Matteo Di Gesù, Il carattere degli italiani

21 Febbraio 2014
In occasione della pubblicazione del secondo volume di Il carattere degli italiani di Matteo di Gesù pubblichiamo un breve estratto dal suo ebook. Il libro, che si presenta come un compendio di testi selezionati rivolti alla nazione, scritti da grandi autori del novecento, è acquistabile nella libreria di doppiozero e sui principali store.
 
 
 
È difficile stabilire con esattezza quale sia il luogo letterario nel quale il tralignamento della plurisecolare topica sull’Italia nella retorica nazionalistica moderna si fa finalmente manifesto. Senza dubbio va ricercato nella cernita di quelli prodotti tra l’unificazione nazionale e le prime guerre colonialistiche, tra i vaticini celebrativi per la patria risorta e le micidiali celebrazioni liriche delle imprese d’oltremare. Stabilire un discrimine netto è sicuramente arbitrario, ma se le residue reminiscenze scolastiche ci inducono a dislocare Carducci, e perfino lo stesso Pascoli, ancora nel novero del canone post-risorgimentale, a D’Annunzio tocca di sicuro il ruolo di inclito testimone antesignano della degenerazione suddetta. Ma, da Carducci in poi, com’è risaputo, quel segmento della nostra letteratura è tutto un succedersi di vati italici, in un crescendo di virili tripudi nazionalistici, bellicistici, imperialistici, faticosamente rintuzzati dalle voci isolate di pochi autori: Umberto Saba tra questi, il quale In morte di un fattorino telegrafico, parodizzando Petrarca, restituirà provvisoriamente l’«Italia mia, mio conquistato amore», a una inedita dimensione quotidiana.
 
Ma più in generale, per molti aspetti, il Novecento letterario italiano sembrerebbe essere una sorta di sintesi estrema, ancorché spesso rovesciata, delle retoriche e dei motivi che in cinque secoli di letteratura nazionale sono stati declinati sul tema ‘Italia’. Nel secondo dopoguerra, ad esempio, smaltita la sbornia nazionalistica e àuspici nuove frustrazioni repubblicane, nella lirica riaffiora prepotentemente la topica della lamentazione e dell’invettiva per le condizioni infelici della nazione, sebbene, piuttosto che Petrarca, sia ora Dante il sottotesto di gran parte della poesia politica del secondo Novecento. Così come, dopo la sua fondazione settecentesca, la grande sintesi leopardiana e le sue tarde propaggini ottocentesche, il saggio sull’identità e sui costumi nazionali sembra cristallizzarsi nelle versioni stucchevoli primonovecentesche dell’arci/anti – italianità, presto elette a lavacro letterario della falsa coscienza nazionale e delle responsabilità civili e politiche di almeno un paio di generazioni di classi dirigenti. Esauritasi la breve stagione della rivendicazione dei primati morali e civili, infatti, quello che ormai si può definire un modo retoricamente caratterizzato della prosa non narrativa -se non un genere in senso proprio- si riaffaccia nella voga letteraria della contumelia contro la pessima indole di un popolo trasfigurato in un’unica entità indistinta; vituperio suffragato da una buona dose di disprezzo classista e corroborato da cattive letture: in questi testi (di Malaparte, di Prezzolini, di Longanesi), si potrebbe osservare, la retorica dell’antitalianità è davvero un topos dell’italianità. Ancora una volta, dunque, il sovrabbondante, pervasivo e duraturo discorso sul carattere e l’identità degli italiani concorre a delimitare e perpetuare uno spazio culturale (e una conseguenziale retorica) nel quale trovano spesso rifugio, autolegittimandosi, posizioni conservatrici e deresponsabilizzanti, alle quali nuovamente esso fornisce un corredo ideologico tagliato su misura.
 
Se non altro, con l’avvento della Repubblica il tema si dissemina nelle pagine sparse di molti scrittori, sovente letterariamente assai più dense e memorabili di quelle delle trattazioni sistematiche, ovvero si riaddensa nella pubblicistica più varia, con esiti alterni (gli esempi letterari, specie tra l’immediato secondo dopoguerra e gli anni Sessanta, sono numerosi: da Alberto Savinio allo stesso Saba, da Ennio Flaiano a Ottiero Ottieri, da Carlo Levi fino a critici letterari come Cesare Garboli e Alfonso Berardinelli). Del resto l’Italia repubblicana non era solamente una nazione da ricostruire, una comunità da rifondare; era anche un paese da conoscere davvero, da esplorare e da provare a raccontare da capo: è il compito che s’intestarono scrittori come Guido Piovene, Mario Soldati, Giovanni Arpino.
 
Come per il primo volume di questa antologia, le ragioni che presiedono alla scelta dei testi rimangono soggettive ed evidentemente discutibili: a validarle, oltre al tentativo farne una cernita varia e addirittura contraddittoria, anche per questo volume c’è l’idea che alcuni motivi di fondo li tengano insieme. Sono, a ben guardare, non dissimili da quelli del capitolo precedente: il “bel paese” come “luogo da raggiungere”; l’afflato a “far parte della Patria”, di quella patria letterariamente vagheggiata e compianta per qualche centinaio d’anni, nonché a “diventare italiani” rifondando la nazione stessa, con tutte le prerogative (letterarie e culturali) del caso; l’immagine e il carattere di una nazione “equivoca e araldica” quale si ostina ad essere. I titoli di ciascuna sezione, per questo secondo volume, si devono a Giorgio Manganelli.
 
Matteo Di Gesù (Palermo, 1971) è ricercatore di Letteratura italiana, disciplina che insegna all’Università di Palermo. Si è occupato di letteratura postmoderna, dell’identità italiana nella letteratura del Settecento e del primo Ottocento, del tema della mafia nella narrativa moderna. Ha scritto le monografie La tradizione del postmoderno (Milano 2003), Palinsesti del moderno (Milano 2005), Dispatrie lettere (Roma 2005), oltre a numerosi saggi in riviste e volumi collettanei; ha curato Letteratura, identità, nazione (Palermo 2009) e ha raccolto ne I paralleli (Palermo 2009) gli articoli scritti per la rubrica omonima curata per «Giudizio Universale». Collabora con la «Domenica» del «Sole 24 ore», «Il Manifesto», «Orwell» e altre testate cartacee e on line.
 

 

Introduzione

Un luogo da raggiungere
Pier Paolo Pasolini, L’umile Italia
Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia
Pier Paolo Pasolini, Progetto di opere future
Guido Piovene, Viaggio in Italia
Giovanni Arpino, Le mille e una Italia
Giorgio Manganelli, La favola pitagorica


Far parte della patria

Nelo Risi, Italia
Guido Ceronetti, Abbiamo una patria?
Giorgio Caproni, Patria; Ahimè
Paolo Volponi, O di gente italiana
Mario Luzi, Obiurgatio
Giorgio Manganelli, Mammifero italiano
Gianni Celati, Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna
Patrizia Cavalli, La patria


Diventare italiani
Gabriele D’Annunzio, La canzone d’oltremare
Giuseppe Ungaretti, Italia
Giuseppe Antonio, Borgese Golia
Franco Fortini, Italia 1942
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny
Salvatore Quasimodo, Il mio paese è l’Italia
Anna Banti, Noi credevamo


Una immagine pubblica tra equivoca e araldica
Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana
Alberto Savinio, Immortalità degli italiani
Umberto Saba, Scorciatoie e raccontini
Carlo Levi, L’orologio
Alberto Arbasino, Un paese senza
Leonardo Sciascia, L’affaire Moro
Goffredo Parise, Italia

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