, disconosciuto del cogito, che è ben lontano dall’immagine conciliatoria dell’Io trasparente”. 

 

Il ritorno al soggetto di Žižek è un ritorno a ciò che nella costituzione della soggettività la eccede e le resiste, ciò di cui il soggetto non si può mai riappropriare definitivamente in un movimento di auto-comprensione assoluta, totalmente trasparente di sé. Con questa operazione Žižek non si pone al di fuori dello spazio filosofico che contesta, ma si misura con lo spettro che lo assilla e che aveva già prodotto importanti torsioni in quello stesso spazio: si pensi all’ultimo Foucault che, per superare le impasses teoriche degli anni Settanta, è costretto a tornare al soggetto nella forma della cura di sé e della soggettivazione. Ma Foucault non è certo un’eccezione. Lo stesso Deleuze deve misurarsi con lo spettro del soggetto: Deleuze è tra i primi a cogliere la portata della “svolta” foucaultiana e a occuparsi della questione della soggettivazione nel suo Corso del 1985-1986 su Foucault. Durante una conversazione del 1996, Claire Parnet mette alle strette Deleuze proprio su questo tema: “‘Soggettivazione’ non è un termine ambiguo che reintroduce malgrado tutto un soggetto?”. Nella sua risposta, Deleuze cerca in ogni modo di sfuggire a questo ritorno dello spettro del soggetto, ma è costretto ad ammettere: “Se c’è un soggetto, è un soggetto senza identità”. Anche Derrida con la sua decostruzione dell’idea metafisica di soggetto non mira a liquidare il soggetto, ma ne opera il ripensamento a partire da un’alterità che eccede e lo decide. Per non parlare di Sloterdijk che sprona a ripristinare gli stili di vita basati sull’esercizio per far uscire gli uomini dall’ottusità e dalla banalità. 

 

È in questa cornice che deve essere letto l’importante libro di Massimo Recalcati, edito da Einaudi, Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio che, attraverso un’inedita rilettura di Sartre, ripensa la questione del soggetto come processo di soggettivazione. Ecco la posta in gioco teorica del libro. Non un libro nostalgico dunque o una lettura psicoanalitica di Sartre, ma un libro che si misura con lo spettro che assilla lo spazio del pensiero contemporaneo e che non si lascia liquidare nemmeno dai più strenui difensori del vitalismo impersonale e della morte dell’uomo. 

 

 

Certo, l’operazione di Recalcati guarda in direzione della psicoanalisi: “Il mio lavoro vuole dimostrare quanto potrebbe essere utile oggi per la psicoanalisi non dimenticare la lezione sartriana” (Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio. Torino, Einaudi, 2021). E tuttavia, la portata del libro di Recalcati eccede i limiti della psicoanalisi e investe lo spazio stesso della filosofia contemporanea in cui il nome di Sartre è il nome di un “cane morto”. Sartre occupa la posizione di un morto senza tomba e senza eredità per una ragione ben precisa: il suo nome si salda con il soggetto sovrano, fa corpo con la dimensione più ingombrante di quella soggettività che la scena filosofica e culturale vorrebbe esorcizzare. Sartre è il nome stesso della cosa da esorcizzare: è il nome proprio attraverso cui si prova a liberarsi della cosa. Da qui la necessità e la complessità dell’operazione di Recalcati che tocca non semplicemente la questione del soggetto (come ad esempio fa Žižek), ma la questione del soggetto nel suo legame con il nome proprio di Sartre.

 

L’operazione di Recalcati parla chiaro: Ritorno a Jean-Paul Sartre, “con questo libro ritorno a Sartre”, per onorarne la memoria, onorare un debito e provare a ereditare. Se si vogliono fare i conti fino in fondo con la questione del soggetto bisogna fare i conti con Jean-Paul Sartre, suggerisce Recalcati, misurarsi con l’eredità di Sartre, onorare il debito: un debito personale per Recalcati, ma anche il debito che un’intera generazione di filosofi ha indenegabilmente con Sartre: da Derrida a Deleuze a Foucault. 

 

Lo scopo di Ritorno a Jean-Paul Sartre non è riabilitare il soggetto sovrano come pura trascendenza della libertà, ma mostrare che c’è anche un altro Sartre che complica questa scena e pensa il soggetto come soggettivazione continua di una cosa insuperabile, inassimilabile, eccedente, chiamata “infanzia”. È a partire dal tema dell’infanzia che Recalcati ci presenta un altro Sartre e un’altra idea di soggetto che porta in sé la traccia di un’alterità inassimilabile inscritta al proprio cuore. Ritorno a Jean-Paul Sartre si concentra soprattutto sul Sartre che, nell’Idiota della famiglia, rivede profondamente alcune sue precedenti posizioni sul soggetto e la libertà: qui la libertà non regna più sovrana ma ha la forma minima di un petit décalage, di quel “piccolo scarto” che permette a Gustave, predestinato all’avvenire di idiota, di diventare Gustave Flaubert. È qui che Sartre arriva a pensare due istanze solo in apparenza opposte: come l’Altro può costituire una vita e come questa vita costituita dall’Altro non sia già deterministicamente segnata ma possa soggettivarsi in una singolarità imprevista. 

 

 

E tuttavia l’operazione di Recalcati non si limita a interrogare l’ultimo Sartre, ma rilegge i più importati testi sartriani, a partire dalla Nausea, seguendo le tracce di questa alterità che perturba la scena del soggetto. La Nausea in quest’ottica viene riletta come matrice dell’opera sartriana, come sua infanzia: qui l’esistenza è il “reale informe” in cui si radica il processo di soggettivazione come continua risignificazione di ciò che resiste all’ordine simbolico. L’esistenza è così ciò che non può essere dimenticato e che “esige un continuo lavoro di ripresa e soggettivazione”. In questo senso l’esistenza è in rapporto con la dimensione dell’infanzia come alterità inassimilabile. Scrive Recalcati: “Come per l’infanzia anche con l’esistenza tocchiamo la matrice della nostra storicità, il fondo buio e senza parole in cui si radica il processo di soggettivazione non come emancipazione da questo buio ma come sua continua significazione e risignificazione”. E ancora: “In questo senso il reale dell’esistenza appare come il nucleo infantile traumatico della vita umana”. Questi passaggi sono cruciali per comprendere l’operazione di Recalcati: il lavoro sull’infanzia è tout court un lavoro sull’esistenza, sull’infanzia come nodo dell’esistenza. L’infanzia che gioca un ruolo chiave nell’Idiota della famiglia non è solo pensabile in analogia con l’esistenza della Nausea ma fa corpo con essa: è il suo nucleo infantile come reale impossibile e traumatico con cui il processo di soggettivazione non cessa di misurarsi. 

 

La figura senza figura di questo reale impossibile viene fatta balenare anche al cuore dell’opera che più di tutte sembrerebbe legare Sartre alla dimensione del soggetto sovrano che decide liberamente di sé: L’essere e il nulla. Proprio prendendo in esame l’idea di libertà, Recalcati mostra come in essa sia in opera il suo rovescio: la necessità. Un soggetto libero infatti sceglie, ma non sceglie di essere libero. È questa la fatticità della libertà, il suo reale impossibile che complica e decostruisce, dall’interno, il fantasma del soggetto sovrano: “In gioco è, dunque, una nozione di libertà assai problematica che non esclude affatto il vincolo, la consegna ad una necessità in irriducibile attrito con la contingenza assoluta della scelta. La libertà, in altre parole, non riguarda solo il campo delle possibilità ma anche il reale dell’impossibile”.

L’attento processo di rilettura a cui Recalcati sottopone i testi sartriani mostra come al di là di alcune semplificazioni caricaturali, nel percorso sartriano vi sia un corpo a corpo problematico, critico, con la dimensione del soggetto che approda a un suo ripensamento come processo di soggettivazione. Questo ripensamento trova il suo culmine nell’Idiota della famiglia in cui il soggetto si dissolve in un processo sempre in atto e mai concluso di ripresa e soggettivazione dell’infanzia. Ora questo processo di soggettivazione è articolato come interiorizzazione dell’esteriorità e esteriorizzazione dell’esteriorità interiorizzata. Questi passaggi sono essenziali per comprendere la complessità del processo di soggettivazione che è sempre in atto, sempre di nuovo da prodursi, e opera a più livelli.

 

Prima ancora di essere esteriorizzazione dell’interiorità, il processo di soggettivazione è già all’opera nel tempo della mediazione soggettiva come tempo dell’interiorizzazione dell’esteriorità, come vissuto. Recalcati pone giustamente in rilievo questo passaggio, in quanto esso mostra come non ci sia un soggetto su cui opera la tracciatura dell’Altro, ma un movimento di interiorizzazione di questa tracciatura. Scrive Recalcati: “Senza questo tempo logico intermedio non vi sarebbe quella possibilità di gioco – il movimento del piccolo scarto – che rende possibile la personalizzazione vera e propria”. In questi movimenti non c’è nessuna Aufhebung hegeliana, nessun superamento-toglimento dell’infanzia ma una singolarizzazione che fa tesoro della lezione kierkegaardiana e dell’idea scandalosa e sconcertante della transistoricità dell’uomo storico per cui le determinazioni universali della storia non producono il soggetto come un semplice effetto ma come ripresa e singolarizzazione dell’universale. 

Indubbiamente si può criticare questa idea di soggettivazione sartriana, ad esempio per la sua dimensione ancora umanistica e antropocentrica: ma lo si può fare proprio a partire da un’eredità finalmente rimessa in gioco e in circolazione al di là di semplificazioni e ricostruzioni caricaturali. Ecco uno dei grandi meriti dell’opera di Recalcati. 

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