Morale, giudizio, emotività / Mercati senza limiti?

19 Gennaio 2018

Durante un lungo soggiorno in Inghilterra, fra il 1726 e il 1729, Voltaire ebbe l’occasione di scoprire non solo la cultura, ma anche le istituzioni economiche del paese che proprio in quegli anni stava trasformandosi in una superpotenza globale. In una delle ‘Lettere inglesi’ Voltaire fornisce una celebre descrizione del London Stock Exchange:

 

Entrate nella Borsa di Londra, in questo luogo più rispettabile di molte corti; vi vedete riuniti i deputati di tutte le nazioni per l'utilità degli uomini. Qui il giudeo, il maomettano e il cristiano discutono insieme come se fossero della stessa religione, e non danno dell'infedele se non a chi fa bancarotta; qui il presbiteriano confida nell' anabattista, e l'anglicano accoglie la promessa del quacchero. Uscendo da queste riunioni pacifiche e libere, gli uni vanno alla sinagoga, gli altri a bere; questo va a farsi battezzare in una grande tinozza in nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo; l'altro fa tagliare il prepuzio di suo figlio e fa borbottare sul bimbo delle parole ebraiche che non intende affatto; questi altri vanno nella loro chiesa ad attendere l'ispirazione divina col cappello sulla testa, e tutti sono contenti.

 

L’idea che il libero mercato possa essere una fonte di virtù morale e civile appare oggi alquanto bizzarra. L’opinione prevalente – per alcuni è praticamente un’ovvietà – è che il mercato può solo peggiorare, corrompendolo, l’uomo. L’idea appare talmente ovvia che conservatori di destra e progressisti di sinistra concordano sulla necessità di imporre vincoli stringenti al mercato, anche o soprattutto per ragioni morali. 

 

Il ‘mercatismo’ – l’ideologia che associa l’espansione dei mercati con l’arricchimento e il progresso umano – è oggi difeso principalmente da due categorie di intellettuali, gli economisti liberali e i filosofi libertari. Se i primi costituiscono un gruppo sparuto (ma capace di farsi sentire attraverso i media), i secondi sono una rarità in Italia e in Europa. I libertari si distinguono dagli economisti liberali nel fornire principalmente argomenti filosofici in favore della libertà individuale. Quando difendono le istituzioni di mercato, i loro argomenti non si appellano alle conseguenze economiche del libero scambio (come l’efficienza o la crescita del Pil) ma piuttosto alle sue proprietà normative.

 

Il filosofo libertario più celebre del secolo scorso è stato senza dubbio Robert Nozick. Nozick, oltre a una serie di argomentazioni che fanno ormai parte del canone della filosofia politica, ha introdotto anche uno stile filosofico particolare. I libertari, in sintesi, sono brillanti ed estremamente irritanti. Lo sono in parte perché pensano in modo diverso dalla maggior parte dei filosofi morali e politici – in modo molto diverso, per noi europei – mettendo in discussione assunti che tendono a essere dati per scontati. Ma proprio per questo motivo i libertari vanno difesi e preservati come una specie rara. Se non esistessero, andrebbero inventati.

 

Markets Without Limits è un libro di filosofia morale ed economica scritto da due filosofi della Georgetown University, Jason Brennan e Peter Jaworski (Routledge 2016). Si pone come scopo di analizzare e confutare sistematicamente le argomentazioni che, con crescente frequenza e diffusione, sono state proposte dai filosofi anti-mercatisti nel corso degli ultimi due decenni. L’esempio più noto è il best-seller di Michael Sandel, Quello che i soldi non possono comprare (tradotto in Italia da Feltrinelli, 2015), ma vale la pena di citare anche Value in Ethics and Economics, di Elizabeth Anderson (Harvard 1993), e Why Some Things Should Not Be for Sale di Debra Satz (Oxford 2012), due autrici che hanno anticipato le tesi di Sandel e gli sono senza dubbio superiori per rigore e originalità filosofica.

 

 

La crescita della letteratura anti-mercatista di stampo morale è un fenomeno interessante. Una spiegazione plausibile è che, con il declino del marxismo, l’etica è diventata un’arma di offesa fondamentale per gli anti-mercatisti. La riflessione anti-mercatista sfrutta la convinzione diffusa che alcuni ambiti della vita privata e civile debbano essere preservati dall’invasione dell’economia, perché non tutto può essere comprato e venduto come se fosse un bene di consumo. Anderson in particolare ha introdotto una strategia argomentativa basata sull’idea che beni diversi hanno diverse fonti di valore. Valutare un bene utilizzando dei criteri inappropriati porterebbe dunque alla sua ‘corruzione’, o alla sostituzione del valore suo appropriato con uno inadatto.

 

Per esempio: i rapporti sessuali hanno un valore affettivo fondamentale nella vita di coppia, che l’uso del sesso per scopi commerciali necessariamente dissolve. Se paghi il tuo fidanzato o fidanzata per fare sesso, stai cambiando la natura stessa della relazione di coppia, perdendo la possibilità di godere dei valori che le competono. Pagare una donna per partorire tuo figlio corrompe la natura del bene ‘gravidanza’ e della relazione madre-figlio. Comprare un Premio Nobel distrugge il significato e il valore del premio stesso. Pagare dei soldati professionisti dissolve il valore di impegno civile del servizio militare – e così via.

 

Questo tipo di argomentazioni si aggiungono a un armamentario più noto, utilizzato tradizionalmente dagli economisti e politologi di orientamento social-democratico. Gli argomenti tradizionali si possono dividere in due grandi categorie, quelli volti a dimostrare che è necessario limitare i mercati quando non funzionano in maniera efficiente (quando, per esempio, favoriscono la formazione di monopoli, o quando ci sono palesi asimmetrie informative); e quelli volti a mostrare che è bene limitarli quando sussistono condizioni di ineguaglianza (poiché il libero scambio favorirebbe i privilegiati a scapito dei soggetti deboli).

 

Una caratteristica peculiare di Markets Without Limits è che Brennan e Jaworski accettano le argomentazioni classiche, e quindi partono dal presupposto che in alcune circostanze possa essere legittimo limitare o almeno regolare i mercati. (Come vedremo, essi hanno una concezione ampia di che cosa sia un ‘mercato’.) Tutta l’attenzione si concentra dunque sugli argomenti di stampo morale, e in particolare su quelli che sfruttano il concetto di corruzione.

 

La strategia generale è riassunta nello slogan ‘se si può fare gratis, si può fare anche per soldi’. La tesi di Brennan e Jaworski è che qualsiasi tipo di comportamento non immorale – qualsiasi comportamento che non danneggia il prossimo, per esempio – può sopravvivere alla prova del mercato. Il fatto che un’attività o relazione comporti uno scambio di denaro, in altre parole, non può di per sé rendere l’attività o la relazione immorale. Brennan e Jaworski chiariscono che in molti dei casi utilizzati dagli anti-mercatisti, essi stessi sarebbero favorevoli a proibire gli scambi. Per esempio: una ragione per la quale il comitato che assegna il Premio Nobel non può ricevere denaro in cambio del premio, è che il premio non è di sua proprietà. La ragione per la quale tendiamo a disapprovare l’acquisto di un rene in India da parte di un ricco americano, è che il venditore è costretto a privarsi di una parte del proprio corpo per uscire dalla povertà. In tutti questi casi non disapproveremmo la transazione se questa si svolgesse in condizioni favorevoli (se il comitato seguisse le indicazioni di Alfred Nobel, per esempio, o se un uomo donasse volontariamente il proprio rene a un famigliare malato).

 

L’errore degli anti-mercatisti è cercare di dimostrare che l’atto stesso della compra-vendita procura un danno essenziale al bene venduto e/o alla relazione fra coloro che partecipano alla transazione. Brennan e Jaworski criticano in particolare gli argomenti che identificano il valore ‘essenziale’ di un bene con le norme sociali che, per motivi contingenti, prevalgono in una società in un determinato momento storico. Queste norme offrono soltanto ragioni deboli e non decisive contro la proibizione degli scambi, e devono essere ignorate quando le conseguenze della proibizione sono peggiori della libertà di scambio. Prendiamo le norme che riguardano la sacralità del corpo e la sessualità, per esempio. Brennan e Jaworski hanno buon gioco a sostenere che legalizzare lo scambio di organi a scopi commerciali avrebbe conseguenze benefiche (migliaia di vite salvate ogni anno) di gran lunga superiori rispetto alla trasgressione delle norme che riguardano la sacralità del corpo. Ma questo non significa che qualsiasi transazione di organi sia legittima: uno scenario come quello descritto da Kazuo Ishiguro nel romanzo ‘Non lasciarmi’ sarebbe inaccettabile, semplicemente perché è immorale obbligare le persone a cedere parti del proprio corpo contro la loro volontà.

 

Una parte importante di Markets Without Limits è dedicata ai supposti comportamenti amorali indotti dai mercati e alla ‘corrosione’ delle norme civiche e altruistiche. Le origini di questa tesi risalgono a uno studio, molto famoso e controverso, della commercializzazione del sangue effettuato da Richard Titmuss negli anni Sessanta del secolo scorso. Titmuss sostenne, sulla base di dati empirici e argomentazioni teoriche, la possibilità di vendere il sangue per profitto porterebbe alla riduzione della quantità del sangue disponibile per le trasfusioni. Il meccanismo alla base di questo fenomeno (noto tecnicamente come ‘crowding out’) sarebbe la trasformazione delle motivazioni dei donatori, i quali cesserebbero di identificare la donazione come un dovere morale e civile, assumendo invece che la fornitura di sangue per le trasfusioni sia garantita dal mercato.

 

Questa tesi appartiene, strettamente parlando, a quegli argomenti che mostrano l’inefficienza della commercializzazione di alcuni beni. Si tratta di una tesi filosoficamente rilevante, tuttavia, in quanto mette in discussione la relazione fra socializzazione e commercializzazione, o fra gli spazi dell’etica e del mercato. Brennan e Jaworski insistono sulla scarsità di dati che supportano la teoria del crowding out. (Il fatto che la maggior parte della letteratura anti-mercatista citi sempre gli stessi due casi – lo studio di Titmuss e un famoso esperimento sui genitori ritardatari in un asilo di Haifa – dovrebbe in effetti insospettire.) Brennan e Jaworski ricordano anche che numerosi dati empirici mostrano l’esistenza di una forte correlazione positiva fra moralità e diffusione dei mercati. La pratica della corruzione amministrativa, per esempio, è molto più diffusa nei paesi nei quali le risorse sono distribuite attraverso canali politici, invece che per via commerciale. Il livello di fiducia non solo nei confronti delle istituzioni, ma anche dei propri concittadini, è più alto – non più basso – nei paesi nei quali le istituzioni di mercato sono prevalenti. In uno studio comparato condotto nei primi anni Duemila da un gruppo di antropologi ed economisti, è emerso che la fiducia e la correttezza nei rapporti interpersonali al di fuori del proprio clan è minima nelle società che non conoscono l’uso del denaro e che hanno scarsa domestichezza con gli scambi commerciali.

 

Brennan e Jaworski non citano questa evidenza per sostenere che gli scambi commerciali debbano essere ‘liberalizzati’ in qualsiasi contesto e a prescindere dalle conseguenze. In questo si distinguono – fortunatamente – dalla maggior parte della letteratura liberista e libertaria che si è confrontata con questi temi nel passato. Un grande pregio di Market Without Limits è il rifiuto dell’idea che il termine ‘mercato’ abbia un significato preciso e univoco. Come la maggior parte degli economisti contemporanei, Brennan e Jaworski preferiscono parlare di mercati al plurale, sottolineandone l’eterogeneità sia nelle caratteristiche essenziali che nella capacità di raggiungere specifici obiettivi. Questo permette un certo ottimismo riguardo alla possibilità di trovare forme di scambio compatibili con i principi morali prevalenti in una determinata società. Il fatto che un particolare tipo di mercato possa avere conseguenze problematiche, in altre parole, non esclude che un altro possa funzionare meglio.

 

Un esempio recente è la creazione dei programmi di scambio di reni negli Stati Uniti, ispirati dai lavori di Lloyd Shapley e Alvin Roth, premiati con il Nobel per l’economia nel 2012. Questi sistemi sono basati sul principio che sia possibile associare ogni paziente in attesa di trapianto con un donatore potenziale, il quale sarebbe disposto a cedere l’organo a un proprio famigliare o conoscente bisognoso, con il quale però è biologicamente incompatibile. Facilitando gli scambi ‘incrociati’ e simultanei, il sistema permette di soddisfare le preferenze di numerosi donatori salvando così altrettanti pazienti che sarebbero stati condannati a una vita breve e difficoltosa.

 

Una caratteristica essenziale di questo tipo di scambio, più volte sottolineata da Roth, è che non prevede alcun trasferimento di denaro e dunque non è percepito dai partecipanti come una transazione commerciale. Questo permette di superare le remore dettate da ragioni culturali e (aggiungerebbero Brennan e Jaworski) da erronee intuizioni morali. Dal punto di vista sostanziale, si tratta comunque di uno scambio fra persone consenzienti che sono disposte a cedere un bene (un rene) in cambio di un altro bene simile ma di più alto valore soggettivo. Il fatto che lo scambio non preveda l’intermediazione del denaro è irrilevante, così come è irrilevante che gli organi siano scambiati in proporzione 1:1 (il ‘prezzo’ di un rene è un altro rene).

 

L’ultima parte di Markets Without Limits è dedicata a illustrare i ‘trucchi’ che gioca la nostra mente quando ci troviamo a che fare con beni insoliti o con opportunità di scambio inaspettate. Mezzo secolo di ricerca nel campo delle scienze cognitive ci insegnano che non dobbiamo fidarci dell’istinto, specialmente quando il giudizio morale si intreccia all’emotività in circostanze inedite – come quelle che vengono create con frequenza sempre maggiore dalle nuove tecnologie mediche, informatiche, e sociali. Il ruolo dei filosofi non dovrebbe essere quello di prendere le nostre intuizioni per buone, ma di metterle alla prova stimolando l’immaginazione e il ragionamento come fanno Brennan e Jaworski. Se pensate che i mercati siano immorali, e credete di sapere il perché, è bene che leggiate questo libro. Magari non cambierete idea, ma vi gireranno parecchio le scatole, e dovrete senz’altro rivedere molte ragioni che davate per scontate.

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